ITALIA

Zone rosse e guerra al degrado: lo spazio pubblico secondo Salvini

Zone rosse, daspo urbano, guerra ai poveri e agli attivisti: la ricetta di Salvini per le città-merce del decoro

«Ho firmato una direttiva a tutti i prefetti d’Italia: GUERRA TOTALE al degrado urbano, a spacciatori e balordi!» così su Facebook Matteo Salvini annuncia misure e poteri straordinari per «garantire adeguati livelli di vivibilità e decoro» quali l’istituzione di zone rosse da parte dei prefetti, che possono scavalcare i sindaci “distratti”. La circolare anti-degrado ricorda, nel caso qualcuno se ne fosse dimenticato, l’istituzione del reato di accattonaggio e dell’esercizio abusivo di attività di parcheggiatore. Obiettivo degli interventi la prevenzione della «criminalità̀ diffusa e predatoria, il potenziamento dell’azione di contrasto ai fenomeni legati al consumo smodato di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti, la tempestiva e ferma reazione verso ogni forma di abusivismo, come l’illecita occupazione di immobili pubblici e privati, o di violenza» si legge, in un unico paragrafo. «Si tratta – si legge nella circolare – di misure volte a limitare le opportunità̀ criminali, proponendosi di incidere anche sul livello di sicurezza e di benessere percepiti dalle comunità̀ locali» per contrastare «fenomeni antisociali e di inciviltà̀ lesivi delbuon vivere” cittadino» a causa del «persistente afflusso di un notevole numero di persone, sovente in condizioni di disagio sociale».

Alle misure già previste già dal Decreto sicurezza approvato a novembre scorso – tra cui l’estensione del DASPO urbano introdotto dal decreto Minniti sulla sicurezza nel 2017, e l’uso del teaser – si aggiungono nuovi strumenti «di natura straordinaria, contingibile e urgente»: l’individuazione di zone rosse, attraverso la convocazione dei Comitati per l’ordine pubblico, per contrastare il degrado nelle aree urbane «caratterizzate da una elevata densità̀ abitativa e sensibili flussi turistici» o da «una pluralità̀ di istituti scolastici e universitari, complessi monumentali e culturali, aree verdi ed esercizi ricettivi e commerciali». In sostanza, non c’è nulla di nuovo rispetto al Decreto Sicurezza, la circolare semmai mira a metterlo in atto, pezzo dopo pezzo, magari forzando il potere dei Prefetti.

Tutto l’armamentario della retorica securitaria anti-degrado, sempre più vaga anche dal punto di vista giuridico, sembra avere come unico obiettivo quello di accrescere la percezione di insicurezza degli italiani criminalizzando comportamenti “anti-sociali” per giustificare strumenti straordinari di controllo e privatizzazione del territorio. Se i reati sono in calo da anni – l’unica “emergenza sicurezza”, al limite, riguarda le donne, vittime di oltre un terzo degli omicidi commessi in Italia tra il 2017 e il 2018, nel 70% dei casi in ambito familiare – ciò che conta è appunto la percezione della sicurezza. Del resto, per ammissione dello stesso Marco Minniti, «le politiche di sicurezza si misurano soprattutto con il sentimento percepito dagli italiani» – il famoso “sentiment” altrimenti chiamato “pancia”.

È dunque alimentando la percezione di insicurezza attraverso la retorica del degrado che si giocano due partite fondamentali sulla pelle delle città: da una parte la crociata contro i poveri, i “clandestini”, gli “abusivi” e le occupazioni abitative e sociali, i militanti e gli attivisti. Dall’altra si dà una bella oliata gli ingranaggi delle operazioni di rendita urbana, gentrificazione e turistificazione delle città, da trasformare in esclusivi luoghi di consumo – di decorosi prodotti tipici locali, però – per ricchi e turisti. Se il food è il motore della crescita dei quartieri turistici, la macchina della discriminazione securitaria rivela un’ossessione per i panini (Nardella) e il consumo smodato di alcol (Salvini), “spacciato” dai bangla e dai kebabbari, che infesta lo spazio pubblico. La circolare di Salvini è stata anticipata dalle ordinanze di due città a guida PD, Bologna e Firenze, e in alcuni punti è un copia-incolla dell’ordinanza anti-balordi del prefetto di Firenze, Laura Lega, che prevede il «potenziamento dell’azione di contrasto così da elevare al contempo la percezione di sicurezza (…) anche in ragione dei consistenti flussi turistici destinati a incrementarsi in corrispondenza della stagione primaverile». La retorica anti-degrado è bipartisan tra prefetto e sindaco Nardella.

L’esclusione dallo spazio pubblico di gruppi sociali indesiderati a causa del loro comportamento “sgradevole” è un meccanismo vecchio e noto. Si criminalizzano la povertà (l’accattonaggio) e i comportamenti individuali definiti anti-sociali e lesivi al buon vivere (il consumo smodato di alcol), si rendono penalmente perseguibili, si mischiano nel grande calderone di reati-comportamenti dove troviamo, indistintamente, lo spaccio, l’occupazione di immobili, l’accattonaggio, l’abusivismo, si annuncia il dilagare del degrado e del caos e, infine, si privatizza lo spazio pubblico in nome dell’ordine e del decoro. Che prima si siano tagliati i fondi pubblici per i territori, che non si sappia bene quale sia il criterio di definizione del disagio sociale (il reddito?), che i privati abbiano lasciato in stato di abbandono intere aree urbane, è parte integrante del ciclo disinvestimento/investimento con cui nella fase due si trasformano le aree urbane (centrali) in parchi a tema più sicuri, più ordinati, più puliti e più bianchi. Le zone rosse che il prefetto di Firenze ha perimetrato sulla mappa sono le aree e i servizi da cui estrarre rendita, attraverso il turismo e la gentrificazione, sicure e pronte, riservate ad alcuni cittadini – quelli ricchi e quelli di passaggio.

A Roma, una città «fuori controllo, dove i romani si affacciano e vedono la merda», la sindaca Raggi ha fornito un formidabile assist al disegno di ordine salviniano riducendo la città a una discarica a cielo aperto. E non sarà certo qualche daspo urbano a disturbare le organizzazioni criminali che rilevano gli esercizi commerciali in centro per riciclare denaro, che aprono casinò e sale slot in periferia, che gestiscono le piazze di spaccio della Capitale. L’importante è ciò che si vede. Perchè, come scrive Sharon Zukin in Naked City, «ciò che inizia come una crisi d’immagine di una città in abbandono conduce da un lato all’indignazione del ceto medio per la qualità della vita urbana, e dall’altro all’ansia degli uomini d’affari per il clima d’investimenti. Questa indignazione e questa ansia rappresentano le premesse culturali dell’odierna era di privatizzazioni». Così, in nome del decoro, pezzo dopo pezzo la città diventa un prodotto.

 

In copertina un’opera di Marco Casolino esposta al MAAM di Roma