COMMONS

Ai padroni di Facebook non piace il tasto “Non Mi Piace”

Zuckerberg vuole davvero inserire il tasto col pollice verso sulle nostre bacheche? Probabilmente no, ecco perché.

Con ogni probabilità, se state leggendo questo testo è perché qualcuno – un compagno delle scuole medie su Facebook, un influencer su Twitter – lo ha diffuso nei social network. Avrete così modo di assegnare un bel mi piace nel caso sia comparso sulla vostra timeline o di cliccare sulla stellina nel caso sia stato propagato tramite cinguettio.

Se, al contrario, disapprovate questo scritto, perché non siete d’accordo o perché riferisce cose che vi preoccupano, non vi sarà sufficiente un semplice clic. Avrete un solo modo di esprimere il vostro disappunto oppure il vostro sgomento: dovrete commentare, scrivere qualche parola, lasciare il mouse e utilizzare la tastiera per mandare l’autore a quel paese, manifestare sdegno o spiegare garbatamente dissenso.

Qualche giorno fa, nel corso di una session di Question&Answer al quartier generale di Menlo Park, il grande capo di Facebook Mark Zuckerberg, ha annunciato quella che è parsa una piccola rivoluzione. “La gente ha chiesto il pulsante non mi piace per molti anni e oggi è un giorno speciale perché è il giorno in cui dico che ci stiamo lavorando e siamo molto vicini al lancio del test”. Ha proseguito sostenendo che il tasto dislike “potrebbe permettere agli utenti di esprimere le emozioni in modo più realistico, piuttosto che avere una sola scelta“.

Ad una prima lettura pare lineare. Facebook ha lo scopo di spingere un miliardo e mezzo di utenti a condividere in tempo reale le proprie vite per metterle a valore. È grazie a questo coinvolgimento diretto che raccoglie l’8 per cento della pubblicità on line, tallonando Google con 17 miliardi di dollari di fatturato. Lavora più sulle emozioni che sugli elementi razionali e accontenta una richiesta. Col tasto non mi piace produce un’offerta che possa incrociare la domanda sul mercato delle passioni, delle condivisioni della cooperazione. La notizia si è diffusa come accade quando arriva un annuncio atteso, è stata accolta con sollievo, quasi come una vittoria democratica. I giornali rilanciano la cosa e sulle bacheche fioccano i like. Finalmente il tasto non mi piace, è quello che chiediamo da anni!

L’innovazione è apparsa meno netta già all’ascolto della dichiarazione integrale del Ceo di Facebook, Zuckerberg spiegato che non si limiterà a introdurre un bottone di dissenso e che la vicenda è più articolata. La questione del piacere o non piacere, insomma, non è liscia come sembra. E ci sono diversi motivi per ritenere che l’Operazione Dislike non convince appieno il management del Libro delle facce. In primo luogo, c’è il fatto che dopo anni di diffusione esponenziale, Zuckerberg e soci sanno benissimo che la giostra delle bacheche funziona molto grazie alla polarizzazione dei contenuti.

Torniamo alla questione dalla quale siamo partiti: se scrivo qualcosa che ti trova d’accordo o se posto un’immagine che incontra il tuo gradimento, ti limiterai a mettere mi piace. Tuttavia, la spinta condividere e produrre contenuti (che è ciò che interessa all’Uomo in Ciabatta) viene più facilmente dal disaccordo che dall’empatia. Per questo motivo è esistito soltanto il tasto mi piace. Perché, al di là della semplice (e fugace) dimostrazione di consenso, si scrive, si producono altri post, ci si dilunga, allo scopo di manifestare dissenso, marcare differenze, polemizzare, costruire affinità. Se esistesse il tasto non mi piace, in altre parole, si rischierebbe di arginare un dispositivo essenziale, uno spazio maggioritario e decisivo ai fini del coinvolgimento: quello del flame, della diatriba, del contraddittorio che a sua volta ne produce altri, costringe a schierarsi e a cercare consenso, a scrivere altri post o più facilmente a mettersi al traino di utenti forti che fungono alla bisogna e che attirino, questa volta sì, dei like funzionali a pareggiare i dislike manifestati per iscritto, o con immagini e video. È una dinamica non unidirezionale e neanche per forza futile: per l’eterogenesi dei fini e per via del fatto che non esistono poteri perfetti e controlli assoluti, ha prodotto anche moti di indignazione.

La faccenda pare relegata ad aspetti di costume 2.0 ma è di fondamentale importanza, visto che è su piattaforme come Facebook che ormai molti selezionano le notizie, si fanno un’idea del mondo. Come sarai oggi? Spaventato oppure ottimista? Ci sarà un’invasione di migranti oppure avrai modo di salvare il mondo cliccando sul sito che difende i coniglietti abbandonati? Il modo in cui dall’algoritmo EdgeRank in poi Facebook seleziona i contenuti che appaiono sulla linea del tempo di un utente influenza direttamente il suo umore.

È la vita che scorre ogni giorno sulla nostra timeline a insegnarcelo.