ITALIA

Rigettata la sorveglianza speciale per gli attivisti Simone e Jessica

Il tribunale di Catanzaro ha respinto la richiesta della questura cosentina dello scorso dicembre, smontando quello che è stato definito fin da subito da parte degli accusati un “teorema di natura politica”. Si chiedono le dimissioni di capo Digos e questora

Una vittoria giudiziaria, ma soprattutto politica: il tribunale di Catanzaro ha rigettato le proposte di sorveglianza speciale per i due attivisti cosentini Simone Guglielmelli e Jessica Cosenza, “colpevoli” – secondo la questura che lo scorso dicembre aveva avanzato la richiesta del provvedimento – semplicemente di aver preso parte e animato le intense mobilitazioni sul diritto alla salute e sul diritto alla casa che si sono svolte nella città bruzia durante il periodo del lockdown. Ma, a quanto pare, in pochi hanno voluto dare adito a questo “teorema”, visto che anche lo stesso pubblico ministero in sede di udienza si è espresso per il rigetto.

«Speravamo in un esito di questo tipo», ci racconta Simone, soddisfatto di come sono andate a finire le cose in sede giudiziaria ma ancora comunque pervaso da tanta “rabbia” per il gesto della questura. «È preoccupante che un pezzo di Stato, che dovrebbe agire nell’interesse pubblico, abbia invece perso tempo e soldi per accusare di “eversione”, perché così è stato scritto nero su bianco nelle carte, attività politiche a favore dell’estensione dei diritti di base come quelle che portiamo avanti io e Jessica assieme agli altri compagni e alle altre compagne».

D’altronde, è la stessa sentenza emessa dal tribunale di Catanzaro a smontare i presupposti della richiesta di sorveglianza speciale.

Si dice infatti che, nel caso di Simone e Jessica, «il giudizio di pericolosità sociale che sorregge l’applicazione della misura di prevenzione non risulta fondato su elementi concreti e attuali». Non ci sono infatti episodi specifici o reati che avrebbero commesso i due attivisti (peraltro incensurati) a giustificare la sollecitazione della questura, bensì il generico appello a una loro presunta “pericolosità sociale”. Incalza ancora Simone: «Il rigetto dimostra che l’intenzione della questura fosse quella di sferrare un attacco di natura esclusivamente politica».

Fin da quando si è avuto notizia della richiesta di sorveglianza speciale, in tante e tanti si sono mobilitati a sostegno di Simone e Jessica così come parte delle istituzioni locali (in alcuni casi le stesse istituzioni che i due attivisti si trovano spesso a contestare) ha condannato la decisione della questura. Risultava infatti chiara la sproporzione della misura rispetto ai fatti: la sorveglianza speciale è un provvedimento che trova le proprie radici nell’Ottocento ma che ha trovato in Italia un grosso rafforzamento in età fascista con il codice Rocco ed è stato utilizzato principalmente per punire il dissenso contro il regime.

Il fatto che possa essere evocato nel contesto odierno e a proposito di mobilitazioni per diritti di base e costituzionali come quello alla salute e alla casa getta dunque una luce sinistra sul contesto calabrese.

«Esiste indubbiamente un apparato affaristico-criminale che coinvolge parte delle istituzioni e che non esita a mettere in campo ritorsioni verso chi prova a opporsi», spiega Simone. «La richiesta di sorveglianza speciale è solo l’ultimo di una serie di attacchi alle realtà di attivismo locale: quattro anni fa, per esempio, il nostro comitato di lotta per la casa ha ricevuto un’accusa per associazione a delinquere mentre altre persone hanno subito denunce o sono state incarcerate. Per questo siamo contenti del rigetto, ma vogliamo qualcosa di più: non è possibile che nessuno paghi mai per queste intimidazioni».

La rete di sostegno per Simone e Jessica ha infatti rilasciato un comunicato dai toni molto decisi in cui si chiedono le dimissioni del capo della Digos De Marco e della questora Petrocca che hanno imbastito la richiesta della sorveglianza speciale.

«Possiamo sopportare che questi pseudo funzionari rimangano indisturbati a capo di una questura della Repubblica?», ci si domanda.

Il punto infatti è che, se l’iter giudiziario ha dato ragione ai due attivisti, il problema di una lesione del diritto all’agibilità politica e alla manifestazione del proprio dissenso rimane. «È evidente che sapere che in caso di partecipazione a un corteo o a delle lotte sociali si può essere raggiunti da una richiesta di sorveglianza speciale rappresenti una sorta di deterrente», afferma Simone.

Per ora, l’opinione pubblica e parte delle istituzioni hanno reagito compatte (si è svolta anche un’interrogazione parlamentare sul caso dei due attivisti). Ma la sfida rimane aperta e occorre guardare al futuro, come conclude Simone: «Dobbiamo fare in modo che non accada mai più».

Immagine per gentile concessione di Simone Guglielmelli