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Storia di Ordine Nuovo: dentro l’archivio dello Stato stragista

Dalla ricostruzione delle vicende alla storia delle radici ideologiche: la storia dell’eversione nera negli anni Settanta ricostruita da Aldo Giannuli ed Elia Rosati

Il 12 dicembre 1969, la strage di piazza Fontana a Milano inaugurava la strategia della tensione, segnando la storia sociale e politica italiana e il suo lungo Sessantotto. Se la verità sulla strategia della tensione – ovvero che fu messa in atto con la complicità materiale tra settori dello Stato e dell’eversione nera – è iscritta nella coscienza collettiva di milioni di persone, la verità giudiziaria non sempre (tra un depistaggio e l’altro) è riuscita ad arrivare a stabilire un quadro completo di responsabilità individuali. Ci sono però stati una gran mole di processi, che hanno prodotti centinaia di migliaia di documenti, la maggior parte delle quali passati per le mani dello storico Aldo Giannulli, in quanto consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mancata individuazione delle stragi e per diversi incarichi relativi alle stesse vicende ricevuti dall’autorità giudiziaria di Milano e Brescia. E proprio dai documenti degli archivi di polizia, carabinieri, procure, ministeri e servizi segreti, nasce Storia di Ordine Nuovo, volume dato alle stampe poche settimane fa per i tipi di Mimesis, che ricostruisce le vicende di uno dei principali gruppi della destra neofascista dalla nascita allo scioglimento e che lo storico firma assieme a Elia Rosati, ricercatore che da anni studia le destre radicali in Italia e in Europa.

L’aspetto affascinante che balza subito all’occhio è che ci troviamo di fronte a fonti nella maggior parte dei casi inaccessibili al lettore che cerca un testo di divulgazione, quanto a chi conosce ampiamente la materia. Giannulli ci apre le porte degli archivi, ricostruendo le tracce documentali, facendole leggere per ampi stralci e scavando la storia di un gruppo politico legato a doppio filo con la strategia della tensione, i network dell’eversione nera europea e i golpe tentati e immaginati, da un solo punto di vista: quello dello Stato e dei suoi apparati, interessati a controllare e allo stesso tempo a usare e indirizzare i gruppi neofascisti.

Singolare è constatare come le fonti riservate citate siano spesso e volentieri non infiltrati ma dirigenti di Ordine Nuovo, che agivano a carte quasi scoperte nel loro doppio ruolo di confidenti di servizi e di organizzatori della reazione  al ‘pericolo comunista’ e, più in concreto, all’insubordinazione operaia e studentesca. La lettura dei documenti svela poi una realtà più complessa dell’automatismo che vede i gruppi neofascisti come semplici burattini i cui fili (ne fossero consapevoli o meno) erano tirati da settori deviati dello Stato: in realtà si trattava di rapporti spesso tesi, mai lineari, di reciproco scambio, di interessi convergenti, ma mai di identità di vedute.

 

Il volume iscrive poi la storia del Centro Studi Ordine Nuovo prima, di Ordine Nuovo movimento extraparlamentare dopo e del rientro finale di gran parte dell’organizzazione dentro l’Msi come corrente interna alla destra di Almirante, nel grande arcipelago delle sigle della destra neofascista e del Movimento sociale. Qui emerge con chiarezza come la pretesa netta cesura tra Msi e destra eversiva sia non solo frutto dell’ipocrisia di allora, ma soprattutto di una lettura a posteriori: i contatti, anche nei momenti di scontro più duro, non solo non cessarono mai, ma in questo caso furono segnati da un reciproco utilizzo: la destra parlamentare non disdegnò mai l’utilizzo della forza d’urtoextraparlamentare e quest’ultima non disdegnò coperture e finanziamenti, secondo una dialettica altalenante ma costante. In più siamo di fronte ad ambienti, in particolari giovanili, estremamente fluidi, alla cui base i confini tra sigle erano indistinguibili. Di certo nessuno nella storia della destra neo- e post-fascista italiana si può sentire assolto indossando l’abito della ‘forza d’ordine’ ma fedele alle istituzioni repubblicane.

Centrale è anche la ricostruzione del rapporto tra Ordine Nuovo e i diversi network neofascisti e neonazisti, della collaborazione con il terrorismo dell’Oas francese, che resisteva al processo di decolonizzazione algerina, e ovviamente con i regimi in Spagna, Portogallo e Grecia. Di qui non solo arrivano finanziamenti, ma prendevano vita le varie centrali (per lo più camuffate da agenzie d’informazione) che costituirono l’infrastruttura per una strategia della tensione attuata non solo in Italia, ma in tutta l’Europa Occidentale, coinvolgendo anche la Nato e gli Stati Uniti. Qui si saldavano gli interessi tra la destra più nera, orfana dei regimi totalitari, e gli apparati di stati autoritari e democratici, tra l’anticomunismo neofascista e neonazista e l’anticomunismo ‘bianco’.

In chiusura del volume, una sorta di appendice monografica sulle radici ideologiche di Ordine Nuovo, in particolare in rapporto al pensiero e alla figura di Julius Evola, mostra l’apprendistato ideologico degli eredi di Salò e del fascismo-regime in cerca di parole, strumenti e idee per affrontare una fase storica completamente nuova. Un pensiero ancora lungi dal discostarsi dai capisaldi di un’interpretazione del mondo e della pratica politica fortemente elitaria, antiegualitaria e antidemocratica, che portò i gruppi neofascisti a percepirsi come avanguardia guerriera, ultima falange di un esercito sconfitto ma pronto a riorganizzarsi. Fu così stabilito un legame con il fascismo e il nazismo non solo di filiazione storica e organizzativa, ma prima di tutto di legame mistico e ideale, a cominciare dal culto dei morti e dall’idealizzazione di alcuni modelli come le SS, corpo militare transnazionale con una propria identità ideologica e di appartenenza ben lontana dal semplice soldato di leva.