ROMA

“Roma non si chiude” scende in piazza per difendere le esperienze dell’autogestione

15 mila in piazza contro la minaccia di sgomberare gli spazi sociali e le occupazioni abitative di Roma. Un lungo corteo che inaugura un percorso di mobilitazione cittadino: «Questo non è un punto di arrivo, ma un punto d’inizio», questa l’idea ripetuta dai molti interventi che si sono alternati al camion

Ve la immaginate una Roma dove ci si incontra solo dentro locali privati dove la cifra della socialità è stabilita dalle ferree leggi del mercato? Ve la immaginate una Roma senza sportelli legali gratuiti, senza scuole d’italiano per stranieri, senza posti dove rivolgersi per far fare una festa ai bambini? Una Roma senza Case delle Donne, senza consultori, senza centri antiviolenza, senza uno spazio dove le donne possano andare in tutta sicurezza e sentirsi accolte e protette da una sorellanza senza confini? Una Roma dove le persone stanno per strada e non hanno un tetto sopra la testa solo perché povere, dove i palazzi vuoti da anni vengono sgomberati in nome della legalità e del decoro quando sono abitati da centinaia di famiglie. Roma, fino a oggi, grazie agli spazi sociali e alle occupazioni abitative, è stata questa. Roma, con la lista degli sgomberi stilata dal Viminale, rischia di perdere la sua ricchezza.

Oggi 15 mila di persone sono scese in piazza per il corteo chiamato da centri sociali, movimenti per il diritto all’abitare, associazioni, Case delle Donne, Mediterranea, Rete Kurdistan e tante altre realtà che ogni giorno s’impegnano e si battono per rendere Roma un luogo accogliente e solidale. “Roma non si chiude” ha visto scendere in piazza tutti coloro che non hanno intenzione di accettare passivamente il deserto che il governo gialloverde vuole fare. E che si sono messi in rete per impedire che ciò accada. La manifestazione è partita alle 16 da piazza Vittorio ed è arrivata poi a piazza Madonna di Loreto.

Nel corso della manifestazione, le molte voci provenienti dalle diverse esperienze di lotta hanno tenuto a sottolineare che i molteplici fronti aperti, dalla prossima approvazione del Decreto Sicurezza Bis, al regolamento comunale che limita le forme della socialità urbane, fino alla stretta contro le occupazioni abitative e agli spazi sociali e femministi, c’è un filo comune che parla della normalizzazione delle città come luoghi di un possibile conflitto a venire. E che le politiche securitarie contro le libertà altro non sono che l’altra faccia della riduzione generalizzata dei servizi e delle forme di accesso a una vera cittadinanza sociale.

I movimenti per il diritto all’abitare hanno infatti ricordato che l’attacco in corso contro le occupazioni abitative fa parte di un progetto più complessivo di impoverimento sociale: «Noi sappiamo che Salvini, senza il disagio, senza la povertà, non vale nulla e che l’unica sicurezza è “casa, reddito e dignità”. Per questo abbiamo occupato e per questo resisteremo con ogni mezzo necessario agli sgomberi».

Presente alla manifestazione anche Mediterranea e la Rete Restiamo Umani: «dobbiamo mobilitarci contro il Decreto Sicurezza Bis. È impossibile pensare che torturare le persone e non consentire gli sbarchi possa creare maggiore sicurezza. Il vero tentativo è quello di creare una società dove non ci sia più solidarietà».

Se protagonisti degli interventi e degli striscioni sono state le politiche liberticide del governo gialloverde, non sono però mancati i riferimenti alla Giunta Capitolina, incapace di affrontare le questioni della città quando non responsabile essa stessa di un attacco contro le realtà dell’autogestione: «A Roma stiamo assistendo a un attacco ferocissimo: la prima amministrazione guidata da una sindaca donna sta chiudendo gli spazi di autogestione che i movimenti femministi hanno conquistato con la lotta nel corso degli anni. Se le scorse amministrazioni non hanno mai fatto nulla, questa è ancora peggio: e rischiano di chiudere luoghi fondamentali come la Casa Internazionale delle Donne, i consultori, Lucha y Siesta. Li vogliono spazzare via, ma non glielo permetteremo». In nome della legalità, infatti, la sindaca vuole chiudere questi posti fondamentali per la città, così come rimane immobile nei confronti del processo di riconoscimento degli spazi sociali.

Dal camion, poi, si sono alternati numerosi artisti che hanno accolto la chiamata di ‘Roma non si chiude’ e hanno cantato improvvisando un concerto proprio accanto a piazza Venezia. Un concerto che, secondo le nuove normative del Campidoglio, nemmeno si sarebbe potuto svolgere.

«Questo non è un punto di arrivo, ma un punto d’inizio». Questa l’idea ripetuta dai molti interventi che si sono alternati al camion. Perché la manifestazione di oggi, convocata per reagire nell’immediato alla minaccia di un attacco generalizzato alle esperienze di autogestione e solidarietà nella città di Roma, apre un percorso di mobilitazione che dovrà coniugare la difesa collettiva degli spazi a rischio di sgombero con la costruzione di un discorso e di un’azione politica più ampia, capace di moltiplicare i momenti di resistenza e critica alla svolta autoritaria in corso. Dagli interventi finali, l’appello ad un’assemblea pubblica da fare nelle prossime settimane. Il percorso sarà lungo, ma con la manifestazione di oggi è possibile dire che qualcosa è iniziato.