ROMA

Taxiwriter 9. La forma della notte

Tra una corsa e l’altra alla guida del suo mezzo, Andrea Panzironi riflette, discute e osserva gli angoli di città in cui la storia ha lasciato delle tracce. Il nono racconto per dinamopress

Mi sto avvicinando agli studi di Cinecittà percorrendo la Via Tuscolana, svuotata del traffico diurno, magicamente illuminata dalla luce argentea della Luna che nel cielo stanotte, come in una danza ellenica, si fa accompagnare dallo sbrillucicchio diamantino di Venere. Durante il turno di notte tutto cambia, la numerosa fauna del giorno che normalmente anima le strade, col suo ritmo stressante ed affannato, affrettata dagli orari di ufficio e negozi da raggiungere, è ora rarefatta, composta da pochi presenti che camminano lenti, barcollanti per il troppo alcool alcuni, mentre giovani coppie di innamorati si attardano abbracciate in pomiciate con precari equilibri su selle di motorini da adolescenti in libera uscita. Il cliente seduto dietro di me è taciturno, guarda fuori ma sembra non vedere; nei rari tagli di luce che gli illuminano il viso colgo il suo sguardo perso, come di chi sa e nulla può per impedire ciò che sa. Dopo avermi indicato la destinazione da raggiungere ad inizio corsa non ha detto più nulla, non ha guardato mai nello smartphone, forse non lo ha neanche. Il suo cranio glabro riflette la luce artificiale dei lampioni, l’indice della mano destra sorregge il suo volto in una posa scultorea. Giungo alla sbarra che impedisce l’accesso nella città del Cinema, ma subito arriva un vigilante che scorge il cliente seduto dietro di me. Immediatamente fa un gesto di saluto marziale portandosi la mano di taglio sulla visiera del berretto, il cliente sorride sottilmente, la sbarra si alza, entro. Il cliente mi fa un cenno con il dito indice, vado verso il vialetto alberato alla mia destra, percorro alcune centinaia di metri e mi fermo in prossimità dello studio numero cinque. L’atmosfera è irreale, la notte illuminata dalla luce lunare è abitata dal suono del cicaleggio incessante come in pieno giorno. Molto non mi torna, a questa ora della notte, gli studi aperti, chi sarà mai quest’uomo taciturno, intimamente sofferente seduto nel mio taxi? Il mistero si infittisce quando l’uomo scende dal taxi e avvicinandosi al mio finestrino mi sussurra poche precise parole: «Ora io entro ma lei attenda qui. Tra un po’arriverà mio padre. Lei lo porti dove le dirà» e senza altro aggiungere si volta e si avvia ad entrare. Sto per reagire alle sue parole, vorrei dire qualcosa come per assicurarmi del pagamento, di quanto dovrò aspettare ma una zavorra invisibile mi impedisce di parlare, un senso di pudore profondo mi fa tacere. L’uomo è scomparso come dissolto, evaporato in una piccola nuvola bianca di vapore che improvvisa si è alzata dal suolo, come per un effetto speciale cinematografico, appunto. Penso, sarà la magia del luogo, così intriso di Fellini e di tutte le illusioni qui create e che nei decenni ha ospitato. Intanto la Luna che fino ad ora ha brillato come un faro che nella notte indicasse un approdo sicuro inizia a farsi scura, inghiottita dall’ombra della Terra che si frappone gradualmente e velocemente tra lei ed il Sole, l’eclissi si compie e tutto intorno a me si fa nero, le cicale dapprima sovraeccitate dal chiarore lunare ora tacciono. L’aria si raffredda ed un brivido mi percorre la schiena come una scossa, chiudo i finestrini ed istintivamente abbasso le sicure degli sportelli. Mi guardo intorno, non vedo anima viva, persino le luci dei rari lampioni del vialetto vibrano. Sto iniziando a pensare di andarmene, che forse è meglio lasciare stare e che, pazienza, il misterioso personaggio pelato mi ha fregato ma sinceramente non me la sento di scendere dall’auto, cercarlo chissà dove, in questa oscurità densa come cioccolato fuso, senza nessuno a cui chiedere. Spingo ormai rassegnato il pulsante di accensione dell’auto, innesto la retromarcia ed inizio la manovra per girare il taxi ed andarmene. Innesto la posizione drive pronto ad accelerare quando la porta dello studio si apre, lasciando fuoriuscire un fascio di luce che temporaneamente invade parte del vialetto fino a prendermi in pieno. Resto come abbagliato, scorgo solo una silhouette nera che uscendo dallo studio si avvicina verso di me. È quella di un uomo dalla mole robusta con un capello panama chiaro in testa, stringe una sigaretta tra le dita ed il filo di fumo lo avvolge come una sciarpa sottile. Nonostante le sicure siano inserite riesce ad aprire lo sportello, rimango sorpreso. Ormai è seduto dietro di me. Non riesco a scorgere il suo volto, impedito dalla luce abbagliante che mi acceca momentaneamente. L’uomo invece sembra sorridere e mi allunga un pacchetto morbido di sigarette Philip Morris rosse dal quale ne spicca una pronta per essere presa. Non resisto, sono le ormai rarissime sigarette con le quali iniziai a fumare, volendo allora imitare il mio idolo musicale Donald Fagen che sulla copertina in bianco e nero del celeberrimo album “The nighfly” ne fuma una lasciando ben in mostra il pacchetto. Senza pensarci la prendo, tacitamente accettando. L’uomo prontamente fa scattare l’accendino. Scorgo ora il suo volto. È un uomo che porta le rughe allegre di una vita lunga e larga, vissuta nel previlegio di chi ha perseguito le proprie passioni; è evidentemente il padre del cliente precedente. Il fumo denso ed aromatico della prima boccata invade i miei polmoni. Aspiro voracemente la prima boccata dalla sigaretta. Tossisco tre volte, il respiro di fa corto, ma resisto, orgogliosamente. Aspiro ancora. L’uomo ride ed il suono rauco e potente della sua risata riempie l’abitacolo. Poi aggiunge: «Lasci stare, per fumare ci vuole talento, e passione, tanta passione».  Il tono profondo, abissale ed il colore autunnale della sua voce mi ipnotizzano. Butto via dal finestrino la sigaretta con una “schicchera”, avvio l’auto. «Andiamo in via Caio Cestio, grazie», mi dice. Esco da Cinecittà, la sbarra alzata, non c’è nessuno al controllo stavolta. Strano, penso, ma stanotte è tutto così insolito. L’eclissi lunare perdura, il cielo è privo di stelle. La via Tuscolana è completamente deserta, i semafori sono tutti con la luce verde, nessuna auto agli incroci. Solo il mio taxi scorre sull’asfalto lucido, che sembra coperto d’olio, riflettente. L’anziano uomo seduto dietro di me continua a fumare, vorrei dirgli di smettere eppure c’è sempre qualcosa che me lo impedisce. Visualizzo mentalmente la strada alla quale siamo destinati. È dietro la Piramide Cestia, una strada particolare; da una parte ci sono alcune officine di carrozzieri, dall’altra scorre il muro di cinta del cimitero acattolico, non mi risultano esserci abitazioni o altro. Ma dove vorrà andare quest’uomo anziano a quest’ora della notte in una via senza abitazioni?  Mentre mi arrovello per dare una risposta a queste domande, noto che l’uomo sta leggendo alcuni fogli che tiene tra le mani. «Sta leggendo cose interessanti?», chiedo, pentendomi immediatamente di questa mia indiscrezione. «Si, credo di sì. È la storia di un antifascista ai tempi d’oggi. Si immagini… potrà sembrare assurdo, no? Chi lo avrebbe mai detto che al giorno d’oggi ne avremmo avuto ancora bisogno?». Cerco di trovare una risposta: «Già, stanotte mi sembra tutto così assurdo, ribatto. Lui invece continua: «È la storia di un uomo autentico, difficile a trovarsi in questi tempi in cui i cretini si camuffano da intelligenti». È vero, penso, senza però dirlo. Siamo quasi arrivati a destinazione, la Piramide sembra una punta di marmo candido puntata contro l’oscurità del cielo. Gli giro intorno ed imbocco via di Caio Cestio. All’altezza dell’entrata del cimitero l’uomo mi ordina di fermare. Vedo nello specchietto, il cliente è fermo. Guarda fuori ma non apre lo sportello. «Tutto bene, vuole che andiamo via?», chiedo mettendomi nei suoi panni. Lui mi guarda e dice : «Arriva un momento nel quale t’adduni, t’accorgi che la tua vita è cangiata. Fatti impercettibili si sono accumulati fino a determinare la svolta. O macari fatti ben visibili, di cui però non hai calcolato la portata, le conseguenze». Appena terminata la frase l’uomo apre lo sportello e si avvia verso l’entrata del cimitero.  Scorgo uno spicchio di Luna ritornare dall’eclissi che sta terminando. L’anziano uomo è scomparso e non mi ha pagato. Solo un odore intenso di sigaretta è rimasto nel taxi. Mi volto verso il sedile e noto che i fogli che l’uomo prima aveva in mano sono rimasti sul sedile posteriore. Li afferro, porto il primo figlio sotto la luce flebile della luna. Porta scritto nel mezzo, in grassetto un titolo “La forma della notte”.  Mi volto ancora per cercare l’uomo. Ma niente, nessuno intorno a me. Rassegnato accendo la radio del taxi. Una voce sottile e cattiva di slogan pubblicitari mi scuote. La radio sveglia si è azionata pochi minuti prima del radio giornale. Sudato, con le gambe avvolte dal lenzuolo che mi fanno male come dopo un sonno agitato. Mi sveglio reduce dal sogno appena finito.  Inizia il gr che annuncia la morte del maestro……