ITALIA

Salvini, la curva e le iperboli della rete

La foto del Ministro degli Interni Salvini con un capo della curva milanista ha scatenato una miriade di interpretazioni complottiste. Ma uno sguardo più ampio sul mondo degli ultras italiani suggerisce altre ipotesi.

Che il vertice sulla violenza negli stadi svolto qualche giorno fa al Viminale fosse inutile e si risolvesse con le solite sparate era abbastanza scontato: è evidente che Salvini non ha abbia alcun reale interesse a scatenare un’emergenza ultras, eppure nell’epoca del ministro social i ragionamenti scarseggiano, proprio perché l’attuale ministro degli interni è utile, anche e soprattutto a sinistra, per una lettura comoda delle questioni in cui si può semplificare e indicarlo come causa di tutto e per tutto.

La foto di Salvini con uno dei responsabili della curva sud milanista ha scatenato mille dietrologie.

Fantomatici rapporti tra ultras e ministro degli interni vengono raccontati da chi, probabilmente, dentro una curva non c’è mai stato, ma del resto oggi il “È così” ha rimpiazzato il “se fosse”, senza uno straccio di ragionamento, senza uno straccio di prova.

A dicembre di quest’anno saranno 30 anni dall’introduzione del Daspo e dalla prima vera legge riguardante reati da stadio. In questi 30 anni ci sono stati altri 6 decreti, tutti progressivamente più repressivi e restrittivi, fino all’ultimo del 2014.

In Italia ci sono tra le leggi più repressive d’Europa, mentre di pari passo si invocano certezza della pena, modello Thatcher e altre leggi ancora, come se davvero i reati da stadio non fossero già abbondantemente perseguiti. Ma il punto è che, anche volendo, un Ministro degli interni difficilmente può dare un ulteriore giro di vite. Quel che rimane da “stringere” sono sfumature.

Daspo fino a 8 anni, flagranza differita a 72h, biglietto nominale, video sorveglianza dentro e fuori dagli impianti, divieto di introdurre striscioni senza l’ok della Questura, multe per il cambio di posto oltre al fatto che qualsiasi reato commesso fuori, dentro o andando verso lo stadio viene punito maggiormente rispetto allo stesso commesso in un altro luogo della città.

Quindi Salvini, o chi per lui, cos’altro avrebbe potuto fare?

Oltretutto la Lega è stata (Maroni docet) uno dei partiti che in passato più si era spesa per scrivere decreti repressivi tra il 2001 e il 2007 (il decreto del 2014 Ë del governo Renzi).

 

Messo da parte il piano legale, esiste un piano politico.

Chiaramente a Salvini, come già scritto, non interessa creare un’emergenza che individui come nemico pubblico dei maschi italici. Non vuole certo che si sposti l’attenzione dai migranti o dalle politiche xenofobe che sta portando avanti, ma soprattutto, a differenza di Maroni, di sicuro vuol mantenere buono un bacino elettorale enorme, soprattutto al nord.

Perché, scrivo, soprattutto al nord? Perché, a differenza del ministro che a San Siro siede in tribuna vip, chi ha rapporti o legami con le tifoserie (non necessariamente ultras) sono altri leghisti.

 

Ma facciamo un passo indietro.

Nessuno, credo, in questi giorni ha citato quando a Bergamo nel 2010 la festa della Lega con Maroni ospite fu assaltata dagli ultras bergamaschi. Ben 140 persone andarono a processo, nel registro degli indagati c’era anche Daniele Belotti aka Ol Belòt, quello che lo scorso anno è stato il deputato più votato d’Italia. Belotti, da sempre militante della Lega, ha fatto parte anche della tifoseria ultras soprattutto quando la Lega era ancora confusa tra destra e sinistra. Per le cronache Belotti dopo quella notte del 2010 annunciò di non andare più nella curva nord bergamasca. Questo fa degli ultras atalantini dei leghisti? Assolutamente no. Certo è che tra la tifoseria bergamasca, anche magari tra gli ultras, elettori della Lega ce ne sono.

Il vice sindaco leghista, che tanto ha fatto parlare per il suo post in cui rivendicava di aver gettato le coperte di un clochard, sulla sua pagina FB supporta e ha supportato le iniziative della tifoseria della Triestina, compreso il murale per Stefano Furlan, tifoso morto per mano della polizia nel 1984.

Simile è un altro sindaco di cui si è parlato tanto: Sboarina a Verona. Nella notte in cui vinse le elezioni, si presentò con una maglietta riconducibile a un negozio di quel sottobosco nazi & ultras che in città sono parte fondante dell’identità della curva veronese. Lo stesso sindaco affermò che tutte le domeniche va in curva e a volte anche in trasferta.

Infine uno dei meno chiacchierati ma con i rapporti più stretti con quel sottobosco nazi-ultras a Milano e dintorni è Max Bastoni, eletto al consiglio regionale lombardo lo scorso anno, che proprio in campagna elettorale si fece fotografare nella nord interista insieme ad alcuni di Lealtà e Azione, da cui ricevette sostegno elettorale. Questo fa degli ultras interisti dei leghisti? Onestamente non credo. Sicuro fa comodo avere amicizie nel partito di governo nazionale e della regione, soprattutto per coltivare i propri interessi.

Più che un complotto, o riunioni segrete tra ultras e ministro, abbiamo un partito che non avrebbe vantaggi ad aprire una questione con parte del suo consenso elettorale. Nel racconto degli ultras di questi giorni abbiamo letto teorie più che fantasiose, spesso idiote, che generano confusione ma che sono salvifiche. Non si tiene conto delle radici della Lega Nord, soprattutto nei capoluoghi di provincia dove spesso la squadra di calcio è un collante identitario oltre che un bacino di voti.

Gli ultras vengono raccontati e schiacciati, come se provenissero tutti dalle grandi città come Roma, Milano o Torino. Il fatto che nella curva juventina o in passato in quella milanista, circuiti malavitosi abbiano messo gli occhi sugli affari che possono generare merchandising e organizzazione trasferte, non vuol dire che questo accada dappertutto. Anzi. I gruppi ultras in provincia e nelle serie minori sono tutt’altro che morti e hanno ancora un ruolo aggregativo importante: Salerno non è Torino come Modena non è Milano. Semplice.

Infine rimane un dubbio enorme: se i fatti di Inter Napoli fossero successi invece che a Milano nel capoluogo campano, la reazione del ministro social sarebbe stata la stessa?

Onestamente non credo. E non perché, anche qui, Salvini odia il sud gnè gnè (magari è vero, ma sposta poco) ma perché, se ci fate caso, non commenta mai o quantomeno non esaspera mai ciò che accade a nord, nella Padania leghista. Avete mai sentito Salvini commentare i roghi nelle discariche lombarde anche quando colpiscono l’hinterland milanese? No, però lo avete visto più volte nella Terra dei Fuochi in Campania. O avete visto mai Salvini parlare di mafie al nord? Difficile. E questi sono solo due macro-esempi.

Lo stesso vale per il suo non essere d’accordo con la sospensione delle partite in caso di cori razzisti. Sicuri sia un favore che vuol fare agli ultras di destra e non a sé stesso e alla sua propaganda? Perché dovrebbe avere interesse ad aprire una questione su un tema su cui ha fondato e sta fondando la propria immagine? Oltretutto la sospensione della partita per i disgustosi ululati razzisti e non per i cori contro giocatori dell’est perché zingari o per gli insulti omofobi, risulta una misura piuttosto debole.

Al Nord va tutto bene. Da Roma in giù, no. Questo non intacca il progetto nazionale di Salvini, ma soprattutto al nord, dalla politica all’impresa, la garanzia che nulla venga toccato c’è e resta forte.

Per tutto il resto c’è l’indignazione social.

 

Sullo stesso argomento DINAMOpress ha pubblicato di Emiliano Viccaro e di Stefano M.