EUROPA

Tbilisi, la rivolta della techno

A Tbilisi, capitale della Georgia, migliaia di persone si sono radunate contro la chiusura di due importanti club di musica techno. Dietro la protesta, uno scontro politico con al centro la difesa di forme di vita alternative e le istanze anti-sessiste contro la torsione autoritaria del governo del paese

C’è una traccia dal sapore nostalgico di un EP del 2014 di DJ Metatron – uno dei nomi del rooster del collettivo ed etichetta di musica elettronica tedesca Giegling – che negli ultimi giorni ha fatto eco in un tam-tam di condivisioni sui canali Instagram e Facebook di quella che viene definita la comunità del clubbing internazionale. Il video originale del suo passaggio in consolle è preso da un momento di sabato pomeriggio scorso, quando migliaia di persone si sono riunite davanti al parlamento georgiano in un rave spontaneo durato due giorni.

Niente a che vedere, però, con una nuova Love Parade in formato statico: l’assembramento di migliaia di persone a Tbilisi, capitale della Georgia, è stata la risposta di protesta a un atto che, nella notte tra venerdì e sabato, ha colpito al cuore proprio quella comunità.

Forze di polizia speciali pesantemente armate hanno prima circondato e poi fatto irruzione in due dei club di musica techno più importanti della città che – proprio grazie al fervore di cui questa scena gode negli ultimi anni – viene definita “la nuova Berlino”: Bassiani e Cafe Gallery. Il risultato è stato il fermo di circa 60 persone, tra cui i co-fondatori del Bassiani: Tato Getia e Zviad Gelbakhiani.

 

 

Il Bassiani è un club dalle estetiche post-industrial, ricavato nei sotterranei dello stadio della Dynamo Tbilisi, aperto nel 2015 da Tato Getia, Zviad Gelbakhiani e Naja Orashvili, con uno sguardo ai migliori club europei e una volontà fortissima di dare una risposta alla «disuguaglianza in Georgia e gli alti livelli di ingiustizia, discriminazione e omofobia». Il party queer Horoom al Bassiani è un esempio della sua programmazione fortemente politica, in un paese che ha ancora tanto da conquistare in termini di diritti. Dalla sua apertura, il Bassiani ha catturato le attenzioni di tutto il mondo elettronico internazionale, attirando non solo i migliori dj e produttori della scena, ma gli sguardi di un’intera comunità e diventando uno dei tantissimi tasselli che ultimamente hanno reso il “nuovo est” un posto di avanguardia per quanto riguarda estetiche, mode, sottoculture e produzioni musicali. Ancora una volta, la storia si ripete: il paragone con quello che ha significato la Berlino post-muro è d’obbligo.

 

 

Ma così come ogni sottocultura è stata presa di mira politicamente, quella del clubbing non è da meno. La situazione è comunque controversa, perché sul fuoco ci sono modelli di consumo ed economici, da una parte, e istanze di autodeterminazione e libertà (sessuale, di scelta, di orari) dall’altra. La campagna di discredito della scena viene portata avanti da esponenti dei partiti conservatori e di estrema destra georgiani ormai da anni. Stavolta la scusa per agire l’ha data la morte di cinque persone legata all’assunzione di sostanze stupefacenti (nessuna delle quali, affermano i gestori, avvenuta all’interno di locali).

Una storia che la comunità internazionale conosce bene, basti pensare al fermo del Fabric, lo storico club di Londra, avvenuto solo pochi anni fa.

Che la chiusura di un locale non sia la soluzione ad abitudini di consumo rischiose non è una novità, quindi chiedersi perché invece che reprimere non si attivano delle politiche di riduzione del danno costruttive e coerenti è quasi superfluo. La legislazione sulle droghe in Georgia è una delle più repressive nel mondo: si rischiano fino a vent’anni di carcere anche per il possesso di esigue quantità di droghe leggere.

Questa politica repressiva comporta, inoltre, un uso completamente arbitrario dei controlli – che vengono svolti semplicemente fermando le persone per strada e imponendo test delle urine – ed è legata drammaticamente a una serie di morti per suicidio, per sfuggire alle condanne sproporzionate.

Inutile dire che a fronte di questa legislazione l’uso delle droghe non solo non è diminuito, è anzi diffusissimo e il rischio è – appunto – ancora più alto, perché dettato da una situazione in cui non esiste l’arginamento del danno.

Il raid al Bassiani arriva esattamente in un momento storico in cui il parlamento georgiano sta discutendo una riforma sulla legge riguardo le sostanze: il White Noise Movement, un movimento nato proprio con lo scopo di depenalizzare l’utilizzo delle droghe nello stato del Caucaso, ha più volte affrontato il governo sulla questione. «Questo è un tentativo di cancellare tutti i cambiamenti progressisti nella policy per le droghe in Georgia», ha detto  Paata Sabelashvili, un esponente del White Noise.

Il tema droghe è però solo la punta dell’iceberg della questione: lo stato di grazia che il mondo del clubbing vive a Tbilisi è strettamente legato a una volontà di affermazione di quei valori libertari di uguaglianza e antidiscriminazione che sottostanno alla filosofia della scena techno underground. Giorgi Kikonishvili, il promoter di Horoom, ha definito il raid una “guerra ideologica”.

Non a caso, infatti, i rappresentanti di gruppi di estrema destra hanno organizzato una contro manifestazione nella serata di domenica, con lo scopo preciso di attaccare fisicamente i manifestanti pro-Bassiani. E ancora, i militanti del Georgian Civil Unity Group, che si descrivono come «veri Georgiani» che «provano a proteggere il loro Paese», hanno festeggiato la chiusura dei club con saluti nazisti, mentre gli ultranazionalisti radicali del movimento Marcia Georgiana, conosciuti per le loro manifestazioni omofobe e xenofobe, hanno denunciato i manifestanti come «propagandisti della droga» e «sodomiti».

 

 

Le feste techno e house underground, così come si sono delineate a partire dagli anni ‘90 in poi e così come si incastrano nella nostra contemporaneità, sono una roccaforte di autodeterminazione, anti-omofobia, espressione libera dei corpi e di abitudini sessuali o di consumo, di una espressione di identità che è individuale e collettiva allo stesso tempo.

Una libertà che è promossa da una sorta di codice non scritto, che però il tipo di ecosistema che si crea all’interno di club o rave permette: è uno spazio privato che diventa pubblico e politico.

Quello del clubbing underground è un sistema che si autoregola, dove chi prende parte recepisce una serie di codici che significano libertà di azione all’interno di regole di consenso e rispetto degli altri. Una libertà che, come ci insegnano i migliori sistemi libertari, è anche responsabilità.

Il sistema che si delinea in alcuni “templi dell’eccesso” è privato e inclusivo al tempo stesso ed è un sistema che si inscrive perfettamente in quella che è la dissoluzione delle sottoculture come le conoscevamo: abbandonati i codici statici, chiunque può prendere parte a un qualcosa che ha molto del rituale, salvo rispettare partecipanti e spazi.

 

 

Quello che la comunità di Tbilisi sta chiedendo di fronte al parlamento non è semplicemente la libertà di divertimento: è una libertà di espressione, il diritto di avere spazi di sicurezza in cui autodeterminarsi e uscire momentaneamente da un tipo di società ancora troppo conservatrice e reazionaria per i valori dei suoi giovani.

In più, quella che solitamente viene recepita come una sottocultura vuota, spinta solo all’edonismo, sta dimostrando proprio ciò che dagli anni ‘70 le istanze anti-sessiste e progressiste affermano: il privato è politico e i corpi sono territorio di scontro. Conseguenza logica è che anche andare a ballare coscienti di questo, fare parte anche solo per una notte di questa comunità, è un atto politico.