editoriale

Verso e oltre il 25 marzo

Per un’Europa della libertà di movimento, contro confini, austerità e razzismo
No al business delle frontiere. Sanzionata sede Indra

La piazza dei 200mila di Barcellona, attraversata dal grido “vogliamo accogliere”, ci segnala una possibilità, a partire dallo spazio europeo: quella di “essere marea”, fare coalizione, segnare l’ordine del discorso, dal basso, rimettendo al centro la libertà di movimento e il diritto per ogni essere umano di scegliere dove andare, dove risiedere, dove vivere.

Il governo della mobilità umana, in modo ossessivo, e schizofrenico al tempo stesso, si configura sempre più come un atto di guerra ai migranti ed alle migranti, disvelando ed inasprendo le connotazioni securitarie e repressive che negli anni più recenti erano state mistificate ed apparentemente marginalizzate nell’alveo dei più funzionali dispositivi del controllo tecnocratico e selettivo e della retorica dell’ “umanitario militarizzato”. Nessuno si salva in questo gioco al massacro. Le sofisticate politiche governamentali europee non differiscono, nella sostanza, dalla grettezza populista e criminale di quelle trumpiane. E’ la vita delle e dei migranti, oltre alla possibilità di autodeterminare esistenze, progetti e aspirazioni, ad essere in pericolo, che ne si ostacoli il cammino ergendo reti e muri o ne si indirizzi e dévi la traiettoria.

Nonostante le condanne di parte europea ai provvedimenti lesivi della dignità personale adottati da Trump (verso i migranti, ma anche i nativi, le donne, le comunità lesbiche, omo e transessuali), i nostri governanti non abdicano al ruolo di sentinelle loro assegnato nello scacchiere che condiziona la mobilità umana e si adoperano nella chiusura delle rotte (Egeo, Balcani, etc.) verso l’Europa del nord e mediterranea, attraverso accordi bilaterali e di riammissione con Stati criminali e dittatoriali, il cui solo obiettivo è il posizionamento geopolitico, il controllo militare di coste e territori, la devastazione neocoloniale, la speculazione economica. Se, come sembra, l’attuazione dell’Agenda europea sulle migrazioni sta avvenendo, contestualmente alla chiusura delle quote nazionali di ingresso per la migrazione non qualificata e “non programmata”, a botte di compact con Paesi africani e mediorientali, il diritto di asilo, già fortemente svuotato dai regolamenti Dublino e dalla logica duale hotspot, generatrice di “illegali” e “meritevoli”, sarà ancora più compromesso. Attraverso l’esternalizzazione delle frontiere, assisteremo, inoltre, ad un ispessimento della blindatura selettiva dello spazio europeo, al reinvio verso Paesi considerati “sicuri” in cui la violazione dei diritti è sistematica, insieme alla concretizzazione del mantra populista/assistenziale “aiutiamoli a casa loro”, mascherato da cooperazione allo sviluppo sostenuta (anche finanziariamente) dagli Stati.

Il nuovo Piano dell’Ue sull’immigrazione, che integra l’Agenda del 2015 ed il Migration compact del 2016, ha come obiettivo prioritario l’interruzione del flusso dei migranti dalla Libia all’Europa. Una “linea di protezione” della guardia costiera libica, scientemente addestrata dall’operazione Sophia, impedirà la mobilità delle imbarcazioni dirette verso l’Europa mediterranea. “Appaltare”, con lauti finanziamenti, il controllo delle vite umane a “terzi” (la guardia costiera libica, sostenuta anche da altri Paesi nordafricani), laddove le navi europee non possono entrare: questo, il vero giochino al massacro, in linea di continuità con il traffico di corpi, che abbiamo la necessità di disambiguare. Europol, Interpol, Eunavformed e Frontex, tutti insieme appassionatamente, in un mortale abbraccio con le polizie e le guardie costiere di Paesi “sicuri” di partenza e di transito, impegnati a governare le traiettorie e le aspirazioni di pericolosi soggetti, potenziali terroristi, peggio ancora se musulmani. Il velo dell’ “umanitario”, atto a salvare vite umane in mare, è, forse definitivamente, caduto. Resta tutta la crudezza machista del “militare”.

Alla laboriosità, anche legislativa, nel potenziare i regimi di rimpatrio e i centri di detenzione, e nel rendere immediatamente esecutivi gli hotspot, dove l’accesso alla procedura per la protezione è reso difficile o ai limiti dell’impossibile, in un’opera di costruzione dell’illegalizzazione come esperienza, si contrappongono gli esigui effetti della relocation, per la redistribuzione fra gli Stati membri di richiedenti protezione internazionale, in base a quote nazionali definite con criteri condivisi. Ad oggi, poche migliaia di ricollocati, con l’Italia e la Grecia, pedine strategiche nel controllo dei confini e delle traiettorie umane (non fosse altro per la collocazione geografica), che si stanno configurando, in particolare, come nazioni “trappola”…. nè andare, nè restare, nè attraversare… corpi di donne e uomini migranti, ostaggio delle politiche europee. Politiche che, in una trappola necrofila di austerità selettiva e populismo di stampo xenofobo, producono soggettività impoverite, vulnerabili e precarie, funzionando quale dispositivo di ricatto e di confinamento materiale e simbolico delle vite, che si tratti di spazi metropolitani, mercati del lavoro, regimi di welfare. I confini, anche intraeuropei, mobili e continuamente riarticolati, attraversati sempre più spesso da giovani generazioni precarizzate in pelle bianca o nera, contribuiscono a sostenere il processo di differenziazione delle molteplici forme della mobilità umana, nell’ottica di una specifica ri-collocazione in posizione subalterna di corpi, altrimenti “indisciplinati”, all’interno della stratificazione economica, sociale e culturale, secondo le linee del colore, del genere, dell’origine sociale e nazionale.

Nella figura del rifugiato, in particolare, si innesta e si concentra almeno una duplice forma di ri-collocazione e controllo: in un’ottica mainstream, vita da assistere in funzione salvifica in un percorso segnato dalla frontiera all’inserimento nello stratificato ed umiliante sistema di accoglienza. Ma anche, in una visione populista, soggetto indesiderabile, sospetto, parassita dello Stato e del welfare. Soggetto criminalizzato, soprattutto, quando forza l’ordine del “confine”, praticando, in concorso con altri, condotte illegali.

I Decreti legge Minniti-Orlando e il Memorandum d’intesa Italia-Libia sono, letti in quest’ottica, due facce della stessa medaglia. Il percorso dalla partenza all’arrivo è tracciato e condizionato. E lo è anche il percorso di integrazione, che assegna ai soggetti “volenterosi” lavoro socialmente utile gratuito, in un effetto concorrenziale con i giovani sfruttati e precarizzati autoctoni. Il meccanismo ricattatorio di workfare, in un caso, condiziona la titolarità del soggiorno, l’esistenza come cittadino riconosciuto formalmente come portatore di diritti, pena il rimpatrio; nell’altro, determina l’accesso alle politiche attive e ad un’occupazione degnamente sottopagata, pena un’occupazione degnamente sfruttata mascherata da stage. Del resto, non ci parla di questo l’ultima seriosa boutade di Renzi…il lavoro di cittadinanza?

Nel complesso quadro interpretativo della crisi della governance europea nella gestione della mobilità umana attraverso i confini, inquietante campo di battaglia politica tra Stati, ci sembra quanto mai urgente e necessario dare corpo e restituire spazio proprio a quegli atti di “fuga”, disobbedienza, sottrazione, che in modo differente ed articolato, i migranti e le migranti, spesso insieme a reti di sostegno di attivisti e attiviste, mettono in atto. Idomeni, Lesvos, Ventimiglia, Taranto, Lampedusa, Calais si collocano già oltre il confine e parlano la stessa lingua, interrogando lo spazio europeo e la sua ridefinizione.

Ri-collocare al centro la soggettività migrante significa, per questo, assumere lo spazio europeo come uno dei terreni prioritari di azione politica ed accettare la sfida posta da un campo “disintegrato”, striato, a molteplici velocità, dove l’opzione nazionale rischia (e già in parte è così) di offrire terreno ad un populismo che si nutre di razzismo, fascismi, assottigliamento degli spazi di libertà e uguaglianza.

Ri-collocare al centro la soggettività migrante significa riconoscere che i migranti e le migranti non sono solamente uno degli oggetti di ossessione, forse il più evidente, della governance odierna, ma sono soggetti più di altri in grado di dislocare costantemente le forme del disciplinamento e della repressione della mobilità e di trasformare le figure della cittadinanza. Sono soggetti centrali, perché il loro spostamento mette in tensione i confini nazionali ed intraeuropei, così come la loro collocazione nel mercato del lavoro forza l’idea dell’uomo/bianco/lavoratore come unico titolare di diritti di cittadinanza, rideterminando complessivamente le molteplici forme dello sfruttamento. Essi sono oggetto di sperimentazione di politiche di disciplinamento e di controllo e forme invisibili dell’esclusione e dell’emarginazione. Quando occupano spazio pubblico, diventano corpi detestati sul terreno della concorrenzialità economica e sociale e minaccia per il patrimonio valoriale e culturale.

Questa Europa, così configurata, non ci piace e non è la nostra; la rispediamo radicalmente al mittente.

Il 25 marzo i potenti d’Europa si riuniranno a Roma per celebrare il 60° anniversario dei Trattati di Roma ed accelerare un processo di integrazione, in risposta all’elezione di Trump, a Putin, alla Brexit, che nella realtà produce politiche sincopate e schizofreniche, su più fronti, e differenziate vie di uscita dalla crisi. La chiamano Europa a due velocità. Ma stanno già inventando nuove perifrasi, a “cerchi concentrici”, a “geometria variabile”, ugualmente nefaste per gli effetti che producono sulla vita delle persone in carne ed ossa.

Ripartiremo proprio da Roma, città post-metropolitana e meticcia, e proprio il 25 marzo, per alludere ad una costellazione sul piano (almeno) europeo di esperienze sociali e politiche che, nelle pratiche mutualistiche, nell’autodeterminazione dei soggetti e nelle rotture conflittuali, siano in grado di contrastare, al tempo stesso, le retoriche dell’umanitario e l’aggressione xenofoba e islamofobica gestita dalle destre, politicizzando lo scontro sociale e prefigurando la ridefinizione dello spazio europeo in forma solidale.

Ritessere, nella sostanza, un terreno politico comune. Connettere ciò che le politiche necrofile, di austerità, razzismo e precarizzazione provano a separare.

Il 25 marzo è parte di questo tentativo.

#libertadimovimento

#Europeforall