MONDO

Il treno dell’apartheid sarà italiano?

Sace – Cassa depositi e prestiti – promuove un webinar perché aziende italiane investano nel trasporto pubblico a Gerusalemme, ma finge di ignorare che la metro sancisce la discriminazione e l’apartheid

La notizia è apparsa in modo silente, attraverso la semplice pubblicizzazione di un webinar il 20 luglio scorso, di cui nessun mezzo di informazione italiano ha fatto menzione, ma potrebbe diventare un caso internazionale di tutto rilievo.

La Sace, società controllata da Cassa Depositi e Prestiti, che ha l’obiettivo di promuovere l’espansione economica dell’imprenditoria italiana all’estero, con questo webinar promuove opportunità di investimento in Israele, in particolar modo rispetto alla Blue Line del Jerusalem Light Rail (JLR).

Per l’occasione sono invitati soggetti chiave come il CEO del Jerusalem Transportation Masterplan, ma ospite d’onore è Anie-Assifer, ossia l’associazione di categoria italiana che unisce le aziende che operano nel settore della costruzione ferroviaria e del trasporto pubblico. Il webinar quindi, anche leggendo i powerpoint che sono caricati sul sito, ha tutta l’apparenza di essere uno spazio per favorire l’investimento da parte di aziende italiane membre di Assifer all’interno del progetto della Blue Line della JLR.

Il JLR è una sorta di metropolitana di superficie, costruita a Gerusalemme a partire dal 2011. Finora esiste un’unica linea, la Red Line, che si muove dal Museo dell’Olocausto, sul Monte Hertzl, attraversa le zone più commerciali e dei bar e ristoranti di Gerusalemme Ovest. La linea poi lambisce la città vecchia e alcuni quartieri palestinesi della parte est come Shu’fat, zone quindi sotto occupazione dal 1967, per finire nelle colonie israeliane ad est, come Pisgat Zev.

 

L’amministrazione comunale ha intenzione di allungare la Red Line per raggiungere altre colonie e costruirne altre due, la Green e la Blue line, appunto. La costruzione della Red Line tuttavia è stata oggetto di una quantità importante di proteste tanto da parte dei palestinesi quanto da parte di organizzazioni internazionali di solidarietà e di tutela dei diritti umani.

 

Tante sono le ragioni di critica al progetto. In questo paper dell’ong tedesca Diakonia viene spiegato con particolari e riferimenti importanti perché questo progetto sia profondamente ingiusto oltre che giuridicamente anche politicamente.

Da un lato il JLR rende strutturale il collegamento tra la parte occidentale della città e le colonie costruite dopo il 1967, sancendo quindi la loro “non transitorietà”, andando contro il diritto internazionale per il quale queste colonie sono illegali. In questa maniera il JLR facilita e rafforza la annessione di fatto che sta avvenendo da anni nei confronti di porzioni sempre più grandi di West Bank.

 

In secondo luogo Diakonia smonta la tesi buonista secondo la quale la popolazione palestinese di Shu’fat sarebbe “contenta” per gli effetti benefici della linea, ribadito dalla ditta costruttrice in seguito ad un sondaggio commissionato dalla stessa impresa, la cui veridicità e indipendenza sono pertanto quantomeno dubbie.

 

Risulta evidente infatti che la popolazione di Shu’fat ha in ogni caso un beneficio molto parziale visto che la linea conduce in una direzione verso colonie israeliane (dove loro non possono entrare), nell’altra alla zona ovest della città (quella ebraica) e quindi non permette alla popolazione palestinese di recarsi in quartieri in cui vivono altri palestinesi. Inoltre va ricordato che, anche se questo beneficio per la popolazione occupata fosse reale, esso non potrebbe compensare la violazione al diritto internazionale data dal collegare insediamenti illegali ad una città.

Infine Diakonia ricorda che secondo la convenzione di Ginevra la popolazione sotto occupazione militare deve essere tutelata e non discriminata dalla forza occupante, anche se una frase del genere può far sorridere considerando la situazione vissuta della popolazione palestinese degli ultimi 60 anni. La Red Line sottopone invece a discriminazione la popolazione occupata, perché è costruita in terre occupate e con la finalità principale di portare un beneficio alla popolazione occupante.

Le proteste, anche a livello internazionale grazie al movimento per il Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, durante la costruzione della Red Line del JLR e successivamente alla stessa sono state numerosissime, e hanno continuato quando l’amministrazione ha presentato i piani di allargamento, cioè la Green Line e la Blu line di cui parlavamo all’inizio.

In particolar modo, in questo articolo del maggio 2019 Electronic Intifada riporta il quadro completo delle aziende internazionali che si sono ritirate dal consorzio di costruzione del progetto. In particolare a seguito delle proteste ha fatto marcia indietro la francese Alstom, che pure aveva condotto i lavori della Red Line e prima di lei, la tedesca Siemens, la canadese Bombardier.

 

È difficile non collegare questi fatti con la promozione del webinar da parte della nostrana CDP. Si può ragionevolmente supporre che il webinar sia stato pensato proprio per portare nel consorzio di costruzione anche ditte italiane, probabilmente a causa del ritiro di partners internazionali, e soprassedendo serenamente sulle implicazioni politiche di un progetto di questo tipo.

 

Ma quale è il tragitto della linea Blu promossa dal webinar di Sace? Nel pensarla l’amministrazione israeliana si è tolta pure lo scrupolo che aveva avuto con la Red Line e la sua fermata a Shu’fat “benefica per la popolazione palestinese”. La linea Blu collega la colonia di Gilo con la colonia di Ramot attraversando vari quartieri di Gerusalemme Ovest. Gilo è a sud di Gerusalemme, ed è una vera e propria città che la separa da Betlemme, vi abita, tra l’altro, la ex parlamentare italiana Fiamma Nirenstein. Ramot è invece a nord di Gerusalemme. Pertanto la linea si può qualificare pienamente come una linea dell’apartheid perché pensata solo ed esclusivamente per la popolazione ebraica e pensata per rafforzare l’annessione di fatto a Israele di due colonie illegali secondo il diritto internazionale.

Questa è la mappa che è stata presentata durante il webinar, ovviamente neutra rispetto alla realtà politica dei fatti e alle ripartizioni politiche di un territorio in cui geografia e storia sono profondamente incise in ogni strada, in ogni campo e neutralizzarle è sempre una operazione politica sporca.

 

 

Mentre nella mappa successiva, — una cartina dell’OCHA, l’agenzia ONU presente nel terreno, si vedono gli estremi della linea (tratteggiata in modo approssimativo in rosso) rispetto alla ripartizione politica del territorio determinato dalla occupazione militare. La parte colorata è la West Bank sotto occupazione, la parte bianca è Israele seguendo la linea verde dell’armistizio del 1967. Gli agglomerati viola scuro sono le colonie illegali presenti in West Bank, quelli gialli e arancioni sono paesi o città palestinesi. La Blu Line collega in modo evidente due colonie unendole di fatto a Israele e senza alcun beneficio per la popolazione occupata che vive nelle zone circostanti le stesse.

 

 

Abbiamo chiesto un commento rispetto a quanto questo webinar potrebbe implicare a Stephanie Westerbook, di BDS Italia «È grave che un ente pubblico come la Cassa Depositi e Prestiti, tramite la Sace, induca ed incoraggi le imprese italiane a partecipare ad un progetto che viola palesemente il diritto internazionale. E proprio mentre il governo israeliano intende formalizzare in parte l’annessione di fatto dei territori Palestinesi che già tiene sotto occupazione militare da decenni.

 

Di fronte alle continue violazioni dei diritti umani da parte di Israele, e all’impunità garantitagli dall’inazione della comunità internazionale, sono sempre di più gli appelli per efficaci misure per fare in modo che Israele e le aziende complici rispondano delle proprie responsabilità.

 

Le imprese italiane che scelgono di partecipare a questo progetto che cementa l’apartheid israeliana devono sapere che andranno incontro a campagne di pressione del tipo che hanno convinto la Veolia a ritirarsi dal progetto, a seguito di perdite di miliardi di euro, nel 2015, e come quella attuale nei confronti dell’impresa basca CAF

Intanto, un tribunale militare israeliano ha deciso di prolungare di 15 giorni la detenzione del difensore dei diritti umani Mahmoud Nawajaa, 34 anni, coordinatore generale del Comitato nazionale palestinese per il BDS (BNC), la più grande coalizione della società civile palestinese che guida il movimento globale nonviolento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza per i palestinesi. Israele non ha fornito né accuse né prove e nega a Nawajaa il diritto di vedere il suo avvocato.

Immagine di copertina: Faiz Abu Rmeleh ActiveStills