ROMA

Taxiwriter 11. Ho visto cose che voi romani…

Tra una corsa e l’altra alla guida del suo mezzo, Andrea Panzironi riflette, discute e osserva gli angoli di città in cui la storia ha lasciato delle tracce. Undicesimo racconto per dinamopress

 Pensando, con dolente malinconia, a Roy (Rutger Hauer)

alla sua colomba bianca… ed alla sua inconfondibile voce… –

Ho visto moltitudini di pullman posteggiati sui prati rinsecchiti di Villa Borghese vomitare file limacciose di pensionati con panino e berretto rosso venuti per marciare piegati come pinguini imbolsiti a difesa di una pensione che una volta morti loro i loro figli non vedranno mai.

Ho visto altri pullman, turistici, posteggiati in tripla fila sul Lungotevere rilasciare scariche ordaliche di birkenstocketuristen venuti per marciare dietro a guide col braccio alzato verso il cielo disposti in file che si intersecano come in un enorme gomitolo di lana alla conquista di un selfie con sfondo Vaticano e boccuccia a bucio di culo.

Ho visto filamenti veloci di cortei di auto blu-metal-lampeggianti tracciare scarabocchi sulla mappa di Roma seguiti da scorte che scortano scorte fino al grande raccordo anulare dove congiungendosi ad altri filamenti di scorte formano un enorme anello di scorte che scortano scorte che circonda l’intera città.

Ho visto facce poco onorevoli e sentito telefonate assai disonorevoli, che pronunciate in tutti i dialetti succedutesi al potere spostano le stesse poltrone di sempre per metterci i caporali di sempre.

Ho visto signore con capelli da mille euro di taglio e messa in piega stringere, nelle loro mani ipercurate da ore e ore di estetismi e chiacchiere sugli infimi sistemi, il loro cagnolino da borsetta e chiamarlo con lo stesso bisillabo col quale si rivolgono ai figli o alla servitù indifferentemente. E ti danno venti centesimi di mancia dicendo tenga il resto.

Ho visto cortei di van neri a dieci posti fermarsi nei vicoli del centro per scaricare venti occhi a mandorla per volta che moltiplicati per tutti i van neri che transitano, e poi sostano come bagarozzi rintanati nel centro di Roma, fanno all’incirca un quarto della popolazione dell’Asia sud orientale che aggiunti alle manovalanze bangladesi delle cucine dei ristoranti più gli urtisti indiani e le finte guide pakistane, per non considerare la comunità cinese tutta, mi viene voglia di mettermi un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù –u!-uuu-uu-ù!

Ho visto sciami di cardinali rosso porporati infilarsi a porta S. Anna per rinchiudersi in conclave che morto un papa se ne fa un altro e poi uscirne uno solo bianco e con le scarpe nere che mi ricordo di aver caricato a via della Scrofa dicendogli il prossimo mi piacerebbe si chiamasse Francesco. E lui lo ha fatto.

Ho visto cantieri aperti che si sono scordati di richiudere e così i cantieri resteranno aperti fino al prossimo sindaco che aprirà ancora cantieri così che l’intera città colerà a picco dentro un unico enorme cantiere e non se ne parlerà più.

Ho visto giornalisti impegnati a dire male di altri giornalisti molto impegnati a loro volta a dire male di altri giornalisti impegnatissimi a loro volta e bla bla bla, e poi ti spieghi perché le inchieste in Italia le fanno i comici.

Ho visto agenti immobiliari al telefono convincere vecchie vedove sole a trasformare il loro appartamento di periferia in un b e b che così l’avrebbero messo su airbnb e tramite smartphone avrebbero prenotato turisti da tutti il mondo che arrivano con i voli low cost e pagano col pos. Ma le vecchie vedove non c’hanno capito un cazzo e così adesso vivono nel parco sotto la ex casa loro che è occupata dal B & B che l’agente immobiliare affitta in nero agli stranieri.

Ho visto consulenti finanziari attaccati a due telefoni contemporaneamente che mentre fanno transazioni internazionali con un telefono con l’altro rassicurano il ricco cliente che non è successo niente e che adesso ci sarà il rimbalzo e che appena la situazione dei futures sarà migliorata potranno vendere e comparare mentre adesso con il credit crunch è meglio attendere. E che arrivati alla stazione Termini scendono e si scordano di pagare.

Ho visto camerieri assassini di risto-pizze-sushi-apertiv-bruschet- e quant’altro- rie, con in testa una lingua da riporto di pochi capelli inforforati incollati dal gel e sottili baffi disegnati su esili labbra, fermi negli striminziti vicoli di Trastevere con le gambe divaricate e le braccia conserte e sguardo minaccioso bloccare il cammino di malcapitati passanti, che non sai che ti succede se non ti siedi immediatamente a quel tavolo con la tovaglia a quadri rossi e bianchi sotto l’ombrellone di plastica e vicino al fungo di fiamme acceso pure ad agosto perché fa caratteristico, che dopo avergli lasciato pure una lauta mancia e dopo aver mangiato “pe’ fozza” quello che dicono loro tipo olive ascolane da frittura post-industriale con travaso di bile passando per una pizza colla e cozze fino al “dessertè” di panna stracotta al finto cioccolato chimico da scarica diarreica immediata con successivo ricovero per lavanda gastrica, ti guardano pure male se, con in faccia il cadaverico colorito da blocco intestinale, gli chiedi usando l’ultimo, estremo, filo di voce che ti resta: «Mi sto sentendo male, chiami un’ambulanza, grazie…».

Ho visto facce da chef con scarpe rosse e amicizie non più rosse e di stars della telecucina con cognome da onomatopea godereccia affisse sulle fiancate dei mezzi pubblici fare la réclame dell’acqua con poche bollicine e delle patatine fritte con pochi grassi e niente patata come se fossero caviale persiano e champagne millesimato e allora mi chiedo, e se Briatore facesse la pubblicità dell’otto per mille alla chiesa valdese che mondo sarebbe ?

Ho visto camion bianchi di tutte le misure con scritte gialle e nere con cognomi anche rassicuranti di service che servono i cinematografari, che come diceva mia nonna sono quelli che non sanno fare bene un cazzo e quindi se danno al cinematografo, occupare le strade di mezza città a tutte le ore del giorno e della notte perché adesso, dopo la Grande Furbezza, Roma è di nuovo la città del cinema! … (pausa respiro)… Vabbè … ogni tanto uno slogan positivo ce vole.

Ho visto ex monnezzari, attuali operatori ecologici che poi è la stessa identica cosa, con taglio rasato di capelli tinti giallo oro e sfumature rosse che fanno tanto forza roma forza lupi con tatuaggi sbiaditi sulle braccia e sul collo e sui polpacci ancora più sbiaditi tirare sul camioncino, con evidente fatica, cartoni che mia figlia di due anni e mezzo farebbe volare, girarsi verso la fila di auto che hanno creato fermandosi in mezzo alla strada e lentamente entrare in un negozio per prendere due cartoni due e mancare il bersaglio nel lancio e farli cadere sul tavolo di un bar rovesciando tutto l’aperitivo sulle gambe minigonnate di due gnocche da paura, che sulla loro gnoccaggine c’hanno lavorato ‘na cifra, e lanciarsi con i guanti ruvidi e luridi sulle loro gambe per pulirgliele e la bionda reagire furente spaccandogli il bicchiere in testa. E così abbiamo passato la serata in fila dietro ar monnezzaro che colava sangue e l’ambulanza a sirene spiegate che non riusciva a passare bloccata dietro di noi. Poi sono arrivati i vigili ma siccome del monnezzaro si erano perse le tracce, ci hanno multato tutti per divieto di sosta.

Ho visto truppe di cosiddetti tifosi, che però non muoiono mai di epidemia di tifo, calare dal nord di paesi bassi e piatti come il loro encefalogramma devastare piazze e strade della nostra indevastabile città e noi guardarli quasi ridendo e sapendo che questi stanno ancora dentro la grotta con la pelle dell’orso addosso a magnà la carne cruda e noi già siamo oltre l’essere stati froci .

Ho visto raduni di : vespe piaggio metallizzate di tutti i colori, zanzare tigre assetate di sangue umano, harley davidsonisti che friggono l’aria con le loro friggitrici nere, alfisti non linotipisti con i loro guanti bucherellati da autisti anni cinquanta su auto di epoche ormai dimenticate, parrucconi elvisiani rifatti e strafatti, alpini ubriachi che marciano a zigzag, subacquei quasi svenuti nel caldo torrido con la muta addosso e il boccaio in bocca e le pinne ai piedi appiccicate sull’asfalto bollente, e soprattutto raduni di persone sole-solissime con lo smartphone in mano chattare camminando a testa in giù credendo di avere un milione di amici per poi cenare da soli davanti alla tv e controllare il numero raggiunto nel pallino rosso in alto a destra della pagina facebook per sentirsi meno solissime.

E di tutto questo nulla andrà perduto.

Tutto resterà appiccicato nella mia mente e nel mio cuore come le cacche collose di gabbiano che piovono ormai ogni giorno dal cielo della città eterna sul tetto della mia auto.

È tempo di vacanze.

Illustrazione dell’artista Marisa Dipasquale