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Referendum, stagione seconda

È finalmente partita l’attesissima seconda stagione della serie Il referendum della vita. I personaggi sono gli stessi (Maria Elena compare però solo nel riassunto iniziale), ma nell’intervallo molto cose sono cambiate e i personaggi non sempre riescono a esprimere le sfumature intervenute nel frattempo.

Mentre Napolitano mantiene la solita espressione impassibile e Bersani quella amara e sorpresa, Renzi non riesce a scollarsi di dosso il ceffo arrogante e prova con difficoltà ad assumere un profilo ragionevol-dialogante: io che c’entro col referendum? sono i giornali che hanno personalizzato. Se vince il no, me ne sbatto, va a fondo solo l’Italia, non avete visto che dice l’ambasciatore Usa? E poi mica mi chiamo Matteo…

Nel primo episodio della stagione 2 per ora vediamo che:

1) L’esito del referendum, che certamente vinceremo, non influirà sulle sorti del governo, che resterà tranquillo in carica fino al 2018. Al governo interessa solo il merito della riforma, non un plebiscito sulla maggioranza e meno che mai, sul suo ritroso leader.

2) Il referendum si terrà il più tardi possibile, per esercitare una certa pressione ricattatoria sulla legge di stabilità e aver tempo, nel caso, per modificare la legge elettorale.

3) Non c’è alcun rapporto fra referendum e legge elettorale, per carità. Segue a casaccio che la legge elettorale è ottima così, comunque non c’è maggioranza per modificarla, aspettiamo la valutazione della Consulta (che ha fregato tutti rinviando il verdetto sine die), certo la modificheremo, diteci come. Importante è non fornire armi ai 5 stelle. Nebbia fitta, insomma.

Bypassando gli artifici retorici, emerge un cambio di passo. Renzi ha sconnesso l’esito del referendum dalla permanenza del governo, anche se in tutta evidenza una vittoria del NO gli creerebbe problemi. Ha accettato in via di principio la scissione fra SI e Italicum, promettendo con qualche ambiguità di modificare il secondo, anche per non incappare in ballottaggi tipo amministrative di giugno. Molto dipenderà, per il tipo di cambiamenti della legge, dai sondaggi sulla tenuta dei 5s.

In generale, la battaglia referendaria viene depotenziata e fusa con altre partite ad alto rischio: i rapporti con l’Europa, i rischi di invischiarsi in Libia, il bilancio del JobsAct e della Buona Scuola, la latente catastrofe bancaria, la legge ottobrina di stabilità. Di conseguenza, deve essere corretta anche la strategia del NO.

L’impossibilità di separare la battaglia del NO da altri fronti di contestazione suggerisce di evitare scadenze centralizzate e gestire piuttosto una logica da “cento piazze”, in cui articolare i nessi fra i contenuti del referendum e gli altri fronti di lotta, elaborando così un disegno costituente sui punti cruciali della crisi nella loro proiezione costituzionale: l’art. 81 sul pareggio di bilancio (già inserito nella Carta!) e l’estensione dei vincoli alla spesa locale (art. 116, 119 e 120) con il collasso del welfare e dei servizi, la clausola di supremazia dello Stato sugli enti locali (art. 117) con il nuovo municipalismo, gli art. 70 e 72 con la prevaricazione del governo sul parlamento nel processo legislativo. E naturalmente occorre denunciare il fallimento del JobsAct e dell’austerità europea – le quinte entro cui intendeva collocarsi il disegno costituzionale con mal riposte aspirazioni egemoniche. Bratislava ha chiuso, con la smaccata esclusione dal direttorio europeo, la pretesa renziana (dal flop del famoso semestre europeo nel 2014-2015 al picnic a Ventotene della scorsa estate) di partecipare a un ruolo direttivo e garantirsi maggiore flessibilità nell’osservanza del fiscal compact – peraltro esteso su scala nazionale proprio con la “riforma”, come abbiamo ricordato. Anche gli urli a favore della politica espansiva di Obama contro la grettezza di Schäuble sono un losco trucco per coprire il sostegno, isolato in Europa, al micidiale TTIP. Macché “non son foglia, non son fico”, adesso è arrivato il momento per fare i conti, altro che investire e ridurre le tasse.

In tal modo si esce anche dalla sommatoria fra un No costituente e il No strumentale e fin troppo negoziato e revocabile delle destre e della minoranza Pd, esposto a tutte le fluttuazioni della trattativa sulla legge elettorale, e si offre un contenuto all’ondivaga protesta “cittadinista” di un M5s, orbato del miraggio di un ballottaggio nazionale e angustiato dalle traversie romane. Non è un percorso facile ma è l’unico possibile in una situazione in cui la massa degli indecisi, che si frappone nei sondaggi fra gli schieramenti del SI e del NO, non può certo essere persuasa con tecnicalità costituzionali o con appelli al cambiamento di governo. Chi ancora non si è schierato deve cogliere il nesso fra il voto e la propria condizione di disagio, non esprimere un’opzione generalista pro o contro Renzi o pronunciarsi su meccanismi istituzionali di scarsa efficacia immediata, anche se alla lunga degenerativi e proattivi alla crisi.