MONDO

Tunisia, “Tawra Mustamirra”: la Rivoluzione continua

Nell’anniversario della rivoluzione di dieci anni fa, tanti tunisini e tante tunisine hanno deciso di sfidare il coprifuoco imposto dal governo e stanno scendendo in strada a protestare in diverse parti del paese. Durissima la repressione della polizia. Un ricordo degli eventi del 2011

«Pane, libertà, dignità della nazione», si cantava nel 2011 nelle strade in Tunisia. Gli Armada Bizerte, il rap underground di Farid El Extranjero, Kafon e El General facevano da colonna sonora alle manifestazioni ed i muri si riempivano delle parole e le immagini dei collettivi artistici di Ahl al-Kahf e i Molotov.

«Si chiama Ṯawra al-karāma – La rivoluzione della dignità– e da questo punto di frattura non si torna indietro», dice Rabii Brahim, musicista e performer tunisino, co-fondatore di Corps Citoyen, un collettivo che si interroga sulla relazione tra corpi, movimento politico e teatro. «Il mio percorso parte dal tetto dell’ Accademia d’Arte Drammatica di Tunisi, dove ci riunivamo di nascosto per fare politica ai tempi di Ben Ali. I muri dell’università ci proteggevano, perché occupare lo spazio publico non era un nostro diritto. Poi, quel 14 gennaio 2011 tutto è cambiato«.

Quest’anno, dopo dieci anni dalla caduta del regime di Ben Ali, per la prima volta non è stato un anniversario di festa. Il governo ha decretato un coprifuoco nazionale di quattro giorni a causa dell’incremento dei casi di Covid-19. L’ Avenue Habib Bourghiba, la lunga strada nel centro di Tunisi che fa da cornice alle grandi manifestazioni, incluse quelle del gennaio 2011, e che si sarebbe riempita di migliaia di persone per l’anniversario della rivoluzione, tra festeggiamenti e proteste contro l’attuale governo, è stata bloccata dalla polizia ed è rimasta vuota. Una rivoluzione confinata.

 

Fare bilanci, oggi, è complicato. Prima di tutto perché le statistiche del regime erano interamente controllate, per donare al popolo tunisino e all’estero, l’immagine della bella Tunisi da cartolina, una piccola nazione sul mare, moderna, aperta e stabile. La rivoluzione del 2011 ha scardinato questa narrazione, portandone alla luce il marcio che c’era: la corruzione dilagante, l’assenza di diritti, della libertà di espressione, la disoccupazione e la povertà.

 

La scintilla scocca il 17 dicembre 2010. Mohamed Bouazizi, un giovane venditore ambulante di Sidi Bouzid, a circa 250 km a sud di Tunisi, per protestare contro la polizia che gli ha sequestrato il carretto della frutta e della verdura, compie un gesto disperato e si brucia vivo. Morirà dopo poche ore. La rabbia del popolo esplode e le manifestazioni disegnano una mappa delle diseguaglianze sociali ed economiche delle regioni rurali e delle periferie della Tunisia, fino ad arrivare al cuore pulsante di Tunisi, la medina, il 14 gennaio 2011 quando, sotto gli occhi increduli di tutto il mondo, Ben Ali è costretto a fuggire. Il regime è caduto, e la repressione delle forze di polizia, ha provocato quasi mille tra martiri e feriti.

I segnali di un profondo malcontento popolare erano già arrivati nel 2008 durante le proteste di Gafsa – raccontate anche nel blog “ A Tunisian Girl” di Lina Ben Mhenni, la più importante attivista tunisina di questi anni, scomparsa prematuramente un anno fa – ma erano state sedate e nascoste dal regime. Queste proteste segnarono un’importante rottura con il modello economico del regime, che sfruttava le regioni ricche di risorse senza una redistribuzione dei guadagni: grazie al fosfato estratto dal bacino di Gafsa, la Tunisia era il quarto produttore al mondo del minerale. Eppure la regione era rimasta una delle più povere del paese, nessuna infrastruttura, salvo una linea ferroviaria che serviva unicamente al trasporto delle merci.

 

In questi dieci anni, la Tunisia ha fatto passi avanti in termini di processi democratici, le donne sono entrate in parlamento, ci sono state elezioni riconosciute a livello internazionale, la costituzione approvata nel 2014, ma le istanze profonde della rivoluzione, la richiesta di una vita dignitosa e libera per tutt*, stentano ancora a realizzarsi.

 

Collage di manifesti diffusi dal collettivo artistico Ahl al-Kahf tra dicembre 2010 e gennaio 2011, Tunisi

 

La corruzione, il clientelismo, un’economia fortemente esportativa, la dipendenza dai fondi internazionali e dai capitali esteri attirati da agevolazioni fiscali e il basso costo della manodopera, la disoccupazione mettono a nudo tutte le difficoltà della Tunisia e pochi sono stati gli interventi strutturali dalla rivoluzione a oggi. In una storia che si ripete, sono le donne a pagare il prezzo più caro. Sono loro che mandano avanti il lavoro nelle campagne, nelle fabbriche senza protezioni e per una paga misera. Basta tornare indietro nell’ aprile 2019, quando nelle campagne intorno a Sidi Bouzid, persero la vita dodici donne di ritorno dal lavoro nei campi. In piedi, ammassate sul retro di un pick-up, morirono sul colpo a causa di un incidente stradale.

In questi dieci anni, insieme alle lotte per la redistribuzione della ricchezza tra centro e periferia, per il lavoro, per la libertà di movimento e l’abbattimento delle frontiere, è proprio all’interno del femminismo tunisino che si sono sviluppate molte delle battaglie più interessanti: dal movimento Lgbt che lotta per il riconoscimento dell’omosessualità ancora considerato un reato punito con sei anni di prigione fino al movimento Ena Zeda – Mee too, dilagato nell’ottobre 2019 dopo la denuncia di una studentessa di 19 anni, che con una foto accusò un importante politico di essersi masturbato davanti a lei.

 

L’episodio scoperchiò il vaso di pandora delle molestie sessuali in Tunisia. «Non credo che vi sia una sola donna in Tunisia che non abbia vissuto un episodio di molestia», scriveva su Facebook l’attivista Lina Ben Mhenni.

 

È alle attiviste come Lina e ai martiri della rivoluzione che sono state dedicate le numerose iniziative commemorative di questi giorni come il convegno online Ṯawrat al-karāma: memorie, percorsi e analisi a 10 anni dalla rivoluzione tunisina organizzato dall’Università di Pisa e l’audio documentario I 10 anni delle rivoluzioni del 2011 curato da Marta Bellingeri e Costanza Spocci per la radiotelevisione svizzera (disponibile qui).

Proprio il 14 sera, durante la serata musicale a conclusione del convegno online dell’Università di Pisa, Thameur Jabberi, musicista tunisino e Kais Zriba, giornalista e fondatore della piattaforma indipendente Inkyfada, hanno riproposto una splendida selezione dei brani che hanno segnato questi ultimi dieci anni, e durante un anniversario che è stato inevitabilmente diverso, ci siamo sentite finalmente più vicine. Noi che la rivoluzione l’abbiamo attraversata, studiata o semplicemente ne siamo sempre stat* affascinat*. E anche voi, come regalo per questi dieci anni, potete risentirvi qui i brani che hanno raccontato le rivendicazioni e le strade tunisine prima, durante e dopo il 2011, canzoni che hanno criticato il sistema e per questo autori e autrici hanno subìto una forte repressione.

La disillusione è un fantasma difficile da scacciare nella lunga strada verso una trasformazione radicale, la repressione è sempre in agguato, ma non ci sono dubbi, la rivoluzione sta percorrendo la sua strada e continua.

 

Immagine di copertina: occupazione della Kasbah, 2011. Foto di Arroi Baraket