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Referendum: sconfitto il governo di Jobs Act e Buona Scuola

Superata da poco la mezzanotte, Matteo Renzi fa la sua conferenza stampa. Quello che ha appena preso, con la vittoria schiacciante del ‘No’ al referendum costituzionale, è uno schiaffone senza precedenti. Matteo Renzi, quello del Partito Democratico dei “giovani”, del cambiamento, della “rottamazione dei vecchi del Pd”: ebbene, i giovani della nuova classe dirigente italica, quelli del Jobs Act che piace alle banche e ai mercati, della Buona Scuola che trasforma la formazione pubblica in un’azienda, sono stati delegittimati proprio dalla parte più giovane del paese.

Presentiamo qualche dato: secondo i numeri forniti dal sito del Ministero dell’Interno, il ‘No’ ha stravinto con il 59,11% (per un totale di 19 milioni 419mila e 507 voti), mentre il sì ha raggiunto il 40,89% (per un totale di 13 milioni 432mila e 208 voti). L’affluenza è stata altissima: tra la popolazione residente in Italia e il voto estero, si è raggiunto complessivamente il 65,47% degli aventi diritto. A bocciare la riforma costituzionale voluta dal premier Matteo Renzi e Maria Elena Boschi sono stati soprattutto i giovani: tra i 18 e i 34 anni il ‘No’ ha avuto una percentuale del 68%, tra i 35 e i 54 anni il 63%, mentre oltre i 54 anni hanno votato per il no solo il 49% degli aventi diritto (dati Rai). Il “ribaltone” sarebbe avvenuto in serata: la mattina, infatti, a votare erano andati i più anziani e le prime proiezioni davano il ‘Sì’ in vantaggio. Il risultato è cambiato nettamente la sera, quando sono andati a votare i più giovani, e hanno fatto crescere la percentuale del ‘No’ in maniera esponenziale. Il ‘Sì’ ha avuto percentuali di voto più alte nel Nord Italia (circa il 45%) mentre al Sud e nelle isole ha nettamente vinto il ‘No’, con il 67% delle preferenze. A Milano ha vinto il ‘Sì’ con il 51,13% di voti, così come a Firenze (56,29%), città natale del premier Matteo Renzi dove lo stesso è stato sindaco per anni. A Roma ha vinto il ‘No’ con il 59,42%, a Napoli sempre il ‘No’ con il 68,28%. Il ‘No’ ha vinto in tutte le regioni, tranne in Toscana, in Trentino Alto Adige e in Emilia Romagna. Nessuna influenza sul voto, sempre secondo i dati forniti dalla RAI, hanno avuto il titolo di studio e il sesso.

Una vittoria schiacciante quella del ‘No’, nonostante nell’ultimo periodo il Governo avesse incassato i rinnovi contrattuali (dal pubblico impiego ai meccanici) e molto insistito sui dati favorevoli sulla crescita tendenziale (1% per il 2016), sulla diminuzione della disoccupazione giovanile grazie al Jobs Act, sull’aumento dei contratti a tempo indeterminato. Nonostante la poderosa (e costosissima) macchina comunicativa messa in campo dal “ganzo fiorentino” e dal suo Partito Democratico, non è sfuggita a nessuno – con l’esplosione della “bolla occupazionale” alimentata dal combinato disposto di contratto a tutele crescenti (senza articolo 18) e de-contribuzione – la durezza della realtà. Realtà che parla dell’aumento vertiginoso dell’uso dei voucher, strumento cardine della sotto-occupazione (non oltre i 580 euro al mese) e della de-contrattualizzazione del lavoro; che parla di tasse da strozzinaggio per le partite Iva, giovani e meno giovani. Realtà che parla di lavoro gratuito nelle grandi corporation (McDonald’s, Zara, ecc.), attraverso il dispositivo dell’alternanza Scuola-Lavoro, o del fallimento clamoroso di Garanzia Giovani.

Pur avendola desiderata e prevista, difficile aspettarsi una vittoria così schiacciante del ‘No’, vista anche la campagna mediatica fatta dal Partito Democratico negli ultimi mesi e lo spauracchio, agitato a intervalli regolari, del crollo dei mercati e dell’instabilità finanziaria. Già ieri i principali giornali internazionali parlavano di “Italexit”. Dopo il discorso di Renzi, l’Euro è crollato e ha toccato livelli che non si erano visti nemmeno dopo l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea (raggiungendo a una soglia che non si vedeva da marzo 2015). Nonostante il terrore psicologico agitato in queste ultime settimane, ha vinto il ‘No’ sociale: un ‘No’ che, senza tener in conto dell’umore dei mercati, ha mostrato l’insofferenza alle politiche di austerity. Le chiacchiere stanno a zero, le balle pure.

Non sappiamo ancora quali scenari si apriranno da adesso in poi: in questo momento Renzi è appena salito al Quirinale, e si accinge a presentare nel pomeriggio le sue dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che potrebbe decidere di chiedere a Renzi di rimanere e vedere se ha ancora l’appoggio del Parlamento (improbabile però, visto il discorso di ieri), consegnando la guida del Governo a un altro personaggio di spicco del Pd (i primi rumors parlano di Pier Carlo Padoan, molto legato all’UE, o Pietro Grasso); oppure dare vita a un nuovo governo tecnico. In quest’ultimo caso le elezioni si terrebbero nel 2017, quindi in contemporanea con quelle di Francia e Germania. C’è chi preme per andare subito alle urne, come Salvini, Grillo e Meloni, e chi frena, come D’Alema e Brunetta.

Nuovi scenari si aprono, con tante incognite e sfide per nulla facili. Come abbiamo detto fin dall’inizio, la difesa della Costituzione, da sola, non ci ha messo (negli ultimi 30 anni) e non ci mette al riparo dalla catastrofe neoliberale. È necessario mettere in campo, subito, un processo costituente, in Italia e nello spazio europeo: questa la sfida dei movimenti sociali e di chi non si arrende alla dittatura dei mercati! Il ‘No’ e la sua straordinaria vittoria non possono in alcun modo essere considerati un consolante punto di arrivo. Fondamentale aver mandato a casa Renzi, fondamentale costruire, dal basso, un’alternativa sociale e politica a Renzi, al renzismo, al neoliberalismo, alle destre xenofobe; uno spazio pubblico non appropriabile, una convergenza ampia, capace di imporre nuove spinte democratiche e di guardare oltre i recinti nazionali. Ciò che va evitato a tutti i costi, invece, è il blocco tecnocratico; così come l’onda populista, razzista e sovranista, di Trump, Le Pen, Orban. In alto i calici, ma subito al lavoro per intensificare le lotte, costruire il comune (del mutualismo e dei conflitti), rilanciare la sfida costituente.