DIRITTI

Alcune riflessioni sul tema della gestazione per altri

Per mettere in luce alcuni aspetti, a porre interrogativi, ad aprire un dibattito in un’ottica opposta a quella dei pro-life cattolici oltranzisti che influenzano decreti legge e governi, su un tema atavico come quello della vita, della sua continuazione, del corpo che la contiene, nel secolo che la attraversa.

Il dibattito intorno al già insufficiente DdL Cirinnà, trasformato in maxi-emendamento, sembra aver scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora. Sicuramente l’Italia si conferma ancora una volta un paese retrogrado anche dal punto di vista dei diritti civili. La questione più spinosa sin dall’inizio è parsa la stepchild adoption (non passata nel maxi-emendamento) messa lì per dare una parvenza di apertura verso le famiglie allargate etero e gay che piacciono tanto alle fiction televisive, ma meno al mondo politico-cattolico. Ancora a distanza di cinquant’anni sembra di assistere a un frame di quell’italietta provinciale dipinta realisticamente nei film di Pietro Germi.

Dunque il diritto di adottare il figlio naturale del coniuge, previsto per le coppie eterosessuali sposate, è stato eliminato per le coppie omosessuali. In questa occasione si è tornato a parlare delle difficoltà in Italia di adottare un minore anche per le coppie eterosessuali che hanno contratto un matrimonio civile. Costi elevati, trafile burocratiche lunghe, tempi dilatati, la mancanza di una banca dati nazionale dei bambini adottabili, sono tra le cause della diminuzione delle adozioni in Italia. Molto spesso ricorrere alla maternità surrogata in un contesto simile potrebbe essere una delle opzioni possibili.

“La gestazione per altri (gpa) o maternità surrogata è la pratica attraverso la quale una donna decide di portare avanti una gravidanza per conto di altre persone (single o coppie etero e omosessuali)”. Nel mondo, la regolamentazione delle donatrici di gameti e della gpa, variano da paese a paese, spaziando dal divieto assoluto ai modelli basati sul vincolo del dono o a quelli basati sui rimborsi minimi, fino alla completa assenza di limiti giuridici. In Italia la maternità surrogata è illegale e molte coppie espatriano per ricorrere a questa pratica.

Ormai in tv non si fa che parlare di “uteri in affitto” in maniera spesso semplicistica e l’informazione mainstream non ha potuto proprio fare a meno di ignorare il figlio di Nichi Vendola e consorte, nato con surrogacy, direttamente dall’America. Sembra che l’universo della vita, della maternità, abbiano riaperto un dibattito profondo nella società, anche all’interno del movimento femminista, tra chi sostiene che la gpa sia sfruttamento di manodopera umana a basso salario, per rispondere ai desideri di maternità e paternità di una classe economica elevata, e chi, con uno sguardo diverso, la considera da un punto di vista dell’autodeterminazione femminile, e non solo nella visione della maternità tout court, ovvero, “l’utero è mio e lo gestisco io”.

Vogliamo provare a mettere in luce alcuni aspetti, a porre interrogativi, ad aprire un dibattito in un’ottica diametralmente opposta a quella dei pro-life cattolici oltranzisti che influenzano decreti legge e governi, su un tema atavico come quello della vita, della sua continuazione, del corpo che la contiene, nel secolo che la attraversa.

In questi tempi in cui ci troviamo a vivere, medicina riproduttiva e medicina rigenerativa hanno aperto nuovi mercati globali, la cui fonte di plusvalore corrisponde direttamente con le potenzialità generative e riproduttive dei corpi. Aumenta la domanda di oociti, uteri, sperma, placenta, sangue del cordone ombelicale, cellule staminali, embrioni. Prolificano cliniche specializzate in fecondazione assistita e maternità sostitutiva e agenzie intermediarie pronte a fornire questi materiali in vivo, dagli Stati Uniti all’India, passando per l’Europa e la Cina.

(Nell’immagine a sinistra: Reality is an Invention Balthus tratta da questo sito)

Ma chi sono i fornitori di questi materiali? Il capitalismo post-fordista mette al lavoro la vita in sé (life as a surplus, riprendendo un titolo di M. Cooper), zoé, nella sua piena essenza riproduttiva, “superando la distinzione tra produzione e riproduzione” fino a costituire una nuova forma di “biolavoro”. Come stanno cambiando governance e politiche sui corpi alla luce delle trasformazioni globali che le nuove tecnologie della vita e dell’informazione hanno determinato? Quando famiglia e casa non sempre coincidono, mentre riproduzione e sessualità possono fare a meno l’una dell’altra? “Da una parte il neoliberismo è una macchina tecno-riproduttiva che non conosce sprechi di materiale biologico” e consuma e colonizza la vita tutta “ri-producendola tecnicamente dove è possibile”.

Melinda Cooper e Catherine Waldby analizzano in maniera puntuale il lavoro riproduttivo e rigenerativo ai tempi del biopotere economico, in un loro libro, utile bussola: “Biolavoro globale – Corpi e nuova manodopera”. La loro analisi è importante per coloro che si chiedono in che misura possiamo davvero godere dei progressi delle biotecnologie, quali soggettività vi hanno accesso e quali ne sono escluse. Sguardi sulle nuove frontiere dell’auto-controllo diffuso e del lavoro precario, spesso non retribuito. Femminilizzazione del lavoro significa anche biolavoro, manodopera clinica, sex work, lavoro di cura transnazionale, ma anche partecipazione alle sperimentazioni clinico-farmaceutiche in cambio di reddito, vendita di organi e fluidi.

“Nell’era dell’auto-gestione in cui forza-lavoro e mezzi di produzione spesso coincidono come elementi inseparabili dal proprio corpo, una venditrice di oociti o un’assegnista di ricerca si configurano entrambe come venditrici di proprie attitudini, imprenditrici precarie di sé”. Pensiamo al caso, delle madri surrogate: il loro mezzo di produzione è il loro utero, ma anche la ricercatrice non spegne il cervello d’estate e nei giorni festivi. Quello che li distingue è la differente esposizione ai rischi di vita e salute. Spesso le prime non sono nemmeno riconosciute da un punto di vista normativo come “manodopera” non hanno risarcimento ai giusti rimborsi o garantiti i propri diritti.

I corpi femminili interessano la produzione di biolavoro nel momento storico in cui i governi nazionali dismettono le politiche di welfare a sostegno alla famiglia, tagliando sull’istruzione pubblica, sulle politiche sociali, e sanitarie di base. Le donne europee hanno sempre meno figli e sempre più tardi. Se l’Europa dovesse contare sulla riproduzione solo dei corpi a cui è concesso lo status di cittadini, i tassi di crescita della popolazione diminuirebbero notevolmente.

Le nuove tecnologie della riproduzione funzionano anche come dispositivi in grado di selezionare tra corpi (e DNA annesso) che meritano di essere riprodotti e corpi che rappresentano riserva di materiale biologico. Dietro la compravendita di gameti ci sono donne che vogliono diventare madri e donne comunque svantaggiate economicamente. “Il turismo della fertilità (fertility tourism) ricalca la stessa geografia delle catene internazionali del lavoro di cura”. Gli oociti più richiesti sono quelli delle donne est-europee, bionde e occhi azzurri.

In alcuni stati americani, California in primis, la fecondazione assistita è un vero business. In Spagna, stato in cui nel 2013 era stata proposta una severa legge che penalizzava l’aborto (la proposta di legge Gallardon, fortunatamente non passata per la protesta delle donne), non ci sono stati molti “problemi morali” a proposito di surrogazione di maternità, al proliferare di cliniche, banche, agenzie di oociti e spermatozoi.

E’ evidente la tendenza generale a normare in senso neoliberista le nuove tecnologie di procreazione assistita e, in senso neofondamentalista contraccezione e aborto (lo “spreco” di vita secondo la retorica pro-life). Dietro l’obiezione di coscienza (in Italia parliamo del 70%, mentre in alcune città, si arriva al 100%), si cela una strategia economica del governo, mentre nello stesso tempo le cliniche private si arricchiscono. La Legge 40/04 italiana, in materia di procreazione medicalmente assistita l’hanno dettata loro, i pro-life, è evidente dagli errori, dai vuoti normativi e dal cinismo che ne caratterizza il testo.

Lavoro clinico

C. e W. chiamano lavoro clinico “il processo di astrazione materiale attraverso il quale gli imperativi astratti e contingenti dell’accumulazione vengono messi al lavoro a livello del corpo”.

Il Novecento ha immesso all’interno del corpo il processo produttivo, facendo, al contempo, circolare organi, sangue, tessuti al di fuori del corpo stesso, ma l’ annessione della riproduzione umana all’ambito della produzione non è una novità. Nelle economie agricole preindustriali la schiava era considerata un bene mobile, capace di generare almeno tre flussi di reddito: lavoro, prostituzione, riproduzione. Oppure pensiamo alle mansioni legate al mestiere della balia, come l’allattamento in cambio di denaro, altro antecedente delle capacità della biologia riproduttiva scambiate nel mercato del lavoro informale.

Le donne delle classi meno abbienti hanno dismesso queste pratiche solo all’inizio del XX secolo, dopo numerose campagne di salute pubblica che hanno anche moralizzato, sacralizzato, quasi, l’esperienza della maternità.

C. e W. denominano il tema della fertilità esternalizzata, ovvero la scienza delle cellule staminali che sta rinegoziando i limiti della riproduzione umana. Implica l’appalto dei diversi momenti del ciclo biologico riproduttivo femminile, ovvero, messa a disposizione di gameti, gravidanza e parto, in cambio di contratti che prevedono un risarcimento economico. I settori più redditizi della bioeconomia (ovvero la “comunanza tra vita e capitale”), banche del seme, cliniche per la fecondazione, agenzie mediatrici, siglano questi contratti per conto dei loro clienti, i genitori committenti.

Le banche commerciali del seme hanno per prime avviato la speculazione sulla fertilità esternalizzata. La messa a disposizione del seme è dal punto di vista biologico, un’attività a relativamente basso rischio. La messa a disposizione dei gameti femminili è molto meno semplice e più invasiva. Tecniche biochimiche comportano per le donne rischi fisici maggiori, l’entità di questi rischi, porta a chiedersi in che misura esse abbiano accesso a un’adeguata retribuzione, a cure soddisfacenti, e appropriate tutele giuridiche.

“Le agenzie di surrogacy nascono tra la fine degli anni ’70 e ’80 negli stati dotati di legislazioni meno restrittive in materia di adozione, come Florida e California, spesso non create da medici, ma da avvocati”. Esse non hanno seguito il modello delle banche del seme, che reclutavano soprattutto studenti universitari per valorizzare caratteristiche di classe e intelligenza, ma giovani donne provenienti dalle comunità locali, “preferibilmente donne sotto i 35 anni, già madri e desiderose di aiutare un’altra coppia ad avere un figlio”. La separazione di utero e oocita, possibile grazie alla surrogazione gestazionale, ha fatto si che perdesse d’importanza la valutazione (patrimonio genetico, aspetto fisico, doti intellettuali) della madre surrogata. “Esse provengono dalle sottoclassi del lavoro produttivo, con redditi modesti, ma non bassissimi, per prevenire le accuse di sfruttamento”.

Sia le madri surrogate, sia le venditrici di oociti sono escluse dalla negoziazione del prezzo, l’agenzia intermediaria stabilisce i prezzi al rialzo con i genitori. La California ha un indiscusso primato nell’ambito della surrogacy (procedure regolate tramite contratti privati). I processi di lavoro riproduttivo sono compresi nell’ambito dell’esternalizzazione, dunque c’è la tensione a scaricare sulle lavoratrici della riproduzione i rischi biologici e psicologici. Inoltre sono presenti numerosi vuoti normativi, considerando anche che molti stati americani non riconoscono the surrogacy arrangement e che il problema si pone anche a livello continentale.

(Nell’immagine a sinistra: Keith Haring, Untitled 1986 – Maternity)

Il prezzo medio di oociti negli Stati Uniti si aggira introno ai 10000 dollari, mentre le madri surrogate sono pagate dai 20000 a 150000 dollari circa. I genitori committenti quasi sempre devono sostenere costi molto elevati per l’aggiunta di procedure cliniche e spese legali.

Le donne, anche in tempi di crisi prolungate, sono state costrette a inventarsi nuove nicchie produttive nell’economia informale, donne che come scrive S. Sassen, “nutrono i circuiti marginali di globalizzazione”, investendo sulle capacità riproduttive femminili come nutrimento, maternità, sessualità impiegandole come attività negoziabili.

In Spagna le cliniche di oociti si basano prevalentemente sul reclutamento di donne migranti e di studentesse che scelgono così di far fronte al proprio mantenimento e al pagamento delle tasse universitarie. Il modello spagnolo risponde alle esigenze di una clientela cosmopolita, etnicamente diversificata, il “modello” della Cecoslovacchia, invece, sembra essere più interessato alla conservazione della “purezza etnica e bianca”.

Una differenza sostanziale tra mercato USA e europeo: nel primo caso, vi è un mercato orientato verso le élite economiche, poiché per la presenza di vuoti normativi e scarsità di venditrici di gameti qualificate aumentano le tariffe. In Europa sono stati fissati dei livelli di indennizzo previsti dalla “Direttiva 2004/23 europea sui tessuti e cellule

In Romania le donne scelgono la vendita di oociti per pagare debiti e comprare beni di prima necessità. Nel caso indiano, la surrogacy, prende piede grazie alla commercializzazione di un surplus di fertilità. Alla metà del prezzo delle loro colleghe californiane. Si tratta soprattutto di lavoratrici agricole stagionali o lavoratrici informali senza assicurazione, previdenza, assistenza sanitaria che hanno deciso di diventare più volte madri surrogate. Esiste solo una clinica a New Delhi che sceglie donne della classe media. Per la maggior parte delle donne dei villaggi questa soluzione, non sembra diversa da altri tipi di lavoro femminilizzato, o a volte una via alternativa alla prostituzione.

Il contratto più diffuso comprende il pagamento di uno stipendio a intervalli regolari. Il compenso è fino a 7 volte maggiore del loro reddito annuale medio, per questo le donne acconsentono alla trasformazione del loro utero in una risorsa, capace di produrre rendita. Da ottobre del 2015, però, in India sono sopraggiunte regole più restrittive, poiché diversi scandali legali allo sfruttamento delle madri surrogate hanno portato il governo a limitare la surrogacy solo alle coppie di cittadini indiani e a vietare la pratica alle coppie omosessuali, single stranieri e coppie provenienti da paesi in cui questa pratica non è permessa.

Corpi, piacere, vita, genitorialità impattano tutta la società, a prescindere dal desiderio di maternità e paternità di ognuno, al di là delle considerazioni nei confronti di chi invece per qualunque motivo desidera un figlio. Un governo che vieta e ostacola la libera scelta di ivg o la fecondazione eterologa o la surrogazione di maternità ci priva del diritto alla salute e all’autodeterminazione, ma anche qualcosa di più. Scelte economiche e normative, concertazioni con lobby farmaceutiche, alleanze con poteri religiosi e conservatori. Ma le esperienze materiali tra corpi che innervano la realtà quotidiana sono assolutamente più avanti dell’ottusità di governanti e chiese…

Le scienze della vita potrebbero essere potenzialmente alleate, esistono tante nuove tecnologie quanti sono i nostri desideri. Il punto è sempre capire come vengono normate e valorizzate, dove, come, perché e a vantaggio e a scapito di chi. Il punto è: cercare di sovvertire la disimmetria strutturale, che non sia sempre a danno di molti/e e privilegio di pochi/e.

A proposito di maternità, ricordiamo l’appuntamento di oggi a Esc ore 18.00

Sul tema DdL Cirinnà e unioni civili, leggi anche: La libertà di non scegliere