OPINIONI
Verso lo sciopero generale contro la finanziaria di guerra
Mentre si avvicina la finanziaria di guerra del governo Meloni il mese di novembre diventa centrale per costruire convergenze e unire le lotte. La coalizione Equipaggi di Terra, nata a seguito delle mobilitazioni di settembre a sostegno della Global Sumud Flotilla, continua a incontrarsi per tessere reti e opposizione sociale, verso la manifestazione transfemminista del 22 novembre, lo sciopero generalizzato del 28 e la manifestazione per la Palestina del 29. Prossimo appuntamento, mercoledì 19 novembre a Esc
Pubblichiamo a seguire il documento letto dalla coalizione Equipaggi di Terra durante l’assemblea nazionale in Sapienza del 15 novembre. Nel testo si rilancia la necessità di convergere verso obiettivi comuni in questo novembre di mobilitazioni, mantenendo lo spirito dei giorni a supporto della Global Sumud Flotilla. Il prossimo appuntamento organizzativo aperto a chiunque voglia contribuire sarà mercoledì 19 novembre alle ore 18.00 presso Esc atelier autogestito (Via dei Voslci, 159).
Nel 2024 l’Italia ha speso 34 miliardi di euro in spesa militare. La stima per il 2025 si attesta sui 45 miliardi (2% del Pil) e per il 2035 si è stabilito dovrà arrivare a 146 miliardi: il famoso 5% del PIL.
Solo per l’Italia, la spesa complessiva per i prossimi 10 anni sarà quindi pari a 964 miliardi di euro.
Quella europea si prepara a crescere e nei prossimi 10 anni arriverà a 6.800 miliardi di euro, quello che il piano Defence Readiness definisce un boost, un big bang per la riconversione industriale del continente.
La sola Rheinmethall ha commesse arretrate per 63 miliardi di euro, Leonardo per 45, la britannica BAE Systems per quasi 90 miliardi. La riconversione bellica sta già atterrando sugli stabilimenti industriali in mezza Europa e costringerà la forza operaia, già in crisi e con la cassa integrazione aumentata del 22% solo nell’ultimo anno, a “scegliere” tra la fame e la produzione di strumenti di morte, con buona pace dei territori già martoriati e della ormai accantonata messa in sicurezza e transizione verde.
Intanto i morti sul fronte ucraino sono già oltre 250mila a cui si aggiungono le oltre 70mila vittime del genocidio a Gaza, dove non si contano i dispersi sotto le macerie del 98% dei palazzi distrutti.
Ma l’instabilità politica e i conflitti che giustificherebbero e ci costringerebbero a questa scelta obbligata di riarmo, non sono casuali, bensì provocati ad arte proprio da quei governi che oggi ci chiedono di arruolarci (vedi riforma della leva e della ferma volontaria in Germania): le politiche di apartheid e colonizzazione d’insediamento, la destabilizzazione in giro per il mondo. L’innesco di conflitti per l’approvvigionamento delle risorse naturali rare e limitate e lo sfruttamento dell’ambiente fino a produrne il collasso. La fine del multilateralismo e la delegittimazione degli organismi internazionali.
Il diritto internazionale viene sistematicamente violato dall’alto e con la Global Sumud Flotilla e le mobilitazioni contro il genocidio in Palestina ci siamo scoperte e scoperti a doverlo difendere, rivendicare e praticare dal basso.
È stata quella una delle micce che ha innescato le maree di settembre e inizio ottobre: la consapevolezza di essere dalla parte giusta, dalla parte di un diritto che questa volta non siamo noi a forzare dal basso, per far avanzare la costituzione materiale, ma che viene infranto dall’alto, affermando de facto il diritto al dominio. All’interno di quelle maree, in cui ci siamo riconosciute come equipaggi di terra, abbiamo imparato che è ancora possibile non solo immaginare ma anche costruire alternative, relazioni sociali e politiche nuove. Le stesse che ci hanno permesso in centinaia di migliaia di bloccare tutto. E di tornare a farlo il giorno dopo e quello dopo ancora.
Obiettivo chiaro e dichiarato che vogliamo rilanciare per il 28 novembre e lo sciopero generale; non solo perchè è la pratica che abbiamo gia condiviso, perché il messaggio è arrivato forte e chiaro e ha fatto tremare i polsi a molti, ma anche perché riafferma uno strumento di lotta per tutte e tutti, per ogni figura del lavoro vivo contemporaneo, riuscendo a renderlo sociale e a generalizzarlo. Così come vogliamo essere in piazza il 29 e tornare a manifestare la nostra solidarietà al popolo palestinese.
Ma al di là e oltre le date, abbiamo bisogno di strutturare e organizzare nei territori quell’energia e intelligenza collettiva. Il nostro confronto non dovrà essere su una manifestazione ma l’attivazione di un processo costante e lungo di tessitura e cooperazione nel fare insieme, in cui vengano coinvolte tutte le singollarità e le soggettività lavorative, sindacali, associative, politiche e sociali, ma con l’attitudine alla convergenza, a praticare insieme, a guardarsi le spalle di fronte alla reazione che possono suscitare. I territori come ossatura di un ecosistema complesso e conflittuale in grado di essere all’altezza del cambio di paradigma. Muoversi proprio come una flotilla, ognuno nella propria imbarcazione navigando verso la stessa direzione
La questione centrale, in fondo, è il potere del capitalismo e la sua pressione dall’alto, ma dobbiamo essere in grado di guardare soprattutto ai popoli e i soggetti che si organizzano contro il genocidio, la guerra e lo sfruttamento mortifero che generano, alla messa in discussione, dal basso, della violenza del profitto.
Le nostre radici affondano in questa storia sovversiva: l’esercito di contadini di Münster, i comunardi e le comunarde della Comune di Parigi; il popolo ribelle della Repubblica Romana; i disertori della prima guerra mondiale; le occupanti di terre e fabbriche del biennio rosso, le partigiane e i partigiani contro il fascismo.
Quel testimone oggi vive nei movimenti mondiali transfemministi, nelle comunità autonome zapatiste e quelle del confederalismo democratico in Kurdistan; negli indios dell’Amazzonia in marcia contro la COP30, nelle lotte delle precarie e dei precari, nelle mobilitazioni degli studenti per il welfare e la difesa della formazione, nelle proteste delle nuove generazioni contro l’economia fossile. Nella resistenza del popolo palestinese al neocolonialismo occidentale.
Da che parte stare lo sappiamo, ora è il momento di organizzarsi e trasformare il desiderio di un altro mondo possibile in una materiale trasformazione dell’esistente.
Quando l’ingiustizia si fa sistema non si può rimanere fermə.
Per questo il 15 novembre abbiamo risposto alla chiamata al Climate Strike, perché il genocidio è anche ecocidio.
Per questo saremo in piazza il 22 novembre, perché il sionismo è la massima espressione della violenza patriarcale e ci vogliamo vive e ci vogliamo libere dal fiume fino al mare!
Per questo generalizzeremo lo sciopero del 28 novembre, perché lo sciopero non è di chi lo indice ma di chi decide di praticarlo come strumento di liberazione!
Per questo saremo in piazza il 29 novembre per la giornata di solidarietà internazionale con la Palestina, perché quella Resistenza libera anche a tuttə noi!
In un crescendo di mobilitazioni e di costanza nell’organizzazione degli equipaggi di terra, ma anche di mare, che guarda lontano. Perché è a Gaza che vogliamo arrivare. Perché è fino alla fine del Genocidio e dell’occupazione che vogliamo continuare a lottare! Affinché un giorno anche la Palestina possa festeggiare il suo 25 aprile, la sua giornata della Liberazione!
Per costruire tutto questo e farlo insieme ci vediamo mercoledì 19 novembre alle ore 18:00 ad Esc atelier autogestito (via dei Voslci, 159).
La foto di copertina è di Marta D’Avanzo – Dinamopress
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