ITALIA

Il signore della monnezza

«Si può dire che in tutta la Provincia comando io». Così parlava a cena con gli imprenditori dei rifiuti l’ex presidente della Provincia di Taranto, Martino Tamburrano, arrestato ieri per una brutta storia di tangenti, monnezza e mazzette. Dalle carte dei magistrati emerge un quadro di scelte politiche perverse in materia ambientale, di cui Tamburrano era il dominus. Uno spaccato allucinante che era stato denunciato già anni fa dai medici dell’Isde e dai comitati territoriali in lotta contro discariche e inceneritori.

«Che volete, signora, che me lo devo bere io il percolato? Se volete la rimozione del percolato e la messa in sicurezza dell’impianto, l’unica soluzione è che la discarica dovrà riaprire». È il 17 dicembre del 2015, così si esprimeva durante un consiglio provinciale l’allora presidente della Provincia di Taranto, Martino Tamburrano. rivolgendosi ad una attivista di Attiva Lizzano, l’associazione che protestava in aula contro la volontà da parte dell’ente di riaprire la discarica Vergine tuttora chiusa dopo il sequestro giudiziario avvenuto il 10 febbraio del 2014, in seguito proprio agli esposti presentati dai cittadini. «Abbiamo allegato alle denunce 1.250 certificati medici di persone che, negli anni, si sono rivolti a noi perché avevano accusato disturbi e malori», ha raccontato il presidente dell’associazione Attiva Lizzano, parte civile nel processo che si sta celebrando per disastro ambientale. Ma torniamo al personaggio principale di questa storia, uno degli uomini politici più potenti della Puglia già dalla metà degli anni’90. Il signore della monnezza, come i comitati territoriali l’avevano definito già diversi anni fa.

Martino Tamburrano, già funzionario della Regione Puglia, fondatore e ras locale di Forza Italia, consigliere comunale, assessore provinciale, poi sindaco del comune di Massafra dal 2006 al 2016, Presidente della Provincia di Taranto dal 2014 fino allo scorso novembre grazie all’intesa tra il Pd e il centrodestra, si trova dalle prime ore della mattinata di ieri in una cella del carcere di Taranto, accusato di corruzione e turbativa d’asta.

L’inchiesta coordinata dai magistrati della Procura di Taranto, Maurizio Carbone ed Enrico Bruschi, ha visto scattare le manette ai polsi anche di un dirigente dello stesso Ente, dei membri della commissione di gara per la raccolta dei rifiuti solidi urbani di un comune della provincia di Taranto e di alcuni imprenditori attivi nel settore dello smaltimento, raccolta e gestione di rifiuti industriali.  Tra gli indagati (a piede libero) c’è anche un maresciallo dei carabinieri, Antonio Bucci, il quale era anche presente a una cena elettorale con gli imprenditori della monnezza durante la quale lo stesso Martino Tamburrano aveva detto ai commensali che «la Provincia praticamente la comando io». Non solo. È uno spaccato politico altamente corruttivo quello che emerge dalle 176 pagine che compongono l’ordinanza di custodia cautelare firmate dal giudice per le indagini preliminari (Gip) Wilma Gilli, e in cui si racconta, attraverso decine di telefonate e conversazioni ambientali intercettate, del «legame affaristico stabilito tra Tamburrano e Pasquale LoNoce». Quest’ultimo è l’uomo chiave dell’inchiesta, oltre che il maggior imprenditore attivo in provincia di Taranto, con un giro di affari milionario, nel settore della raccolta, trasporto di rifiuti speciali, pulizie industriali, e bonifiche, in solido con le più grandi realtà industriali italiane, quali Ilva, Eni, Edison Spa.  Un legame stretto e di vecchia data, invece, quello tra il politico e l’imprenditore che è consistito anche, scrivono gli investigatori: «nell’impegno profuso e totalizzante dell’imprenditore per il buon esito della campagna elettorale in favore di Maria Francavilla, moglie di Tamburrano, candidata al Senato nell’ultima tornata elettorale del 4 marzo del 2018». E c’è una conversazione telefonica intercettata dai finanzieri di Taranto il 15 febbraio dello scorso anno che è particolarmente significativa in questo senso. «Il nostro obiettivo è portare mia moglie a Roma», dice Tamburrano, assecondato dal suo interlocutore «Presidè, la cosa principale è che portiamo subito subito Maria a Roma, così se sta Maria a Roma, stiamo tutti in grazia di Dio. Che cazzo ci frega a noi».

 

La monnezza è affare di famiglia

Già, perché di fronte agli affari di famiglia non c’è disastro ambientale e sanitario che tenga. E così, a dirlo sono ancora le carte dei magistrati: «il politico riceveva soldi ogni mese, una Mercedes e anche i cellulari per i figli». Lo stesso imprenditore Pasquale Lonoce così si lamentava al telefono con un altro indagato, proprio di Tamburrano, e che pure lui aveva famiglia: «Ho speso duecento cinquantamila euro solo per le elezioni». E che pure Pasquale Lonoce anche ci teneva assai alla famiglia, lo scopriamo sempre dall’inchiesta dei magistrati, che hanno indagato i suoi tre figli, considerandole le teste di legno degli “affari maleodoranti” del padre, tanto da risultare a loro intestate le società. Così, la primogenita Rosalba, classe 1984, è finita ai domiciliari, l’appena ventenne Federica Lonoce è solo indagata, così come Matteo, 25 anni e astro nascente della politica locale, tanto da aver collezionato diverse centinaia di preferenze (mancando d’un soffio l’elezione) nelle ultime elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Taranto.

 

Sedici metri di monnezza sopra il cielo, di Grottaglie

Ed è proprio a poca distanza dalle case dei giovani imprenditori che si è svolta la storia “maleodorante” oggetto delle indagini dei finanzieri, che hanno riguardato, in particolare, l’iter amministrativo per la concessione dell’autorizzazione all’ampliamento della discarica di Grottaglie in contrada Torre Caprarica, allargamento più volte richiesto dalla società che la gestisce. Lì nel territorio di Grottaglie, al confine con il comune di San Marzano di San Giuseppe, si trova il terzo lotto della discarica gestita da Linea Ambiente Srl, ora dalla multiservizi lombarda A2A. Per questa discarica di rifiuti speciali era stato chiesto il raddoppio, dunque, in sopraelevazione, fino a 16 metri di altezza, oltre alla richiesta di “ampliamento” per circa 30 ettari di un’altra cava (di circa 5 ettari) adiacente alla discarica. I primi due lotti della discarica, un tempo gestita dalla Ecolevante s.p.a., si trovano in copertura provvisoria, in attesa di bonifica. Anche per questo, nell’agosto del 2017, la Provincia di Taranto, dopo i pareri negativi degli organi preposti, aveva respinto la richiesta di ampliamento. E tuttavia, si legge ancora nell’ordinanza che ha portato in carcere il signore dei rifiuti tarantino «il procuratore legale della società che gestisce la discarica, sfruttando i buoni uffici di un imprenditore, Lonoce, ha iniziato a tessere stretti rapporti illeciti con il Presidente pro tempore della Provincia di Taranto; così, «a fronte di tali accordi, l’ex Presidente della Provincia si è attivamente adoperato per nominare un nuovo comitato tecnico e un compiacente Dirigente del Settore Ambiente». Fino a quando l’autorizzazione è arrivata, firmata il giorno prima delle elezioni politiche, e il “clan” di Tamburrano, in tal modo, aveva solo un altro obiettivo da raggiungere, raccontano ancora le carte: fermare la strenua opposizione all’ampliamento della discarica dell’avvocato Ciro D’Alò, un passato da portavoce dei comitati contro le discariche e un presente da sindaco del comune di Grottaglie, eletto due anni fa con la lista presentata dall’associazione.

 

I comitati, gli attivisti, i medici che lo sapevano da tempo: Tamburrano è il signore dei rifiuti

Che oggi la storia delle scelte politiche prese in materia di rifiuti dall’amministrazione provinciale guidata da Martino Tamburrano, i tentativi di favorire determinate società, penalizzando così la salute dei cittadini e dando così ragione alle comunità locali che in passato avevano giudicato la sua elezione pericolosa per le sue posizioni politiche giudicate fortemente iper-industrialiste, è un fatto. E, al di là delle evidenze giudiziarie, è un altro fatto che avevano ragione due anni fa quando, in una conferenza stampa, i Comitati della provincia di Taranto, tutti insieme, cioè, Beni Comuni Taranto, Vigiliamo per la Discarica-Grottaglie, Comitato No al raddoppio dell’Inceneritore -Massafra, ISDE-Medici per l’Ambiente, Comitato Madre Terra-Massafra, Attiva Lizzano, Comitato Territorio Bene Comune  di San Marzano, lanciavano un allarme oggi profetico perché «consapevoli della bomba ecologica nascosta nei pur suggestivi paesaggi della provincia di Taranto», scrivevano allora i comitati: «Nella città delle industrie che producono “malattie e morte”, a ridosso del suo circondario, a est come ad ovest, gli impianti di smaltimento rifiuti autorizzati, via via ampliati e raddoppiati dagli enti territoriali competenti – da oltre quindici anni a questa parte – non si contano più».