POTERI

Dopo la Consulta

La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’Italicum sul punto qualificante, che ne avrebbe fatto oggetto di ammirazione e imitazione in tutto il mondo (Renzi), il ballottaggio. In pratica resta un sistema proporzionale. Cosa ne consegue per le elezioni?

Per dare un giudizio completo sulla decisione occorre conoscere le motivazioni, che arriveranno fra circa un mese. Non è soltanto una riserva di chi commenta, ma anche un vincolo per il presidente Mattarella, che dovrà decidere se sciogliere o meno ad aprile le Camere, dopo il rush frenetico delle prime ore: al voto! al voto! di Pd, Lega e M5s, spalleggiati da Repubblica ma non dal Corriere.

Procediamo con ordine, ricordando che il discorso vale solo per la Camera, perché il Senato era stato tenuto fuori dall’Italicum nella presuntuosa convinzione che il referendum abolitivo del Senato sarebbe passato in ogni caso.

La Consulta ha eliminato il ballottaggio perché non era specificata una soglia minima di accesso allo spareggio, qualora nessun partito avesse raggiunto il 40% dei voti che avrebbe assegnato l’abnorme premio di maggioranza. Resta quindi tale premio (il 55% dei seggi) solo per chi ottiene il 40% al primo e unico turno: essendo la qual cosa altamente improbabile, in pratica si torna al proporzionale.

Restano i capilista bloccati ma si ridimensionano le candidature multiple: infatti i candidati eletti in più collegi (fino a 10) saranno scelti con sorteggio, senza più la possibilità di scegliere il collegio, determinando per esclusione gli altri 9 capilista eletti. Di conseguenza i partiti più piccoli, che difficilmente eleggeranno più di un parlamentare in una circoscrizione, vedranno eletti i capilista, cioè i “nominati”, mentre i partiti più grandi (oltre i capilista dei 100 collegi) avranno anche una quota di preferenze libere. Restano la soglia di sbarramento al 3%, la riserva per le minoranze linguistiche, le quote rosa, ecc.

Insomma, la sera stessa delle elezioni andremo a letto senza sapere chi ci governerà. Peccato per Renzi, che peraltro il suo destino l’ha saputo alle 23, 01 del 4 dicembre 2016.

Infine, per la Consulta, “la legge è suscettibile di immediata applicazione“. Ovvero si può andare alle urne anche subito, se i partiti lo vogliono e Mattarella consente. Infatti resta in campo un sistema tecnicamente funzionante, ma disallineato tra Camera e Senato. Questo problema, preventivamente segnalato da Mattarella, non doveva essere risolto dalla Consulta (né figurava nelle richieste dei ricorrenti), ma spetta al Parlamento e determina, nei tempi di elaborazione della legge, la possibilità dell’anticipo del voto o del suo rinvio alla scadenza naturale del 2018.

Ovviamente è folle avere una legge elettorale per la Camera maggioritaria in via di diritto e proporzionale in via di fatto, per liste e con sbarramento al 3%, più una per il Senato senza premio, con coalizione ma con sbarramento regionale all’8%. E due sistemi diversi di blocco dei capilista e preferenze. Il Pd ha proposto il Mattarellum (solo per la Camera) e, in caso di disaccordo, il ricorso al sistema uscito dalla Consulta – solo per votare subito, un pasticcio legislativo e costituzionale.

L’uscita dal vicolo cieco è politica: votare in fretta per salvare Renzi, che ogni giorno fuori dal governo perde colpi, o rinviare per agire in modo più razionale sul piano tecnico-elettorale e per gestire con maggiore efficienza le riforme (quelle del pacchetto renziano, non ce lo nascondiamo). Due alternative poco commestibili e sulle quali grava la spada di Damocle della crisi bancaria e del pressing europeo. Votare subito significa che gli elettori non faranno a tempo ad accorgersi degli sfracelli fiscali ed economici in arrivo, però una campagna elettorale defatigante rinvierà qualsiasi tentativo di intervento, quindi presenterà il giorno dopo il voto una situazione ancora peggiore. Il conto lo pagheranno tutti gli italiani ed è pure dubbio che qualcuno se ne avvantaggerà. Renzi si salva il culo o meglio non ha altre alternative, ma il Pd rischia una sconfitta elettorale e in ogni caso una situazione di stallo che lo costringerebbe ad allearsi a Berlusconi in assenza di una maggioranza. Quindi non è affatto detto che prevalga l’opzione più avventurista, che invece piace tanto a M5s e destre, che tanto non hanno nulla da perdere. Può darsi che l’urgenza dei problemi e i timori di una paralisi governativa e, perché no?, il desiderio di liberarsi di Renzi inducano l’attuale maggioranza a una tempistica più prudente. Anche Borse e Conferenza episcopale riluttano. La sentenza lascia aperte entrambe le strade.