MONDO

Covid-19, vaccini sequestrati dai paesi ricchi

Mentre nel nostro paese inizia la somministrazione della terza dose, in Africa solo il 5% della popolazione ha avuto accesso al vaccino. La richiesta di sospensione dei brevetti rimane ancora inascoltata

Mentre nei “paesi ricchi” come il nostro si discute di gestione della pandemia e di politiche vaccinali, arrivando a scontri di piazza, ci sono altre parti del mondo che nemmeno si possono permettere di intavolare il dibattito per mancanza di “materia prima”. Com’è noto, quasi metà dei farmaci anti-Covid prodotti e venduti da AstraZeneca, Pfizer, Moderna e Johnson &Johnson sono infatti stati spediti nelle nazioni ad alto reddito, nonostante queste ultime rappresentino solo il 16% della popolazione globale: se in Italia, al momento, circa l’82% della cittadinanza ha completato il ciclo vaccinale di due dosi e in tanti si trovano già in fila per il richiamo, stati come la Nigeria sono al di sotto del 2%.

La causa non risiede certo nelle poche dosi disponibili, né – generalmente – nella reticenza delle persone a sottoporsi all’inoculazione dell’antigenico. La causa risiede negli accordi bilaterali che la Commissione Europea e altre nazioni ad alto reddito hanno stretto con le cause farmaceutiche, le quali hanno richiesto “riservatezza” sui contenuti di tali accordi (in deroga tra l’altro alle norme europee sulla trasparenza sulle norme commerciali) rendendo così impossibile capire con precisione le modalità di distribuzione e di regolamentazione.

Il risultato? Al 19 ottobre, è stata vaccinata completamente il 36,2% della popolazione mondiale con l’Europa al 54,1%, gli Usa al 56,3% e l’Africa al 5,1%.

Viene dunque da chiedersi “da quale pulpito” le venti nazioni più ricche del pianeta parleranno domani e dopodomani in una Roma letteralmente militarizzata (unica manifestazione concessa a sei chilometri dalla sede del G20, più di cinquemila militari impiegati, tiratori scelti a presidio delle zone sensibili e no flying zone in diverse aree della città) della «questione dei vaccini nel mondo». Il sei settembre scorso, il ministro Speranza ha dichiarato che i vaccini sono un «bene comune» per l’intero pianeta. Intanto però – come denuncia il report A Dose of Reality della People’s Vaccine Alliance – «nel 2021, almeno 100 milioni di dosi potrebbero rimanere inutilizzate e scadere nei paesi del G7, e il numero di dosi sprecate rischia di salire a quota 241 milioni».

(da Flickr)

In pratica, i paesi ad alto reddito (e ad alto potere contrattuale) si sono accaparrati l’esclusiva sui vaccini, ignorando le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (che ad agosto si opponeva alla somministrazione della terza dose nelle nazioni ricche, seppur tornando poi parzialmente sui propri passi) e di fatto boicottando il programma per l’accesso equo ai farmaci anti-Covid “Covax”. Non stupisce, d’altronde: come spiegato dalla giornalista e attivista della Società della Cura e come denunciato dai movimenti che domani scenderanno in piazza a contestare il G20, «la tendenza è quella di indebolire il potere decisionale di istituzioni come Oms o Omc, in favore di accordi che vengono stipulati direttamente fra stati e aziende con delle dinamiche che sono di conseguenza ancora meno democratiche di prima».

Oltre alla carenza di dosi (rispetto alle quali, ha riferito la presidente di Emergency in Senato, è stato comunque consegnato ai paesi a basso reddito solo il 14% della quantità promessa), il grande oggetto del contendere rimangono i brevetti.

È ormai passato più di un anno da quando India e Sudafrica hanno presentato una proposta di deroga ai trattati sulla proprietà intellettuale “Trips” affinché venisse facilitata la produzione degli antigenici nelle nazioni a medio e basso reddito. Non si tratta di una battaglia ideologica: sempre secondo l’Oms, sono tanti i paesi che – grazie a una sospensione dei brevetti – avrebbero le disponibilità di strumentazione e di personale sufficienti a produrre i vaccini e dunque poter procedere più speditamente alle campagne di immunizzazione. Eppure, nonostante le adesioni ufficiali alla richiesta siano in costante crescita, questa domanda resta tutt’oggi inascoltata.

Certo, la vulgata comune è che la Covid-19 in continenti come quello africano non abbia effetti così “devastanti” come in altre parti del mondo e le persone là “abbiano ben altri problemi”. Ma se da una parte il virus in quelle aree ha certamente un diverso impatto per via dell’età media della popolazione, delle abitudini sociali e delle caratteristiche climatiche della zona, è altrettanto vero che da quest’estate si sta verificando un’ondata di infezioni che – per bocca del direttore regionale dell’Oms Matshidisho Moeti – «si manifesta con una velocità di diffusione mai vista in precedenza». Ed è altrettanto vero che alcuni paesi sono colpiti da un tasso di decessi in tutto e per tutto paragonabile alla situazione europea: il Sudafrica, stato più colpito dalla pandemia, ha registrato all’oggi 88.987 morti su 59 milioni di abitanti (l’Italia al momento ha 132mila morti su 65 milioni di abitanti).

Per fare un raffronto che può suonare cinico: nel 2017 nella repubblica uscita dall’apartheid ci sono stati 72mila decessi correlati all’Aids (epidemia sulla quale si giocò un’importante battaglia proprio in merito ai brevetti).

Per non parlare poi delle condizioni in cui talvolta questi decessi si verificano: nel Sudan recentemente scosso da un colpo di stato, a maggio il professionale sanitario di alcuni ospedali era entrato in sciopero per protestare contro la mancanza di letti, farmaci e macchine dell’ossigeno. Talvolta, i difetti del sistema di approvvigionamento energetico fanno sì che i ventilatori non funzionino e le persone, semplicemente, non possono essere salvate.

(da Flickr)

Se non dovesse bastare tutto questo a interessarsi di come incrementare la possibilità di accesso ai farmaci anti-Covid da parte dei paesi a medio e basso reddito, c’è poi il fatto – banale – che una campagna vaccinale contro una pandemia mondiale può aver senso e efficacia solo se condotta, appunto, a livello globale. Come sintetizzava Andrea Capocci sul “manifesto” un paio di mesi fa: « Se la strategia della Pfizer [e delle altre case farmaceutiche, ndr] consiste nel riempire di dosi i paesi ad alto reddito, lasciando quelli poveri senza vaccini, è fatale che le ampie sacche di circolazione del virus generino periodicamente nuove varianti».

Varianti che potrebbero risultare resistenti ai vaccini e che dunque andrebbero a vanificare i risultati fin qui ottenuti. Insomma, al di là delle percentuali di popolazione immunizzata e al di là delle polemiche sui metodi impiegati nella gestione della pandemia, è necessario un deciso cambio di rotta. Sabato si scende in piazza per chiedere che ciò avvenga. Già è tardi.

Immagine di copertina da commons.wikipedia