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OPINIONI

Spider-Man o della cura

L’ultimo capitolo della lunghissima saga Marvel sull’uomo ragno ci aiuta a comprendere la crisi della cura, a partire dalla pandemia di COVID-19 e dalla sua catastrofica gestione

Mentre guardavo al cinema Spider-Man: No Way Home, l’ultimo film del gigante Disney/Marvel diretto da Jon Watts, riuscivo a pensare solo alla sua idea di cosa volesse dire curare una persona.

[Questo articolo conterrà qualche spoiler su Spider-Man: No Way Home, ma se per qualche motivo non lo avete ancora visto sappiate che svelerò poco di più rispetto a quello che è stato già discusso da Disney/Marvel durante la promozione dell’opera].

In Spider-Man: No Way Home, a causa del tentativo del supereroe Peter Parker/Spider-Man di usare la magia per cancellare dalle menti di tutte le persone il ricordo della sua identità segreta (svelata al mondo intero dall’antagonista del film precedente), arrivano nell’universo dei film di anche Disney/Marvel gli antagonisti delle due precedenti serie cinematografiche di Spider-Man, prodotte invece da Sony Pictures (la trilogia Spider-Man, diretta da Sam Raimi e distribuita tra 2002 e 2007, e la serie The Amazing Spider-Man, diretta da Marc Webb e distribuita tra 2012 e 2014). Con l’aiuto dello stregone Doctor Strange, Spider-Man dovrebbe catturare i vari cattivi e rimandarli nei loro mondi originali, ma quando scopre che laggiù sono destinati a morire (uccisi dalle altre incarnazioni di Spider-Man) sceglie invece di “curarli.”

Non penso che il film avesse come scopo principale quello di parlare di cura. Il film è il prodotto di lunghe trattative tra Disney/Marvel e Sony, che ancora possiede i diritti cinematografici per il personaggio di Spider-Man, e il suo scopo principale è la celebrazione del successo delle trattative da cui è nato. Il tema della cura e il modo in cui questo tema è trattato sono invece (ipotizzo) qualcosa che è entrato lateralmente, quasi inconsciamente, nell’opera, ma non credo che questo renda meno importante capire come un tale argomento sia trattato da un film di grande successo, realizzato durante la pandemia di COVID-19, come Spider-Man: No Way Home.

I personaggi del fumetto supereroistico sono persone spesso fortemente legate all’ambito scientifico: si occupano di scienza, sono vittime della scienza e dei suoi esperimenti falliti o, in molti casi, sono entrambe le cose. È in effetti notevole la quantità di personaggi malvagi che hanno un dottorato – o si suppone che lo abbiano. È “scienziato pazzo,” almeno nelle sue prime rappresentazioni, Alexander Joseph “Lex” Luthor, nemico giurato di Superman.

Nella sua seconda incarnazione (i personaggi dei fumetti della DC Comics come appunto Superman hanno avuto varie versioni negli anni), Luthor ce l’ha con Superman perché mentre il supereroe lo salvava da un suo esperimento fallito non è riuscito a salvare pure i suoi capelli e Luthor è rimasto calvo. Joker, grande antagonista della serie a fumetti Batman, ha ricevuto varie “storie di origine” negli anni, ma è ricorrente (e fa da base alla celebre versione raccontata in The Killing Joke di Alan Moore) quella che collega il suo aspetto e la sua personalità alla caduta in una vasca di sostanze tossiche.

Vittime di esperimenti scientifici, e spesso anch’essi un qualche genere di scienziato, sono anche protagonista e antagonisti di Spider-Man: No Way Home. Peter Parker/Spider-Man è dotato di forza e sensi sovrumani ed è capace di arrampicarsi sui muri perché è stato morso da un ragno radioattivo. Norman Osborn/Green Goblin sviluppa una seconda personalità malvagia come conseguenza dei suoi esperimenti sul suo stesso corpo. Otto Octavius/Doctor Octupus è posseduto dall’intelligenza artificiale dei tentacoli meccanici a cui è collegato. Flint Marko/Sandman diventa fatto di sabbia e capace di cambiare forma dopo un incidente con un acceleratore di particelle. Curt Connors/Lizard è una violenta lucertola antropomorfa a causa del suo tentativo di rigenerare il braccio che aveva perso. Maxwell “Max” Dillon/Electro acquisisce il potere di assorbire e controllare l’elettricità dopo un incidente in cui, dopo essere stato fulminato da una scarica elettrica, cade in una vasca di anguille elettriche geneticamente modificate.

In alcune di queste storie è immediatamente visibile il rapporto tra scienza, poteri e malvagità: gli esperimenti di Osborn, Octavius e Connors cambiano corpo e mente degli scienziati, dando loro superpoteri ma mutandone anche la personalità.

Negli altri casi il rapporto appare assai meno chiaro, almeno nei film originali. Non c’è apparentemente motivo per cui i poteri di Dillon lo rendano il supervillain Electro e non Super Zap, l’elettrico difensore dell’infanzia o una cosa del genere. Ancora più significativo è il caso di Marko nei film di Raimi, maggiormente interessati alla rappresentazione delle condizioni e dei conflitti di classe rispetto ai successivi film supereroistici e soprattutto rispetto a quelli di Disney/Marvel. Marko è (per la legge statunitense) un criminale, ma lo è prima di tutto perché non trova altro modo per recuperare il denaro necessario alle cure di sua figlia. A differenza degli altri supervillain recuperati in Spider-Man: No Way Home, Marko non viene neanche ucciso da Spider-Man nel film in cui originariamente compare (Spider-Man 3), proprio perché Spider-Man si rende conto di avere di fronte una persona mossa da difficoltà economiche e dal fallimento di strutture assistenziali e sanitarie, una persona che è dispiaciuta per le conseguenze che le sue azioni hanno avuto (in questa serie cinematografica, Marko è involontariamente l’assassino dello zio di Peter Parker).

Ma in Spider-Man: No Way Home queste differenze scompaiono: Parker, come a un certo punto viene provocatoriamente affermato da Octavius, vede tutti questi supervillain come “macchine rotte” che la scienza, che li ha creati, può ora riparare grazie ad apparecchi tecnologici e farmaci. Il “comportamento criminale” è qui una malattia da curare e curabile solitamente sottraendo ai supervillain i loro poteri, anche nel caso di Marko. Non solo: questa cura avviene in gran parte senza il consenso dei pazienti, o con la minaccia della loro morte: se non accetteranno di farsi curare saranno riportati nel loro stato attuale nel loro universo originario, e lì i loro rispettivi Spider-Man li uccideranno.

È interessante che questa idea di cura venga prima proposta e poi approvata dalla zia del protagonista, personaggio che nel film lavora in un centro per persone senza fissa dimora e da cui quindi potremmo aspettarci una visione più complessa di cosa sia la cura, di che posto abbia la cura in una comunità e di che posto abbia la comunità nella cura.

Dalla pandemia di Covid-19 dovremmo uscire con una visione opposta rispetto a quella di Spider-Man: No Way Home, all’idea che la malattia (o ciò che viene definito “criminalità”) sia un problema tecnico-scientifico che ha bisogno di mere soluzioni tecnico-scientifiche (un vaccino o un qualche marchingegno fantascientifico) e non una questione sociopolitica che ha bisogno di risposte sociopolitiche. Come se la gestione di una pandemia o la definizione e la rappresentazione di malattia e cura potessero non essere questioni politiche. Invece abbiamo le quotidiane dichiarazioni di ministrǝ e generali, che presentano il vaccino contro la COVID-19 come “l’unica arma,” propongono l’obbligo vaccinale, premono perché le persone si sottopongano al richiamo (un richiamo che minaccia di essere solo il primo) e spingono per una disordinata riapertura delle attività economiche e per l’allentamento delle restrizioni allo scopo di compiacere Confindustria, che dichiarò candidamente che “anche se qualcuno morirà pazienza.”

Domenico Guzzini, che pronunciò queste parole, si dimise dalla sua carica di presidente di Confindustria Macerata, ma la sua colpa fu semplicemente di aver esplicitato troppo chiaramente la posizione della sua organizzazione e della classe dirigente da lei emanata. Ricordiamoci lo slogan “Milano non si ferma,” seguito dal tracollo del sistema sanitario lombardo. Tutto questo mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia l’istituzione di un obbligo vaccinale solo come ultima possibilità. Perché, tra le altre cose, è difficile (e costoso) controllare e sanzionare un obbligo vaccinale, è importante preservare la possibilità di poter rifiutare i trattamenti sanitari, se non in situazioni ben specifiche, e dovremmo puntare ad avere un’educazione scientifica diffusa e una comunicazione chiara, cioè a convincere le persone dell’utilità del vaccino.

Mentre abbiamo preferito avere per giorni le prime pagine dei maggiori quotidiani occupate da titoli allarmistici sugli effetti collaterali del vaccino di AstraZeneca, per poi lamentarci quando le persone hanno espresso dubbi sulla sicurezza dei vaccini.

Così, l’OMS raccomanda di non affidarsi a una campagna vaccinale fatta di continui richiami nei soli paesi del “nord globalee di concentrarsi nella distribuzione delle dosi di vaccino ai paesi con minor reddito, e magari di permettere loro di produrli autonomamente grazie a una sospensione dei brevetti. Invece la percentuale di persone completamente vaccinate in Africa era, a metà gennaio, solo dell’8%. Anche guardando la questione da una prospettiva totalmente egoistica, simili strategie andrebbero evitate perché facilitano la nascita di nuove varianti destinate ad arrivare rapidamente da noi.

(da commons.wikimedia.org)

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha più volte sconsigliato anche l’adozione di certificazioni vaccinali come il nostro “green pass,” soprattutto se non ne sono chiariti bene applicazioni e limiti e se vengono resi un modo per far accedere le persone, seppur vaccinate, a spazi dove non vengono poi rispettate le misure necessarie per limitare la diffusione del virus. Perché, diversamente da cosa pensano e sostengono il generale Figliuolo e Spider-Man: No Way Home, il vaccino (la cura miracolosa ingegnata dalla scienza umana) non è “l’unica arma.” Non perché non sia efficace, ma perché non può risolvere ogni problema e sostituire ogni misura sociale, politica, lavorativa necessaria durante una pandemia. In questi giorni il primo ministro del Regno Unito Boris Johnson, in crisi di popolarità dopo le notizie delle feste organizzate nella sua residenza in barba alle restrizioni imposte al resto della popolazione, ha annunciato la fine di misure come l’obbligo di mascherina, il lavoro da casa e l’obbligo di isolarsi in caso di positività, citando come motivo proprio l’efficacia dei vaccini.

Un annuncio che ha allarmato l’OMS, che continua a raccomandare restrizioni e l’isolamento delle persone malate. Gli stati stanno usando la (comprovata) efficacia della campagna vaccinale come scusa per ridurre o annullare le altre restrizioni, principalmente con lo scopo di mantenere attiva la forza lavoro.

L’introduzione dei green pass, come temuto dall’OMS, non ha neanche avuto un effetto importante sulla campagna vaccinale italiana: chi voleva vaccinarsi lo aveva già fatto. Ha però contribuito al rafforzamento delle posizioni antivacciniste, con la trasformazione delle persone “no vax” (poco più del 5% della popolazione italiana) negli ultimi capri espiatori di questa pandemia, preceduti dalle persone di origine asiatica e da “i runner”. Un nuovo immaginario conflitto sociale, una nuova strategia della tensione utile al mantenimento della “pax draghiana,” il governo dell’eroe (più videoludico che fumettistico/cinematografico) Super Mario Draghi, ora pronto a gestire a suo piacere i miliardi dei finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

La pandemia è stata causata dalla continua invasione, omogeneizzazione e distruzione degli ecosistemi, a danno soprattutto del “sud globale” e a vantaggio soprattutto del “nord globale,” da un sistema di trasporto globalizzato per il rapido spostamento delle merci e di chi le merci le consuma e dalla sottovalutazione dell’importanza dei sistemi di sanità pubblica con, per esempio, il taglio dei posti letto. Ma ci aspettiamo che venga risolta dal rapido spostamento attraverso il globo, vero il solito “nord globale,” delle dosi di vaccino prodotte da multinazionali. Così, il cambiamento climatico causato dal pensiero scientifico e tecnologico del capitalismo occidentale dovrebbe essere risolto dalla scienza e della tecnologia del capitalismo occidentale. Anzi, ci rassicurano le testate economiche, l’apocalisse è persino una opportunità di investimento.

Non serviva e non è certo servito un film perché ci rendessimo conto di questa situazione, ma in un certo senso Spider-Man: No Way Home la immortala come mai prima grazie al suo budget da 200 milioni di dollari e al suo successo quasi globale (gli ultimi dati che ho disponibili danno un incasso di 1,63 miliardi di dollari).

Come nella nostra realtà, nel film scienza e tecnologia servono a risolvere, nel modo più sbrigativo e superficiale possibile, solo l’ultimo sintomo di una lunga catena di cause e conseguenze di cui preferiamo ignorare le radici. Magari perché abbiamo costruito narrazioni fantastiche in cui queste radici non esistono, o semplicemente (come nel caso di Marko) perché facciamo finta che non ci siano. Come nella nostra realtà, nel film le soluzioni vengono imposte paternalisticamente dall’alto, e si oppone loro (nella rappresentazione ufficiale) solo un malvagio e malato fronte no vax.

Avremmo invece bisogno di una “società della cura” che parta dal basso e vada oltre il mero sopravvivere a questa pandemia inondando di dosi di vaccino i paesi ricchi. Perché dopo questa arriverà una nuova pandemia, come probabilmente arriverà un nuovo film di Spider-Man. Anzi, direi che fin quando esisteranno film come Spider-Man: No Way Home possiamo avere la certezza che continueranno a esserci simili pandemie. Non perché questi film causino pandemie: Spider-Man: No Way Home è solo una delle tante conseguenze delle stesse cause, dello stesso modo di pensare società ed economia, che hanno portato alla pandemia e alla sua gestione.