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Corpi che contano

Dopo l’8 marzo, considerazioni intorno alla lotta per il diritto alla salute.

Sul portone principale c’è un cartello sbiadito che avvisa gli utenti che dal giorno 31 ottobre 2009 il pronto soccorso dell’ospedale sarà chiuso e i pazienti dirottati altrove, mentre tutto il perimetro dell’ospedale è stato transennato per evitare che, come recita un altro cartello, calcinacci e pezzi di cornicione cadano sui passanti dato il degrado strutturale dell’edificio e le pessime condizioni metereologiche. Peccato che l’ospedale San Giacomo non cade a pezzi e che la pioggia non può rappresentare un problema in una città normale.

La verità la sappiamo, l’ospedale San Giacomo di Roma è stato chiuso per motivi che non riguardano la fatiscenza, l’abbandono o la mancanza di pazienti. E’ un simbolo della dismissione progressiva che minaccia il sistema sanitario nazionale, è l’emblema di come i pezzi pregiati del patrimonio pubblico o le strutture d’eccellenza della sanità italiana cadano vittime di tagli legittimati dalla crisi, dall’insostenibilità dei costi del welfare, dagli sprechi. Sono diversi gli ospedali e i reparti minacciati dalla chiusura e dai tagli prima dal commissario Bondi e ora dal neo-eletto presidente della Regione Lazio Zingaretti, dal governo tecnico prima e da quelli che seguiranno dopo.

Per questo donne, studenti e precarie insieme al Coordinamento per la Salute hanno dato luogo a un flash mob, un blitz per bussare alle porte dell’ospedale San Giacomo, per riaffermare il diritto alla salute come diritto universale e incondizionato, per respingere le politiche di austerità che sottraggono terreno e reddito a quei corpi irregolari, non pienamente garantiti, non completamente riconosciuti, che pagano in prima persona la crisi.

Il concetto di universalità va declinato in un quadro di complessità e differenze per coglierne il senso e per fornire risposte adeguate all’oggi: ‘per tutti’ non significa ‘uguale per tutti’ ma ‘differente per ognuno’.

La Sanità pubblica fatica sempre di più a divenire strumento flessibile e accessibile e a corrispondere alle domande di una società in continua mutazione. Viceversa, dismette la sua vocazione inclusiva e ridefinisce quindi il diritto alla salute su presupposti non più legati alla concezione (estensiva) di cittadinanza ma su criteri di merito e sostenibilità economica.

Nell’accesso ai servizi sanitari e sociali si definiscono così linee di differenziazione che tagliano fuori segmenti di società perchè sempre più apertamente individuati come improduttivi e non meritevoli: la stigmatizzazione di soggetti definiti devianti e a rischio e la clandestinità come dispositivo di esclusione dei senza documenti dai diritti fondamentali rappresentano gli esempi più eclatanti.

Abbiamo pensato che l’8 marzo fosse la giornata giusta per mettere al centro questo tema. Fuori dalla retorica dei festeggiamenti istituzionali e del “valore della donna” abbiamo voluto affermare che le donne oggi sono sempre più spesso precarie, disoccupate, impossibilitate a scegliere liberamente il loro percorso di vita e la loro sessualità, subiscono la violenza domestica e politica, vengono sacrificate sull’altare dell’austerità, tra le lacune spaventose del welfare. Nella crisi odierna però, in un certo senso, siamo tutti donne, siamo tutti migranti, siamo tutti precarie e precari.

Connettendoci con la mobilitazione del Coordinamento per la Salute, vogliamo contribuire a un percorso di ricomposizione che passa per una nuova articolazione del concetto di salute. Non solo, quindi, chiediamo il rifinanziamento di una sanità pubblica, laica e accessibile a tutti, ma vogliamo immaginare degli esperimenti di connessione che rovescino il rapporto operatore/utente, che ricolleghino la sanità ai territori e alla cittadinanza, che rompano le maglie della medicalizzazione forzata, e rimettano al centro una salute che non può che essere sociale, che non può che passare per la cooperazione, per la prevenzione e per una nuova idea di welfare. Esperienze interessanti avvengono già in altre parti d’Europa, dove dalle macerie della crisi sono nati esperimenti di autogestione di ambulatori, di elaborazione assembleare delle diagnosi, di condivisione delle problematiche dei corpi dentro la crisi.

Difendere la salute infatti significa difendere i nostri corpi dall’attacco sferrato dai mercati, porre al centro il valore sociale della loro riproduzione, disvelare nuovi dispositivi di sfruttamento che superano i confini del lavoro e invadono quelli della vita. Se le politiche economiche e sociali attuali mirano a rendere i corpi controllati e docili, noi li rimettiamo in gioco e in conflitto, volendoli liberare una volta per tutte da vincoli morali ed economici, sintonizzandoli piuttosto su bisogni e desideri.

Video e foto della mobilitazione a Roma l’8 marzo 2013 fuori il San Giacomo:

Corpi ingovernabili

Filippo di QueerLab:

Shendi di Esc_Infosex: