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Maker Faire per chi? Non per i ricercatori precari

Dal 14 ottobre la didattica della Sapienza verrà sospesa per far spazio a Maker Faire, un fiera dell’innovazione finanziata dalle multinazionali. Biglietto d’ingresso anche per gli studenti e poca chiarezza sulla gestione dei fondi.

Dal 14 ottobre La Sapienza resterà chiusa per dare spazio a un evento privato che, seppur finanziato da grandi multinazionali, sarà a pagamento. Per quattro giorni chiunque vorrà entrare dento la città universitaria dovrà pagare un biglietto di ingresso. Con somma clemenza il rettore e gli organizzatori hanno concordato un prezzo ridotto per gli studenti: 4 euro per entrare nel luogo in cui studiano, che vivono quotidianemente e per cui già pagano rette non proprio economiche.

Così la prima università di Roma chiude i battenti per quattro giorni bloccando la didattica, fermando l’amministrazione, e mandato addirittura in ferie forzate i lavoratori senza alcuna opposizione, come se tutto ciò fosse normale. Perchè nessuno grida allo scandalo come è stato fatto per la chiusura di tre ore del Colosseo a causa di un’assemblea sindacale? I lavoratori della Soprintendenza archeologica a cui non viene pagata una parte dello stipendio da più di un anno non possono bloccare l’ingresso a un monumento per tre ore, e inevece il rettore della Sapienza, per conto dei privati può chiudere per ben quattro giorni un’università pubblica? Mentre i lavoratori della cultura possono essere precettati, mandiamo in vacanza ad ottobre i dipendenti dell’ateneo di Roma. Se la cultura è un bene necessario per cui si deve obbligare le persone a lavorare, con buona pace del diritto allo sciopero, la formazione che cos’è? Perchè bloccare la ricerca, la didattica, e le iniziative accademiche per un evento privato? E soprattutto perchè far pagare chi quell’università la frequenta, la vive, la sostiene e la mantiene in vita?

Se gli studenti avranno il generoso sconto a quattro euro, i ricercatori precari che non sono formalmente dei lavoratori a tutti gli effetti dell’ateneo quanto dovranno pagare? Che sconto farà l’Università per cui molti di noi lavorano gratis e senza alcun riconoscimento effettivo? Quali facilitazioni per chi come dottorandi e assegnisti porta avanti la didattica, gli esami, il lavoro di segreteria per supplire alla carenza di organico e di fondi che le politiche neo-liberali sull’università hanno scientemente provocato?

Come se non bastasse, Il Maker Faire che ospiterà la Sapienza snatura completamente la filosofia sottesa originariamente a questo genere di iniziative, in cui si mettevano in comune conoscenze specifiche, si praticavano forme di cooperazione e di condivisione dei saperi. Questo evento promuove invece la diffusione di quei saperi che la retorica di Gelmini e Giannini chiama “saperi utili”, vale a dire quelli direttamente spendibili nel mondo dell’impresa, identificandoli come unico modello per mettere in pratica i propri studi e le proprie competenze.

L’orrido slogan dell’evento “FARE IMPRESA FUTURO” sembra ricalcare il modello della Ricerca promosso dalle “riforme” universitarie degli ultimi vent’anni. Invece di promuovere la cooperazione tra i ricercatori si incoraggia la competitività e, attraverso l’economia della promessa, l’autosfruttamento, come se l’unica via per lavorare nel mondo della ricerca fosse l’autoimprenditorialità e la promozione di se stessi a discapito degli altri e della qualità della ricerca. Per questo a noi ricercatori precari le idee para-aziendali del Maker faire non ci sembrano poi così tanto innovative, riproducono piuttosto il modello delle università in cui tutto deve essere misurabile secondo indici di produttività da utilizzare successivamente per ripartire le quote premiali dell’FFO, che assomigliano sempre di più a dei premi aziendali.Si aumenta così la ricattabilità delle figure precarie e si riduce al minimo la possibilità di accesso al mondo universitario.

Quindi non c’è affatto bisogno di chiudere l’università per proporci le solite idee che di fantascientifico e originale non hanno proprio niente: conosciamo già benissimo questi meccaISimi, li viviamo ogni giorno come precari della ricerca.

Il mondo universitario ha bisogno di ben altro che di due stand sulla promozione dell’impresa. E al posto degli eventi privati dovremmo essere noi a bloccare l’università, rifiutandoci di continuare a portare avanti lavori e mansioni che non ci competono e per cui non veniamo retribuiti…

Allora sì che avrebbe senso il blocco della didattica!