OPINIONI

Sanremo 2020, Amadeus e il passo indietro degli italiani

Le polemiche che hanno accompagnato la presentazione del festival di Sanremo non sono altro che l’annuncio di un’edizione sotto il segno della continuità. Una sagra dell’italianità, conservatrice e provinciale, che si fa spettacolo

La polemica che ha aperto le danze del festival della canzone italiana ha coinvolto in prima battuta Rula Jebreal, giornalista palestinese naturalizzata italiana. A proposito di passi indietro, è toccato a lei avere lo stomaco di ricevere un invito ufficiale a partecipare, vederselo revocare dai vertici Rai per poi ricontrattare una partecipazione a patto di non parlare di politica. I “malumori sovranisti nel paese” tanto hanno potuto? La giornalista di caratura internazionale potrà essere tra le vallette del festival, benché non rispondente ai criteri “caucasici” invalsi con la gestione Foa. Parlerà di violenza sulle donne, questo l’accordo raggiunto. Forse sarebbe meglio chiamarlo compromesso. Jebreal, che si è spesso scontrata con Meloni e altri esponenti della destra sulle politiche razziste e anti-immigrazione, si vede assegnare un tema evidentemente ritenuto più adatto di altri a una donna di origine mediorientale (per quanto ormai inserita a livelli mediatici Usa che i nostri conduttori manco si sognano), soprattutto se affrontato nella chiave della vittimizzazione delle donne. Ma siamo sicuri che la violenza sia argomento neutro e “non divisivo”? Questi quattro anni di movimento femminista in Italia e nel mondo suggerirebbero il contrario.

(L’annunciata presenza in gara di Rita Pavone, in questo quadro, ha assunto il tono di un atto riparatorio, rassicurante, secondo una sorta di abborracciata par condicio)

Questo l’antefatto alla conferenza stampa di lancio di Sanremo 2020, settantesima edizione affidata, non a caso, a un interno della Rai come Amadeus, in quanto tale sicuramente più controllabile e ricattabile di una figura chiamata ad hoc.

Nella prima parte della conferenza stampa, l’insistenza di Amadeus è sulla novità che questa edizione vuole rappresentare nella storia della vetrina italiana nel mondo per antonomasia. Le novità in realtà sono abbastanza deboli e sembrano piuttosto rafforzare proprio le incrostazioni più dure che le conduzioni più ardite hanno tentato di rompere. Basterebbe accennare alla vittoria di Mahmood lo scorso anno – e la polemica annessa con Ultimo secondo classificato, prontamente cavalcata da Salvini – o alla partecipazione di Achille Lauro e di molti altri giovani e giovanissimi interpreti, per dire quanto sia ormai decisamente tardi per ripresentare impunemente Rita Pavone in concorso…

Ma la presenza della Gian Burrasca dei sovranisti ha un significato politico – per quanto ciò possa far sorridere – e quando Amadeus parla di discontinuità, non allude probabilmente alle edizioni che più hanno sperimentato sulla proposta musicale e sulla formula dello show. Quelle che hanno fatto i conti, bene o male, con un paese che cambia.  Lo sguardo al futuro è in buona sostanza una celebrazione della continuità, quella più retriva e deteriore. Quella della sagra di paese, dell’italianità conservatrice e provinciale che si fa spettacolo per un paese vecchio e abitudinario.

Questa indicazione fasulla di novità diventa tanto più evidente quando Amadeus presenta la conduzione: per celebrare degnamente il 70simo festival di Sanremo si torna alla consolidatissima formula del presentatore (maschio) e della valletta (giovane e carina). «Ma perché solo due donne?» si chiede Amadeus appena incaricato: prendiamone 10, moltiplichiamo per 5 il sessismo all’italiana. Sono tutte belle, diverse per età e per mestiere, alcune fidanzate di… poco altro sa aggiungere il direttore. La quantità rende indistinti i nomi. Poi lo scivolone, il disastro: «di Francesca apprezzo la capacità di stare accanto a un grande uomo, stando un passo indietro…». Del resto non serve saper fare di più, anche il compito della valletta è accompagnare il conduttore, stando un passo indietro, appunto. Eppure il visibile imbarazzo di alcune delle presenti al tavolo della conferenza stampa, nonché la protesta successiva di alcune  star televisive, ci racconta di un’altra concezione di sé che speriamo non venga contenuta.

A proposito di passi indietro, qui è utile un breve excursus: la valletta se la inventò Mike Bongiorno nel 1955 – per dire la novità della formula! – con Edy Campagnoli, la “valletta muta” di Lascia o raddoppia. Nel 1970 i venti di cambiamento imposero di far parlare anche la valletta che addirittura indosserà la minigonna! Fu il turno di Sabina Ciuffini, la “valletta parlante”, allora diciottenne, prima a Rischia tutto e poi nel 1975 a Sanremo.

Si poté più in quei primi 15 anni di Rai, verrebbe da dire, che nei seguenti 45, evidentemente. Ancora ci muoviamo tra la valletta muta di Fabio Fazio e le lolite di Striscia la notizia. La ridicolizzazione ammiccante di Drive In, da un lato, e la satira più esplicita delle ragazze Coccodè di Indietro Tutta, dall’altro, sembrano appartenere a un futuro ormai alle spalle.

Sanremo non è altro che una sorta di scatola nera del paese, registra l’andamento, i cambi di rotta, i vuoti d’aria, i guasti, gli errori umani e le manipolazioni.

Ci restituisce l’immagine di un paese razzista e misogino senza più vergognarsene, un paese di lacchè pronti a tutto, «per servirla». Ma lascia traccia anche di una società che cambia, i cui gusti, desideri, stili di vita, aspettative fuggono inevitabilmente altrove non senza produrre scompensi e conflitti.

Che lo spettacolo abbia inizio, allora, un passo avanti e che nessun* resti a guardare!

 

 

E adesso?

Adesso abbonati, genera indipendenza