MONDO

Voci da Gaza durante la pandemia

Un gruppo di attivist* italian* ha organizzato una serie di iniziative comunicative per parlare di occupazione e apartheid. In un podcast, il racconto di un attivista della campagna BDS che vive a Gaza

Tra le forme di attivismo più messe in crisi dalla pandemia da Covid-19 vi è sicuramente l’internazionalismo solidale. La situazione attuale ci costringe a rimanere nei nostri paesi e quella fitta trama di relazioni, scambi, testimonianze ed esperienze condivise che l’internazionalismo può portare è venuta inevitabilmente meno.

Se questo principio è valido per l’intero pianeta, lo è ancora di più rispetto alla situazione politica in Palestina, un’area del mondo in cui, per svariate ragioni che meriterebbero un approfondimento a parte, l’internazionalismo era sicuramente indebolito già prima della pandemia.  Eppure la situazione in Medioriente non è cambiata, la violenza strutturale dell’occupazione e dell’apartheid israeliano sono intatte, la disinformazione che arriva tramite i media mainstream in Europa è rimasta tossica.

Per provare a reagire a questa situazione, un gruppo di attivist* italian* di vari collettivi e contesti sta provando a costruire un percorso di conoscenza e approfondimento critico, al momento ovviamente focalizzato su strumenti online.

 

 

Punto di partenza è la volontà di dare spazio alle tante voci che in Palestina hanno da raccontare, condividere e testimoniare.

 

Nel loro documento di presentazione scrivono «L’attuale contesto sociale, storico e politico nel quale la pandemia da Covid-19 sta monopolizzando le diverse forme di informazione mediatica, per ragioni che possiamo comprendere, ci ha portato a riflettere sulla cruciale importanza di riprendere le maglie del discorso e tornare a parlare di Palestina, dando voce direttamente a chi, quotidianamente, ci vive e ci lotta. L’informazione mediatica dei canali mainstream, giornali e tv, non è solo distorta e lontana dalla realtà palestinese ma è allo stesso tempo volutamente mistificata da cieche narrazioni xenofobe. […] Il racconto che ci giunge quotidianamente riprende la voluta decisione internazionale di identificare l’apartheid in Palestina come un mero conflitto tra due popoli eguali, appellandosi alla pace e all’equidistanza. Sappiamo che non è cosi».

 

 

Il gruppo include diverse realtà attive sul territorio nazionale, come Progetto Palestina di Torino, Westclimbingbank di Milano, Gaza FreeStyle a Roma. Alla raccolta e diffusione di testimonianze si vuole poi aggiungere una campagna comunicativa in contemporanea nelle diverse città, di cui si vede qualche prima uscita in queste immagini.

 

Il primo lavoro di raccolta voci dalla Palestina riguarda la situazione della Striscia di Gaza. Al centro dell’intervista qui a seguire, c’è Khalil, compagno ghazawo, attivista della campagna BDS.

 

Khalil studia scienze politiche e vuole proseguire i suoi studi con un master sull’apartheid imposta dal governo Israeliano. Oltre allo studio si occupa dell’insegnamento della lingua inglese e collabora con dei musicisti (Gaza Blues) con cui hanno rifatto delle canzoni popolari palestinesi, collezionate in un album che si chiama Tyrants’ Fear of Songs. È affetto da un cancro alla colonna vertebrale e periodicamente ha bisogno di cure quasi mai presenti sul territorio di Gaza, che lo portano a dipendere dai permessi delle autorità sioniste per farsi medicare a Gerusalemme.

È in questo contesto che alcun* compagn* sono entrate in contatto con lui, quando era in riabilitazione post-trapianto di midollo presso l’ospedale Al Mokassed, e hanno potuto parlare della situazione a Gaza durante la pandemia, dell’oppressione israeliana, della campagna BDS e di molto altro.

La forma scelta per dare voce a Khalil è quella del podcast, che siamo lieti di ospitare su Dinamopress.

PODCAST