ROMA

Taxiwriter 6. Cambiamenti climatici

Tra una corsa e l’altra alla guida del suo mezzo, Andrea Panzironi riflette, discute e osserva gli angoli di città in cui la storia ha lasciato delle tracce. Il sesto racconto per dinamopress

Latrina Termini stamattina puzza meno del solito. L’odore acre dell’urina ha lasciato il posto a quelli non meno stomachevoli del vino a basso costo e dei succhi gastrici del vomito essiccati dal sole, sversati nella notte appena trascorsa dagli abitanti occasionali del piazzale antistante la stazione. Pochi sanno che in realtà la stazione è stata rinominata anni fa Giovanni Paolo II in memoria del Papa polacco. Una statua in suo onore, molto criticata perché poco somigliante a Wojtyla, è stata collocata al margine opposto della piazza, ed alcuni per disprezzo verso l’artista artefice del manufatto la rinominarono il “cacatore”, dato l’ampio mantello che cinge la figura del Papa e che la farebbe sembrare appunto un luogo appartato per fare bisogni. Seguo la lenta fila dei taxi che mi precedono affiancando quella dei clienti in attesa. Incrocio i loro sguardi che come in un duello da film western scrutano il mio. Ci stiamo forse scegliendo anche se il caso deciderà poi per tutti l’accoppiamento. Intanto alcune grida di presunti pazzi in preda agli effetti dell’alcool e dell’emarginazione fendono l’aria torrida dell’estate appena all’inizio. Il contrasto di questa reale umanità brutta, sporca e cattiva che striscia in basso cercando cicche di sigarette e spicci d’accatto è esaltato dalle figure irreali di ragazze in bikini dal corpo perfetto, dal sorriso smagliante ed un futuro radioso collocate in alto, con gigantografie seriali sul frontale della sinuosa pensilina che sovrasta l’enorme sala del centro commerciale nel quale è stata trasformata la stazione.  Finalmente arriva il mio turno e quello del cliente a me destinato. È un uomo alto, dalla folta e liscia capigliatura e dalla stazza imponente. Carico la piccola valigia, meno ampia della sua capiente pancia, nel portabagagli. Saliamo in auto. La destinazione è un albergo vicino alla terza università. L’accento veneto ed il suo sguardo distaccato eppure turbato mentre scruta la variopinta moltitudine che formicola intorno a noi rallentando l’avvio della corsa, svelano la casualità ed il malcelato disprezzo per la sua pur necessaria presenza nella capitale. Un convegno sull’ambiente si terrà nel pomeriggio e la sua presenza è stata richiesta dal rettore in persona, mi dice. Argomento di stretta attualità, sottolineo, cercando di capire un po’di più di quel poco che so. Penso a Greta, ai giovani manifestanti che sembrano aver trovato un argomento comune che li possa unire, un risveglio delle giovani coscienze che possa dare una scossa al corpo sociale intorpidito dalla vita parallela del “selfie quindi sono”.  Lui mi guarda con scetticismo ma annuisce. Afferma con tono stanco che ci vuole di più, che sostanzialmente potrebbe essere già tardi se non cambiamo tutti il nostro stile di vita. Vede, aggiunge, solo il nostro consumo di carne è una delle fonti maggiori di inquinamento e di spreco di risorse idriche. Le auto elettriche, afferma, non sono la soluzione definitiva per ridurre l’inquinamento dell’aria, anzi… incalza alzando il tono. Intanto il traffico intorno si fa stingente e fitto, via Merulana è un lungo garage a cielo aperto dove gli imponenti platani sembrano scorrere più veloci delle auto irrimediabilmente ferme. Il prof. mi invita ad alzare il livello dell’aria condizionata. Già, l’aria condizionata, fino a pochi anni fa non c’era nelle auto, almeno in quelle più comuni, era un privilegio di pochi, oggi invece la trovi pure sul motorino, dico cercando di spezzare il ritmo con una battuta. Lui abbozza un sorriso, guarda fuori, rassegnato all’ immobilità paradossale dello stare dentro un’automobile. Distrattamente cita una percentuale di inquinamento dovuta ai condizionatori ed al relativo aumento del consumo di energia. Impressionante. Guardo il livello del climatizzatore dell’auto con un certo senso di colpa, ma il professore come avendo colto il mio sentimento stavolta fa lui una battuta, «Godiamoci sto freschetto!» afferma lasciandoci andare sullo schienale. Do un’altra alzatina al climatizzatore, lui sorride tirando su il colletto della Lacoste. Improvvisamente quasi per miracolo le auto davanti a me iniziano a scorrere via veloci ed arriviamo così in via dell’Amba Aradam dove invece, nomen est omen, ci ritroviamo nel grande guazzabuglio del traffico romano. Forse era meglio se me ne restavo a casa, afferma ormai rassegnato, sti convegni poi … conclude allusivo. Servono a poco, aggiungo timidamente ma poco interrogativo. «Servono a un cazzo!», esclama. E così via ad un lungo elenco di dati macroeconomici sui consumi di cinesi, indiani, coreani e tutta l’Asia intera e poi in un futuro prossimo mezza Africa che rispetto ai loro, i nostri consumi energetici sembreranno quelli delle pile Duracell rispetto alle centrali nucleari. «Siamo spacciati, caro amico», conclude. Guido ora nel gelo esteriore dell’aria condizionata ed in quello interiore provocato della cruda verità rivelata.  La Cristoforo Colombo è incredibilmente poco trafficata ed in pochi minuti arrivo a destinazione, nel frattempo squilla il suo cellulare. Il prof. risponde. È un collega. «Si, i Carnivori si chiama. Me lo ha consigliato un mio conoscente, carne di tutti i tipi, vedrai, se magna ben!», così conclude la telefonata mentre ammiccando mi allunga il denaro del prezzo della corsa e scende dall’auto. Scendo anch’io, alzo il portellone posteriore e consegno la piccola valigia al professore. «Allora, professore, cambiamo i nostri stili di vita…», dico facendo un cenno di saluto. Lui mi guarda come colto di sorpresa, ma immediatamente cambia espressione, esclama: «Ecco si, è importante… anche se non servirà, è importante… Ora mi scusi, ma devo andare, qui fuori fa un caldo…».  Lo vedo fare pochi veloci passi e tuffarsi con malcelata soddisfazione nel gelo dell’aria condizionata dell’albergo.

 

Illustrazione di Marisa Dipasquale