PRECARIETÀ

Note sullo sciopero alla rovescia

Da tre giorni, in decine di atenei sono spuntate, come funghi, moltissime magliette rosse con gli strikers accademici che incrociano le braccia e l’hashtag #ricercaprecaria: è lo sciopero alla rovescia […], costruito ed organizzato dal Coordinamento Nazionale delle Ricercatrici e dei Ricercatori non strutturate/i (CNRSU), nel sessantesimo anniversario dello sciopero alla rovescia messo in pratica da Danilo Dolci il 2 febbraio del 1956. Questa iniziativa dei ricercatori precari si inserisce in una mobilitazione più ampia volta al riconoscimento del lavoro di ricerca svolto dai dottorandi, borsisti e assegnisti all’interno dei Dipartimenti.

È infatti recente il vergognoso rifiuto del Governo di estendere l’indennità di disoccupazione DIS-COLL alle figure precarie del lavoro accademico, adducendo come assurda giustificazione “il carattere altamente formativo” di tali contratti e quindi l’impossibilità di far rientrare i precari della ricerca nella categoria dei “lavoratori”. Saremmo, quindi, per il Governo, studenti altamente qualificati, perennemente in formazione (mai abbastanza evidentemente), che si concedono il “lusso di lavorare” facendo ciò che più ci piace e ci interessa. Come a dire: la ricerca è un hobby, già è tanto che vi paghiamo!

Questa delegittimazione del lavoro svolto dai precari nelle Università è ancora più inaccettabile a fronte dell’enorme mole di lavoro svolta dai dottorandi, dagli assegnisti e dai borsisti che, data la carenza strutturale di personale dopo i tagli Gelmini – Renzi, tiene di fatto in piedi il funzionamento dei dipartimenti fra lezioni ed esami. Senza considerare tutte le mansioni “non previste” che ormai sono diventate ordinaria amministrazione nel “percorso formativo” dei precari della ricerca: organizzazione di convegni, lavori di pura segreteria amministrativa – quali ad esempio l’attività di rendicontazione progetti, la scrittura di progetti per conto terzi…

Per indagare e restituire l’importanza del lavoro svolto dai ricercatori precari nelle Università, il CNRSU ha lanciato la compilazione di un questionario al livello nazionale che fosse in grado di fotografare la reale situazione di sfruttamento e ricattabilità cui sono sottoposti dottorandi, borsisti ed assegnisti. L’elaborazione preliminare dei risultati relativi all’anno 2015 (più di 1.200 questionari raccolti in una sola settimana) è eloquente: più di 14.000 ore di lezione svolte da non titolare di corso, 13.000 ore da titolare, partecipazione a 4.000 commissioni di esame, più di 3.000 tesi seguite. A partire da questi dati oggettivi, dal ruolo fondamentale svolto dalle figure precarie all’interno degli atenei, il CNRSU ha lanciato dall’assemblea nazionale di Firenze del 29 Gennaio lo sciopero alla rovescia, che consiste appunto nell’indossare una maglietta rossa con gli strikers e l’hashtag #ricercaprecaria continuando a fare il proprio lavoro quotidiano.

Questa mobilitazione ha un duplice fine. Da un lato è volta a rendere palese a tutti, dai docenti, agli studenti, alla cosiddetta “opinione pubblica”, l’enorme mole di lavoro svolta dai ricercatori precari, sottolineando la gravità delle affermazioni del Governo di cui sopra e rivendicando l’indennità di disoccupazione. Dall’altro lato, questa iniziativa si pone un obiettivo molto più ambizioso e centrale, all’altezza delle sfide e della situazione che ci troviamo di fronte: la costruzione di uno sciopero di massa dritto dei precari dell’università. Il riconoscimento della propria condizione individuale come una condizione invece collettiva di sfruttamento e umiliazione è infatti il primo passo per poter immaginare forme di conflitto collettive che sappiano mettere al centro il ruolo sociale dell’Università. Forme di sottrazione e rifiuto che siano in grado di rovesciare i rapporti di forza per ottenere il rifinanziamento del comparto, un reclutamento straordinario e ordinario, un diritto allo studio degno di questo nome e una valutazione fra pari non punitiva e non utilizzabile come strumento di vera e propria ingegneria sociale.

Questo dunque lo scopo del percorso iniziato con lo sciopero alla rovescia: la ricomposizione delle soggettività frammentate dalla competizione imposta dalle logiche del new public management, filosofia ormai imperante nella governance universitaria. Obiettivo che, evidentemente, non è stato colto proprio da tutti. Chi infatti ci accusa di non voler disturbare il barone di turno, di voler perpetrare il nostro autosfruttamento volontario e di voler continuare a lavorare gratuitamente, di voler finalmente staccare un posto a tempo indeterminato fregando il collega di scrivania riuscendo a essere più servile di lui/lei, evidentemente non ha idea del grado di frammentazione presente nella composizione del lavoro precario dentro gli atenei e di come la retorica meritocratica abbia mutato antropologicamente queste figure. Quando poi chi si erge a giudice di queste iniziative è, nella quasi totalità dei casi, un docente strutturato “con curriculum di anni di lotte sulle spalle”, ci viene da chiedergli: ma dove siete stati tutti in questi anni? e nel 2008 e nel 2010? In quale trincea stavate conducendo la vostra guerra invisibile?

{igallery id=7395|cid=58|pid=1|type=category|children=0|addlinks=0|tags=|limit=0}

La cruda realtà è che i veri complici e responsabili dello smantellamento dell’Università ad opera dei Governi che si sono succeduti in fin dei conti sono stati proprio i docenti strutturati (ad esclusione naturalmente di alcune rare eccezioni), che pur di racimolare le briciole delle briciole hanno agevolato l’iter delle “riforme”, ricattando anche chi minacciava l’indisponibilità a svolgere mansioni non dovute. E che ora “si mobilita” coraggiosamente solo per il proprio tornaconto personale, il boicottaggio della VQR per staccare l’assegno degli scatti stipendiali (mozione Ferraro).

A differenza loro, noi contestiamo da sempre questa “valutazione” della ricerca e non siamo certi mossi da interessi corporativi né siamo pronti a rientrare nei ranghi dietro magari qualche posizione bandita “ad hoc”, come è usanza nei nostri atenei. Noi andremo fino in fondo, con chi vorrà fare questa strada insieme a noi, per trasformare radicalmente questa Università.

Foto dalla pagina facebook: Coordinamento Ricercatori Non Strutturati Universitari