ROMA

Taxiwriter 7. Scherzi da prete

Tra una corsa e l’altra alla guida del suo mezzo, Andrea Panzironi riflette, discute e osserva gli angoli di città in cui la storia ha lasciato delle tracce. Il settimo racconto per dinamopress

Stamattina il forte vento di maestrale costringe gli aerei all’atterraggio sulle piste poste più a sud dell’aeroporto di Fiumicino. I giganteschi uccelli d’acciaio tagliano il cielo azzurro sovrastante l’autostrada che porta allo scalo romano e con un volo radente perfettamente perpendicolare alla lingua d’asfalto si lasciano ammirare da vicino da tutti quelli che come me transitano sotto. Si vedono nitidamente i carrelli carichi di pneumatici già aperti e pronti all’impatto sulla pista. Arrivo al cosiddetto “polmone” che accoglie i taxi in sosta nell’attesa della prossima corsa dall’aeroporto destinazione Roma. Dopo un’ora arriva il mio turno. Allo stallo giunge un prete con un vistoso crocefisso d’oro appeso al collo. Senza fare parola apre lo sportello anteriore del taxi e si accomoda, abituato da chissà quanti viaggi a questo gesto per lui evidentemente consueto. Alle sue spalle però giunge dopo alcuni secondi un suo aiutante che trascina con una mano un voluminoso trolley mentre nell’altra stringe una valigetta ventiquattrore. Il giovane uomo dai lineamenti del volto asiatici, probabilmente filippino, mi sorride silenziosamente. Mi porge la grossa valigia che io carico con un certo sforzo nel portabagagli.

La valigetta resta con lui, poggiata con estrema cura sulle gambe dopo essersi accomodato dietro. Salgo anch’io. Noto che il prete seduto al mio fianco indossa un ampio abito talare nero con una striscia bianca verticale nel centro. Dalla sua grossa mano poggiata sul bracciolo tra i sedili spicca un anello d’oro con un teschio bianco incastonato nel mezzo. Il suo volto tondeggiante ospita due occhi sottili ed un naso anch’esso tondo, senza asperità ed il pizzetto di barba brizzolata incornicia il tutto in maniera consona come ad esprimere una certa serenità d’animo. Il corto taglio di capelli mette in evidenza una chierica di calvizie anch’essa esattamente tondeggiante. Il prete usando una voce in tonalità minore, ma esaltata ed amplificata dall’ampiezza tenorile della sua robusta cassa toracica, mi dice l’indirizzo di destinazione: «via Claudia, in prossimità dell’ospedale militare del Celio. Lei si fermi lì poi le darò ulteriori indicazioni, grazie».

Ha un accento particolare, multilingue, come di chi è abituato a passare velocemente e con molta confidenza da un idioma all’altro. Mi ricorda per certi versi un personaggio letterario che potrebbe essere uscito da un romanzo metastorico, alla Umberto Eco, per intenderci. .Non nascondo una certa curiosità nei miei sguardi che alternandosi scrutano il prete al mio fianco ed il suo aiutante che dallo specchietto non fa che fissarmi, dandomi l’idea di essere sempre pronto alla reazione immediata come una guardia del corpo addestrata a qualsiasi tipo di situazione. I due con una certa periodicità si scambiano brevi battute usando due o tre lingue, forse anche in greco e sicuramente in una lingua orientale. Immagino stiano parlando di faccende personali o invece ecclesiastiche o forse anche di me. Non riesco a fare a meno di osservarli cercando di cogliere qualche particolare in più che mi possa dare ulteriori indicazioni. E se fossero invece tutt’altro rispetto a ciò che vedo? Magari trafficanti, rapinatori o chissà chi. Non è l’abito che fa il monaco, sorrido mentalmente ricordando il vecchio adagio. E perché il tipo seduto qui dietro non molla la valigetta? Cosa conterrà? Forse una pistola ? O pietre preziose o droga?

Beh, da quello che leggo sui giornali potrei immaginare di tutto: due noti rapinatori, trafficanti internazionali sotto le mentite spoglie di un prete e un suo aiutante, portano a segno l’ennesimo colpo, etc. etc. , un tassista li riconosce e li fa arrestare, oppure peggio, i due sentendosi minacciati e scoperti prendono in ostaggio il tassista per la loro fuga e chissà come finirà. Un click interrompere bruscamente questa mia tragica fantasia, è il giovane uomo che sta per aprire la valigetta. Vedo dallo specchietto che si destreggia con le rotelline della combinazione di apertura. Ecco, penso accorciando il mio respiro che si fa più ansioso; ecco, ora il tipo tirerà fuori la pistola e minacciandomi mi costringerà a cambiare strada. E poi chissà come andrà a finire. Nel frattempo noto che il prete seduto al mio fianco infila le due grosse mani nelle tasche anteriori dell’abito. Anche lui avrà un arma, sicuro. Cercando di mantenere la calma, sempre guidando con velocità costante cerco tra le auto che scorrono al mio fianco quella della polizia stradale, così potrei farle un cenno con i fari, e forse gli agenti potrebbero capire la situazione che si sta determinando all’interno del taxi, ma niente, solo un paio d’ autobus e qualche collega ignaro del mio dramma interiore scorrono intorno sorpassandomi. Uno anzi mi fa un cenno di saluto, sorridendo e alzando il mento. Cazzo ridi, idiota, penso per un attimo, non si legge sulla mia faccia il dramma che si sta consumando?

Ho la gola inaridita. Vorrei prendere la piccola bottiglia d’acqua che tengo nella tasca laterale dello sportello, ma non oso fare il movimento, per non insospettire i due. Che invece mi sembrano sempre più nervosi, si parlano interrogandosi, mentre il prete agita le mani nella sua capiente tasca centrale ed il giovane rovista all’interno della valigetta. Anche il tono della loro voce sembra essere cambiato. Poi il prete si rivolge a me, io sono completamente irrigidito, un rivolo ghiacciato di sudore scivola al centro della mia schiena. «Ha per caso una penna da potermi prestare? Né io nella mia tasca né il mio amico nella valigetta ne abbiamo una… che strano, eppure ne avevamo diverse… Mi perdoni, ma dovrei firmare dei documenti prima di arrivare a destinazione». Un sibilo sottile e lunghissimo esce dalle mie labbra fino a svuotare del tutto i miei polmoni, per alcuni secondi vado in apnea e il colore della mia faccia deve essere mutato dal bianco pallido al verde, per finire al rosso. Non riesco a rispondere, con un unico e rapido gesto apro il cassetto laterale, prendo le due penne presenti, le porgo ai due, sorrido e finalmente afferro la bottiglietta d’acqua, la apro e bevo tutto il suo contenuto in un unico lungo sorso. Il prete mi osserva forse chiedendosi cosa mi stia accadendo, ma non fa parola. Contraccambia al mio sorriso e prende la penna ringraziandomi, il giovane da dietro prende dei documenti con una cartellina rigida di cartone dalla valigetta e li passa al prete. Che inizia a firmare.

Noto che al centro di ogni documento, in alto al centro c’è una dicitura “Jesu passio” con una grossa croce in mezzo. «Siamo preti passionisti, caro amico», mi dice il prete avendo notato il mio sguardo incuriosito e ancora un po’ stordito. «Chi credeva che fossimo?», aggiunge come avendo intuito l’equivoco nel quale mi ero lasciato andare fino a poco prima. «No , niente … padre. Non saprei dire, dall’abito avrei detto…» ,dico senza concludere la frase. «Eh, stia attento, l’abito non fa il monaco! Ah, ah!», conclude il prete ridendo della sua battuta. Anch’io ora mi lascio andare a una risata liberatoria, approfittando della battuta del prete. Intanto siamo arrivati e fermo il taxi allo stop di fronte l’ospedale militare del Celio. Il prete passa i documenti al suo assistente, che diligentemente li ripone nella valigetta, e mette la mano nella grande tasca centrale estraendo un telefono cellulare. Dopo alcuni secondi dice una sola parola: «Aprite». Davanti a noi un cancello grigio, mimetizzato nel muro di cinta che corre su tutta via Claudia fino alla fine della lunga discesa che porta al piazzale del Colosseo, inizia a scorrere, lasciando un passaggio. Il prete mi fa cenno di entrare. Il cancello ora alle nostre spalle iniziava a richiudersi. Una breve rampa di strada asfaltata ci porta in un grande piazzale di ghiaia.

I miei occhi non credono a ciò che stanno vedendo. Tra alberi di alto fusto e tanta altra vegetazione c’è un vero e proprio monastero, una strada bianca gli corre intorno. Il prete coglie la mia meraviglia e mi invita a fare un giro intorno percorrendo la strada bianca. Non me lo faccio ripetere e mentre affianco un grande orto coltivato con ordine e dovizia arrivo dalla parte opposta del grande rettangolo e qui mi avvolge un senso di vuoto e vertigine: vedo sotto di me l’intero interno del Colosseo. Nascosto agli occhi della moltitudine che brulica giornalmente intorno al monumento più visitato al mondo, all’ombra di alberi secolari, sto osservando il “centro del mondo” che da qui sembra letteralmente potersi toccare con mano. E tutto appare diverso, la mia piccolezza di uomo si acuisce ancora di più e la maestosità della Storia mi travolge definitivamente.

Illustrazione di Marisa Dipasquale