ROMA

A Roma nessuno pensa ai Rom. Neanche durante l’epidemia

Nessuna tra le istituzioni competenti si vuole occupare della difficile situazione dei rom che vivono nei campi della capitale. Tra rischi di contagio e avvicinarsi del collasso economico per queste persone ci sono solo porte in faccia

Lo scorso 16 marzo, nel più fragoroso silenzio, Marco Brazzoduro, presidente dell’associazione Cittadinanza e Minoranze che lavora da anni fianco a fianco con i rom, ha inviato una lettera a Prefettura, Sindaca, Regione Lazio, Protezione civile Lazio, Ufficio rom del comune, Caritas Lazio, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar).

«Mi preme richiamare la loro attenzione sull’altissimo rischio cui sono sottoposte le famiglie Rom e Sinti che risiedono nella Città di Roma di fronte all’incalzare della pandemia – recita il testo – A causa delle condizioni in cui sono costrette a vivere nei campi, autorizzati, tollerati e spontanei, sono nell’assoluta impossibilità di tentare qualsiasi forma di prevenzione dal contagio. Se, come purtroppo è più che possibile, il Covid 19 entrasse malauguratamente in un campo, il contagio risparmierebbe pressoché nessuno degli abitanti con conseguenze imprevedibili date le loro precarie condizioni di salute».

Brazzoduro mette in guardia anche da una seconda, drammatica, “emergenza”: «Coloro che abitano nei campi vivono alla giornata – scrive nella lettera – ovvero quello che guadagnano con i mercatini etnici, con il commercio dei rottami metallici, con lo svuotamento delle cantine, con lavoretti saltuari di manovalanza ecc. serve a malapena a procurare il cibo. Perfino l’elemosina non è più possibile… e le provvidenze che il Governo sta attivando non prendono in considerazione questa fascia della nostra società».

A quasi una settimana dall’invio della lettera sono arrivate le prime risposte:

  • L’Unar, che in un primo momento ha affermato di poter provvedere solo per casi singoli più gravi, non appena gli sono stati segnalati sei “casi” (due romene in occupazione abusive, una famiglia di giovanissimi a Candoni, 2 famiglie a Salviati, una a Monachina), ha risposto che non gli competono interventi individuali e che farà una segnalazione scritta alla sindaca Raggi.
  • All’ufficio Protocollo del Comune fanno sapere che c’è una sola persona al lavoro per cui è difficile che la lettera sia stata protocollata e decretata e di richiamare nel pomeriggio. Nel pomeriggio, nessuno ha mai risposto al telefono. Due giorni dopo si viene a sapere che la lettera è stata protocollata e che verrà recapitata al vice capo di Gabinetto Cardilli. Non si sa se Cardilli fosse al lavoro e se l’abbia letta. Di certo non ha risposto.
  • Per quanto riguarda la Regione, la segreteria del Capo di Gabinetto, appreso il contenuto della lettera, ha chiesto, per abbreviare i tempi, di rimandarla direttamente al loro indirizzo, cosa che è stata immediatamente fatta. Da loro è poi finita sulle scrivanie dell’assessorato alla sanità, di quello alle politiche sociali e della protezione civile.
  • La Segreteria del Prefetto ha rimandato alla segreteria del Capo di Gabinetto che ha detto che la lettera seguirà il suo corso abituale, e alla richiesta di parlare con chi l’avesse in carico ha passato la comunicazione all’Ufficio Rapporti con il Pubblico. Ma nessuno ha risposto al telefono.
  • La Protezione civile Lazio dice di non essere competente, loro si occupano solo di logistica (!).

Così passano altri giorni, fino al 20 marzo scorso. Viene richiamata la segretaria del vice capo di gabinetto del Comune, da cui dipende l’ufficio rom. La risposta è che quell’ufficio non è autorizzato ad avere rapporti con il pubblico. Anche l’ufficio rom gentilmente risponde che non hanno idea di cosa si possa fare. In Regione gli assessorati non rispondono. La protezione civile dice che si informerà e richiamerà. Non lo hanno fatto. Idem all’Unar.

Al IV Municipio, da cui dipende per competenza territoriale l’associazione Cittadinanza e Minoranze, afferma che stanno studiando come intervenire. Anche rispetto alle richieste di sanificare i campi c’è solo un rimbalzo di competenze oppure il silenzio.

Intanto tra i rom cresce l’inquietudine: le loro risorse si assottigliano e c’è sempre più bisogno di pacchi alimentari o contributi in denaro. Di giorno in giorno aumentano le telefonate con richieste d’aiuto.

Foto via cittadinanzaeminoranze