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Sopravvivere al 25 aprile: manuale per postfascisti

Il 25 aprile è alle porte e quest’anno si terrà durante il governo Meloni con Fratelli d’Italia partito di maggioranza. Come affronterà la destra postfascista questa ricorrenza? Con le strategie di affollamento del calendario, dei racconti contro i partigiani e della delegittimazione della Resistenza

Il 25 aprile si avvicina e allora ho deciso di dedicare la newsletter di oggi a come la destra postfascista italiana stia elaborando una propria strategia per sopravvivere alla festa che per loro proprio una festa non è. Negli ultimi 15 anni la destra destra italiana ha investito molto sulla dimensione pubblica e istituzionale della storia.

Quello che vediamo in opera oggi è un dispositivo in gran parte in continuità con quello che è avvenuto negli scorsi anni, ma con importanti novità dovute da un fatto storico: oggi quelli che sono stati fascisti e postfascisti sono il partito di maggioranza relativa.

»Niente da festeggiare»

Pensate di essere un ministro o un sindaco di un partito in cui un posto d’onore è ancora occupato da Giorgio Almirante, che odia Bella Ciao, canta Me ne frego! e di aver scritto sul diario di scuola «25 aprile: niente da festeggiare».

La Festa della Liberazionesi avvicina, e la destra destra di Giorgia Meloni che oggi è al potere, e Fratelli d’Italia che è il partito di maggioranza relativa, prova a capire come misurarsi con una data che non è certo nel suo Dna.

La storia come fatto pubblico e civile non è un elemento fisso e imperituro, ma viene costruito dalla cultura e dai rapporti di forza politici e sociali. Così la destra post fascista sta capendo come sopravvivere al 25 aprile. A quello del 2023 e a quelli che verranno: difficile fare finta di niente.

Per questo la destra italiana sta mettendo in atto delle strategie per passare indenne la data più odiata. Alcuni di questi dispositivi discorsivi vengono da lontano, alcuni sono una novità degli ultimi mesi.

Affollare il calendario

La Seconda Repubblica ha visto i postfascisti lanciare una massiccia offensiva sul nostro calendario civile. Ci riferiamo evidentemente al Giorno del Ricordo dedicato alle “vittime delle foibe” e “dell’esodo italiano da Fiume, Istria e Dalmazia”. Un’operazione resa possibile da anni di martellamento sul tema che ha reso possibile anche ai fascisti presentarsi come vittime della storia. Il Giorno del Ricordo è stato modellato sulla falsa riga del Giorno della Memoria, tentando di presentare un olocausto italiano che non è mai avvenuto. Il paradigma vittimario nella rappresentazione pubblica della storia, è stato assunto dalle destra italiana per creare un contrappeso alla Shoah e alle colpe del fascismo nello sterminio.

La creazione di un calendario civile segnato dall’esaltazione della Patria e della nazione, c’è da dire è stato accompagnato anche da operazioni che sono state condotte dalle forze democratiche e dalla Presidenza della Repubblica. Pensiamo alla nuova centralità assunta a partire dal settennato di Carlo Azelio Ciampi dalla Festa della Repubblica del 2 giugno, con il ripristino della parata militare, quando ai toni nazionalisti e di esaltazione militaresca che hanno spesso assunto le celebrazioni del centenario della Grande Guerra.

Affollare il calendario di ricorrenze in cui si può celebrare uno spirito unitario della nazione, a discapito di feste reputate dalle destre divisive o comunque appannaggio di un’altra parte politica (il 25 aprile e il 1 maggio). Così Fratelli d’Italia ha depositato due proposte di legge per trasformare il giorno della Proclamazione dell’unità d’Italia il 17 marzo 1861, in festa nazionale in quanto è «una data unificante e in cui tutti gli italiani si possono riconoscere», come spiegato dal capogruppo in Senato Lucio Malan.

La Commissione Affari Costituzionali del Senato poi è al lavoro per far tornare a essere il 4 novembre festa nazionale, nel giorno in cui termina per l’Italia la Prima Guerra Mondiale. Più precisamente per farlo tornare a essere il “Giorno dell’Unità nazionale e Giornata delle Forze armate”.

Non potendosi liberare del 25 aprile, del Giorno della Memoria e del 1 maggio, la destra sembra puntare a costruire un calendario civile “compensativo” spesso in accordo con la Presidenza della Repubblica e molte delle forze liberali e democratiche, non immuni a un richiamo a uno spirito nazionale e organicista. In questo senso è interessante come la destra da tempo – e la scelta del nome “Fratelli d’Italia” è evidente in questo senso – stia colonizzando l’immaginario del Risorgimento. Storia lontana, le cui spinte socialiste, radicali ed egualitarie sono confuse nella coscienza collettiva, e che si presta ad essere presa a prestito per entrare a far parte di una nuova retorica patriottarda.

I partigiani cattivi….

La destra postfascista, quanto quella sovranista della Lega, soffre tantissimo la “presunta superiorità morale della sinistra”. D’altronde aver trasformato in un insulto il sostantivo “buonista” serve esattamente a ribaltare lo stigma di essere i “cattivi”. Una dicotomia che si ricalca su un assunto: da una parte c’erano i buoni, i partigiani, dall’altra i cattivi, i fascisti e i nazisti. Un assunto che il revisionismo si è preso il compito di ribaltare a partire dalla trasformazione della storiografia in un format lacrimevole e tragico, ricalcato su fiction e sceneggiati, fatto di singole storie, spesso gonfiate e travisate se non proprio false. Su questo tema il collettivo Nicoletta Bourbaki porta avanti un lavoro prezioso che è diventato anche un libro, La morte, la fanciulla e l’orco rosso. Il caso Ghersi: come si inventa una leggenda antipartigiana, edito da Alegre.

C’è un grado zero della diffusione a livello mainstream delle storie sui partigiani cattivi, ed è ovviamente il Sangue dei vinti di Giampaolo Pansa. Anche in questo caso a dar manforte alla destra destra, come quando si tratta di segnare nuove date in rosso sul calendario, arrivano esponenti della tradizione liberale ansiosi di mettere a loro volta in discussione un altro assunto: il primato dell’eroismo comunista e della centralità del Pci nell’epopea della Resistenza.

Il presidente del Senato Ignazio La Russa aveva promesso, dopo aver parlato delle vittime militari dell’azione partigiana di via Rasella, come di «una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza», visto che «quelli uccisi furono una banda musicale di semi pensionati e non nazisti delle SS» (di questo ce ne siamo già occupati qui), che non avrebbe più parlato di vicende storiche ma solo di stretta attualità. Passano solo pochi giorni e infrange la promessa tornando a parlare dei partigiani comunisti. L’occasione è la presentazione dell’ultimo libro di Pier Ferdinando Casini, C’era una volta la politica, al Teatro Franco Parenti di Milano:

In quelle tesi (riferendosi al congresso di Fiuggi ndr) c’è poi anche una differenza sostanziale, che è inutile nascondere: che mentre il rispetto per la Costituzione è totale e assoluto, noi dicemmo che non tutta la Resistenza, partigiani bianchi e partigiani rossi, avevano avuto lo stesso obiettivo. Dicemmo che una parte della Resistenza, che pure era stata anch’essa importante per arrivare alla fase del dopoguerra, aveva probabilmente l’ambizione di dare all’Italia un governo che assomigliasse più all’Unione sovietica. Ma era una verità storica, che inutilmente qualcuno ha cercato negli anni successivi di dimenticare.

Ci sono i partigiani buoni e quelli cattivi dunque, come c’erano i fascisti buoni e quelli cattivi evidentemente. La sinistra di matrice comunista così perde il suo primato morale.

…e gli antifascisti assassini

Lo stesso format utilizzato per delegittimare la Resistenza, e in particolare le formazioni comuniste, è usata dalla destra destra per elaborare la storia post unitaria, in particolare il lungo Sessantotto italiano. Dimenticando le stragi di Stato e il ruolo della destra erede di Salò nella storia italiana del dopoguerra, tra tentazioni golpiste e lunga manu del partito dell’ordine contro le insorgenze sociali e operaie, quella che i viene propinata è solo la storia delle vittime. Storie spesso tragiche, drammatiche, che vedono la morte di ragazzi molto giovani, ma che vengono completamente astratte dal contesto in cui sono avvenute. Gli assassini, i rossi, vengono presentati così solo come belve assetate di sangue e accecate dall’odio, il cui unico obiettivo era impedire la partecipazione alla vita democratica ai ragazzi di destra. Anche in questo caso c’è un grado zero, anche in questo caso un libro, si tratta di Cuori Neri di Luca Telese.

È su questo schema che si fonda la richiesta di una pacificazione nazionale. Non dalla condanna del fascismo come ideologia e non solo come regime, non dal riconoscimento delle trame nere nelle stragi e nei tentativi eversivi, ma dal riconoscimento che i fascisti sono state le vittime morali degli anni Settanta.

Lo ha chiarito Fabio Rampelli, ricordando in aula i fratelli Mattei morti nel rogo di Primavalle, che «c’era anche una violenza morale che colpiva soprattutto ragazzi di destra». Nel suo discorso programmatico alla Camera d’inizio legislatura Giorgia Meloni aveva spiegato di non aver mai «provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi anti democratici, fascismo compreso» e di reputare «le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre», ma per ricordare subito dopo i «ragazzi innocenti» uccisi nel nome «dell’antifascismo militante». È il loro nome che oggi va riscattato dallo stigma di essere «dalla parte sbagliata»

Sventolerà solo il tricolore

Alla cerimonia per i cinquant’anni del tragico rogo di Primavalle, quando un gruppo di giovanissimi militanti di Potere Operaio diede fuoco all’abitazione dell’allora segretario dell’Msi. Nell’incendio morirono i due fratelli Virgilio e Stefano Mattei. Una storia che colpisce anche la coscienza sinistra rivoluzionaria dell’epoca: i vertici di Potere Operaio sanno chi sono i responsabili, ma difendono con una finta contro inchiesta i loro militanti.

Tra gli interventi istituzionali quello del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano: «Stefano Mattei aveva otto anni, io ne avevo dieci, avremmo potuto essere compagni di giochi, io ho avuto una vita, a lui invece è stata strappata in modo così violento, non ha potuto vivere la sua vita per effetto di un atto di violenza comunista, diamo i contenuti e le parole che bisogna dare. Detto questo abbiamo il dovere di chiudere il Novecento con tutte le sue lacerazioni, dobbiamo arrivare ad una pacificazione nazionale ma conservando la memoria».

La destra destra vuole chiudere il Novecento con una nuova sintesi nazionale di cui faccia a pieno parte anche la storia postfascista. Esclusi dalla Costituente, vogliono costruire la loro legittimazione definitiva nell’alveo democratico a partire dal riconoscimento del loro status di vittime e dal ridimensionamento morale della Resistenza. Ammainare le bandiere di parte per innalzare solo il tricolore e l’interesse nazionale. Domani come nemico sarà additato chiunque sia “anti-italiano”, che non difenda il suolo patrio dall’invasione e dalla sostituzione etnica, o che non riconosca come unico interesse quello della “nazione”.

Anche il 25 aprile così sarà meno indigeribile, senza bandiere rosse, senza «antifascismo in assenza di fascismo”» Se il Pci parlava della Resistenza come Secondo Risorgimento, valorizzando la partecipazione comunista a una lotta plurale e nazionale, legittimandosi la sua centrale del nuovo assetto democratico. Oggi i postfascisti usano la stessa retorica Risorgimentale valorizzando del 25 aprile solo l’elemento della “liberazione” dal gioco straniero. Non a caso Giorgia Meloni ricordando i morti delle Fosse Ardeatine ha detto che le vittime erano state uccise solo «perché italiani». E se la rappresaglia nazista ha ucciso non solo antifascisti o prigionieri rastrellati dalle carceri perché “politici”, la scelta delle parole qua sembra assumere il senso di iscrivere le Fosse Ardeatine proprio in una nuova sintesi nazionale: «Una strage che ha segnato una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale: 335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani».

Articolo pubblicato originariamente in S’È DESTRA, la newsletter che ogni venerdì racconta l’Italia al tempo del governo della destra destra. Un progetto sostenuto da Fandango Libri, che ha edito anche il libro Fascismo Mainstream

Immagine di copertina da Wikimedia Commons di GennaroCri