Shock in my town: Quando comprendere non basta

“Dopo gli osservatori servono gli esploratori”

Tratto da UniCommon

Nel provare a riflettere sul quadro politico che queste elezioni ci consegnano, non possiamo che partire da un dato, in sé autoevidente e, nonostante questo, fonte di ragionevole soddisfazione: a uscire sconfitto dalla tornata elettorale è il piano di austerity targato Monti e PD , quello dell’Europa-che-ce-lo-chiede, della normalizzazione tedesca del mediterraneo in crisi, del comando verticale dei grandi centri finanziari, e di questo non possiamo che rallegrarci. Certo, il Cavaliere mantiene una buona percentuale, anche grazie ai continui flop di chi da sinistra ha provato a disarcionarlo, come nella memorabile trasmissione di Santoro. In Italia ancora si afferma la destra di un capitalismo mafioso avverso all’integrità austera di stampo tedesco. Ai padroni e padroncini italiani il senso di responsabilità proprio non va giù: preferiscono ingozzarsi fino all’ultimo dei loro giorni propagandando un edonismo più che mai individuale e nichilista. Da registrare l’atteso down di Vendola che, seppur entrato in parlamento, ha pagato la subalternità “tattica” al PD, e il disastro di Ingroia, che ha sancito l’ennesimo fallimento della dirigenza della sinistra “radicale”, un fallimento annunciato e perseguito con caparbietà da questa vera e propria “kasta”, che disastri ne ha combinati fin troppi negli anni 2000, del tutto estranea a qualsiasi fenomeno di insorgenza sociale che si sia sviluppato negli ultimi anni.

Veniamo adesso agli indiscussi vincitori. La vittoria del movimento 5 stelle ha molte facce, tanto che questo soggetto ambivalente, contraddittorio, soprattutto rispetto alla oltremodo sbandierata democraticità ereditata dalla rete, ha fatto scrivere fiumi di inchiostro a molti compagni, e si è rivelato una fonte tendenzialmente inesauribile di analisi critica, spesso molto puntuale. Eppure questo fenomeno è più di qualunque cosa si sia scritta su di esso: vero e proprio partito-azienda, non si esaurisce certo nella forma aziendale, ma vive anche di vere forme partecipative e comunitarie, di attivismo insomma; interprete di una nuova spettacolarizzazione della politica si, ma anche il primo partito che non si è posto il problema della festa nazional-popolare in piazza all’indomani della vittoria e che si nutre di una partecipazione che rasenta l’anonimato; fa del reddito di cittadinanza il suo cavallo di battaglia (per poi scoprire nel programma che vorrebbe ottenerlo tagliando gli stipendi dei dipendenti pubblici) ma ripropone la tematica del merito e un discorso pericolosamente giustizialista, etc.

Grillo ha saputo posizionarsi al meglio nel mercato dell’offerta politica, facendosi trovare nel posto giusto al momento giusto, riuscendo a canalizzare generiche spinte di rifiuto verso questo presente disastroso e ingiusto, fatto di austerità e di corruzione. C’è però un elemento che più di ogni altro ci preoccupa e che ci dice in che misura questo fenomeno contiene anche vero e proprio populismo. Grillo e Casaleggio, per quanta meritocrazia possano sbandierare, hanno portato il “senso comune” in parlamento, un senso comune ammantato dalla retorica della “competenza”. L’impressione è che su queste tematiche si giochi una partita che vede da una parte una “nuova classe politica” per il momento impreparata e sempliciona, facile bersaglio di ironia (basti pensare ai video e alle interviste che iniziano a girare in rete, che ridicolizzano la scarsa preparazione degli eletti del M5S). Dall’altra parte poi ci sono i tecnici, i sapienti per eccellenza, gli unici a conoscenza della giusta ricetta. Il rischio è che si lasci alla Bce e ai suoi alfieri la detenzione della verità, salvo poi poterla mandare a cagare quando si vuole o quando serve. Noi pensiamo, al contrario, che un vero processo di trasformazione sia impensabile senza la costruzione di un nuovo sapere e il disvelamento del carattere sempre “parziale” della conoscenza : che il sapere non sia fatto per comprendere, ma per prendere posizione, i tecnici e i professori che ci hanno governato nell’ultimo anno lo hanno dimostrato senza lasciare dubbi.

Ad ogni modo la vittoria del movimento 5 stelle si nutre anche del vuoto lasciato dai movimenti, non tanto sul terreno della rappresentanza politica o di piazza, quanto su quello della rappresentanza sociale e senza delega, della capacità di costituire un campo, un fronte largo, eterogeneo, chiariamolo meglio, anche contraddittorio e di vera competizione tra i soggetti che vi prendono parte, ma riconosciuto come campo unitario di opposizione al governo della crisi. Quella connessione che insomma non si è riusciti a costituire fino in fondo negli ultimi 5 anni tra l’Onda, il movimento del 2010, i referendum, la Val Susa, o capace di affiancare la resistenza greca e il movimento degli indignados spagnoli. Si è trattato, per il nostro paese, di focolai di resistenza, di critica e di produzione di discorso di straordinaria e inedita potenza, che non sono però riusciti a farsi nome comune e dunque a strutturare un livello di contestazione permanente e riconosciuto.

Questo movimento esiste nella virtualità dei flussi della composizione precaria, dei molti esclusi da una ristrutturazione di segno recessivo, di coloro che subiscono la crisi, ma ancora non ha trovato quei minimali presupposti unitari per essere contato, enunciato, narrato come una parte irriducibile e maggioritaria nella società . In questo quadro si sono inseriti Grillo e i cinque stelle, attraverso un discorso senz’altro banalizzante, ma che ha saputo fare tesoro anche delle esplosioni che i movimenti hanno prodotto negli ultimi anni, e trainato da una composizione, quella più “attivista” dei 5 stelle, che ha sempre attraversato a suo modo gli spazi dei movimenti

Forse abbiamo anche sottovalutato, lo si prenda come esempio, la capacità di individuazione del nemico espressa dai grillini. Occorre riconoscere che l’attacco alla famigerata kasta, pur nella semplificazione spesso spiazzante, ha saputo andare oltre la semplice evocazione delle manette per i corrotti, e si è fatta critica delle kaste – e il passaggio che stanno compiendo in questa fase, dagli esiti ancora incerti, è quello di una definizione più socio-economica della casta – facendo breccia nella percezione collettiva in una fase dominata da quella che abbiamo altre volte definito come una nuova feudalizzazione dei rapporti socio-economici, l’imposizione di un ordine trascendente che andava a rimodellare i rapporti sociali.

Sarebbe proprio questo, a nostro avviso, il terreno dove esercitare una seria autocritica collettiva , quello della comprensione dei nessi tra composizione di classe e forme di soggettivazione che si sono date in questi anni, e su cui tutti, nessuno escluso, hanno preso spesso delle sonore cantonate, magari perché desiderosi di avere una realtà un po’ diversa da come effettivamente, nella quotidianità dell’intervento militante si presenta. Il teatrino autorefenziale sull’attribuzione di responsabilità il più delle volte ipotetiche, lo lasciamo a chi non ha di meglio da fare . Noi riteniamo di averlo e per questo diciamo che è il momento di rimboccarsi le maniche, spremersi le meningi, e capire come cogliamo collettivamente alcune occasioni importanti che potrebbero presentarsi, attivando modalità differenti e uscendo una volta per tutte da un dibattito sterile che soffoca i movimenti e che si concentra su posizionamenti poco utili, poco interessanti e poco efficaci, attorno a parole magiche che come sempre andrebbero articolate senza superficialità. Una nuova stagione di movimento passa anche per questo, per la bonifica dei protagonismi soggettivi e per una nuova ecologia nelle relazioni , che anche nel momento della critica più serrata renda possibile il mantenimento di uno spazio di dibattito e confronto.

La vittoria del Movimento 5 stelle ha liberato delle energie, oltre ogni nostra aspettativa. Sia chiaro: non è all’intenzionalità politica di Beppe Grillo che dobbiamo guardare interessati, quanto piuttosto alla funzione che potrebbe trovarsi “costretto” a svolgere , dovendo dare risposte al suo elettorato, oltre la tematica istituzionale e anti-corruzione, sul terreno della crisi dell’eurozona. Insomma, potrebbe trattarsi di uno spazio permeabile a spinte dal basso agite dai movimenti, a partire dall’esempio della Val Susa, ma che proprio questi ultimi devono attrezzarsi per imporre questo tipo di passaggi.

Da qui non si torna indietro, il voto del 24 Febbraio è andato a incidere sulla costituzione materiale come un passaggio irreversibile. La seconda repubblica era già morta con il colpo di Stato di Napolitano, e la fase di transizione proseguirà ancora, ma intanto è saltata l’ipotesi di affermazione di un centro “moderato-progressista” legittimato dal voto popolare. Il Partito dell’austerity non vince e l’applicazione del suo programma incontrerà notevoli blocchi davanti a sé.

Dobbiamo dunque pensare a rilanciare il movimento , per esigere fin da subito alcune delle proposte, contenute anche nel programma dei 5 stelle, per noi da sempre irrinunciabili: la rinegoziazione del patto di stabilità, l’abbandono immediato e definitivo del progetto Tav con o senza soldi a disposizione, il reddito di cittadinanza universale. L’ingovernabilità è una situazione eccellente, un primo dato di vittoria, solo ed esclusivamente se si è in grado di agire, difendere e organizzare questo spazio . È un primo passo, che deve però trovare la spinta dei movimenti per portare a casa una vera svolta sul piano della costituzione materiale, una rottura di cui si sente davvero il bisogno.

Il futuro non è scritto, ma la storia va avanti. A noi la scelta se tornare protagonisti a partire dalle lotte, o assistere passivamente, tronfi delle nostre belle analisi, alla ridefinizione peggiorativa degli assetti di potere in Europa e nel mondo.