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Sri Lanka: stragi in un paese ancora ferito dalla guerra

Non è chiara la dinamica dei tremendi attentati del giorno di Pasqua nel paese asiatico, è invece chiaro che il paese è ancora dilaniato tra fazioni ed etnie a causa una gestione del post-conflitto priva di verità e giustizia

Nel giorno di Pasqua sono avvenute sette esplosioni in Sri Lanka. Quattro degli attentati si sono verificati a Colombo. I primi due attentati si sono verificati quasi in concomitanza alla chiesa di St. Antony e a quella di St. Sebastian a Negombo, la seconda esplosione è avvenuta poco prima delle 9 all’hotel Shangry-La. Poco dopo, i media hanno parlato di una grande esplosione sulla costa orientale dell’isola, alla chiesa Zion di Batticaloa. Sono seguite le bombe in due degli hotel più importanti della capitale, il Kingsbury e il Cinnamon Grand. Un’altra esplosione è stata poi registrata vicino a una residenza privata di Dehiwala. Nelle ultime ore invece sono stati individuati degli ordigni nei pressi dell’aeroporto di Katunayake e fuori dalla chiesa di St. Antony, quest’ultimo è esploso prima che i militari riuscissero a farlo detonare in un luogo sicuro.

Dishan Galison, il proprietario di un hotel di lusso di Negombo, ha dichiarato che molti alberghi, tra cui quelli colpiti, avevano in programma dei brunch pasquali, destinati alla clientela internazionale e a quella cristiana locale.

«Non assistevamo a un orrore di questo genere da 10 anni», ha detto il segretario alla difesa Hemasiri Fernando. I morti degli attentati sono 290, invece i feriti più di 500: non si registrava un numero così alto di vittime dalla fine della guerra civile che ha dilaniato lo Sri Lanka per quasi trent’anni.

La guerra civile tra i Tamil indipendentisti e il governo srilankese è terminata nel 2009, ma la fine del conflitto ha portato accuse di genocidio e crimini di guerra all’allora presidente Mahinda Rajapaksha, oggi leader dell’opposizione. Gli anni successivi al conflitto avrebbero dovuto essere dedicati a un lungo processo di pace che, però, un decennio dopo, sembra ancora parziale. Lo Sri Lanka non ha fatto mai i conti con i modi in cui si è concluso il capitolo più doloroso della storia: 40mila civili uccisi soltanto nelle ultime fasi del conflitto e decine di migliaia di scomparsi.

Quanto sia difficile ottenere giustizia per quei crimini lo dimostra la cronaca recente: Gotabaya Rajapaksha, fratello dell’ex Presidente Mahinda e a capo delle forze armate durante il suo governo, sarà imputato in due cause civili in California, tra cui quella per l’uccisione di un importante giornalista investigativo srilankese. Si tratta di una svolta, considerando che sarebbe oggi impossibile perseguire i crimini di guerra in uno Sri Lanka ancora fortemente influenzato dalla famiglia Rajapaksha.

Inoltre la conclusione di un conflitto trentennale non mette fine, da un giorno all’altro, ad antichi dissapori. Dal 2009 ci sono stati molti episodi di vandalismo su moschee, chiese e statue buddiste. Nel marzo 2018 ci sono stati forti scontri tra musulmani e cingalesi nella parte centrale dello Sri Lanka, scontri che hanno portato il governo a silenziare i social network anche in quell’occasione, nella speranza di limitare la disinformazione e ulteriore odio.

Gli attentati di Pasqua non sono stati rivendicati da nessun gruppo terroristico, ma il ministro Rajitha Senaratne ha dichiarato che gli autori apparterrebbero a «un’organizzazione locale». Sembra che i 24 sospettati in custodia facciano parte del National Thowheeth Jama’ath, un gruppo estremista islamico piuttosto giovane, che fino a ieri non sembrava così organizzato da riuscire a mettere a punto un piano terroristico tanto ben studiato.

Queste informazioni, unite al fatto che la comunità cristiana non è mai stata davvero il fulcro delle tensioni in Sri Lanka, ci fanno domandare se l’intenzione degli autori non fosse quella di compiere un attentato che fosse il più mediatico possibile piuttosto che colpire i cristiani in quanto tali.

Il Primo Ministro Ranil Wickremesinghe stamattina ha confermato alla stampa la notizia secondo cui il governo sarebbe stato informato con largo anticipo di possibili attentati. Un’agenzia di intelligence straniera aveva informato il 4 aprile scorso gli uffici in cima alla scala di comando di possibili attentati a danno di chiese e hotel. Il PM però ha negato che lui o i suoi ministri fossero a conoscenza di questo dossier, lasciando intendere però che altri alti funzionari, come il Presidente Sirisena, ne fossero informati.

Le parole di Wickremesinghe rivelano quanto siano tesi i rapporti tra il Primo ministro e il Presidente Sirisena. Gli screzi tra i due avevano portato Sirisena a revocare Wickremesinghe dall’ufficio di Primo ministro, e a nominare l’ex Presidente nonché leader dell’opposizione Mahinda Rajapaksha. Questo gioco di poteri nasconde motivazioni economiche oltre che politiche: Sirisena avrebbe voluto alla guida del governo un premier filo-cinese, come Rajapaksha, anziché uno filo-indiano, come Wickremesinghe. La crisi politica che incombeva sul paese, con grida di incostituzionalità e golpe da più parti, si è risolta a dicembre con il ritorno di Wickremesinghe alla residenza ministeriale di Temple Trees solo perché Rajapaksha non aveva in Parlamento i numeri per guidare un governo stabile.

Insomma, in Sri Lanka la situazione politica è stabile quanto i rapporti tra le diverse componenti etniche. Su quasi 22 milioni di abitanti, il 70% è di etnia cingalese, a maggioranza buddista, il restante è composto da Tamil Indiani 5%, Tamil srilankesi 12% (entrambi in maggioranza induista, ma con una componente cristiana non indifferente). I musulmani sono intorno al 7% della popolazione, da un punto di vista etnico e linguistico sono Tamil, ma non si considerano Tamil.

I rapporti tra le diverse componenti della popolazione sono sempre stati a dir poco precari, ma la fine della guerra e un’economia in ripresa avevano portato a un collettivo auspicio di coesione nazionale. Tuttavia, gestire tanta diversità in un paese così piccolo è un’impresa difficile, soprattutto considerando la presenza di frange estremiste in tutte le fazioni.