ITALIA

Ricercatori al fianco del Rojava: sospendere collaborazioni tra università e mercanti d’armi

«In queste ore drammatiche per il popolo Curdo e per la rivoluzione femminista e ecologista del Rojava, ottenere la cancellazione di ogni rapporto con l’industria bellica che foraggia Erdogan è quanto mai urgente»

Come Coordinamento Ricercatrici e Ricercatori Non Strutturate/i Universitari/e accogliamo e rilanciamo l’appello che ci giunge dall’Università del Rojava e di Kobane in questi giorni in cui la Turchia sta bombardando intensamente il Nord-Est della Siria. Condanniamo senza se e senza ma un attacco unilaterale da parte di un paese membro della NATO che di fatto gode del sostegno e dell’appoggio di tutti i paesi europei in chiave anti-migranti. Nonostante infatti le recenti prese di parola contrarie all’intervento militare turco, Erdogan avrà il via libera sostanziale a qualunque operazione bellica purché continui a privare della libertà di movimento i milioni di profughi di guerra siriani che rinchiude all’interno delle proprie frontiere. Probabilmente in lager non molto diversi da quelli libici, seguendo uno schema cinico e disumano ben noto nel nostro paese, da Minniti in poi.

Non è da escludere, anzi, che all’Unione Europea, che da anni ha individuato i migranti come «una minaccia allo stile di vita europeo» (tanto che la nuova presidente Von der Leyen ha proposto un Commissario «per la protezione dello stile di vita europeo»…), la soluzione finale di pulizia e sostituzione etnica prevista nel Rojava dai piani di Erdogan non dispiaccia, in fondo, più di tanto. Più lontani i profughi dalla Fortezza Europa, più tranquilli i suoi Governanti. Tanto da accettare un vergognoso tradimento del popolo Curdo, che ha sconfitto lo Stato Islamico sul campo con il sacrificio di oltre 11.000 combattenti, e mettere in conto la distruzione dell’esperienza del confederalismo democratico che aveva portato pace, uguaglianza e libertà in una regione martoriata dalle guerre. Stendendo un tappeto rosso al ritorno del Califfato.

Data l’ipocrisia delle parole dei capi di Stato dell’Unione Europea, la presa di parola, le condanne pubbliche e la scrittura di testi come questo sono necessari, ma assolutamente insufficienti per modificare il corso degli eventi. Per adempiere fino in fondo al ruolo sociale delle Università, ovvero la produzione e la trasmissione di sapere alle nuove generazioni ma anche, e non secondariamente, l’attivazione per la costruzione di mondo meno diseguale, libero da guerre e sopraffazioni, chiediamo ai Senati Accademici dei nostri atenei di agire concretamente.

Chiediamo in primo luogo l’immediata sottoscrizione dell’appello dell’Università del Rojava e di Kobane e la condanna pubblica dell’intervento dell’esercito turco. In secondo luogo, pretendiamo che i Senati Accademici rendano pubblici i finanziamenti, gli stages, i progetti di ricerca e le partnership strette con (o, meglio, al servizio di) aziende che riforniscono di equipaggiamenti bellici l’esercito turco, e sospendano contestualmente ogni collaborazione con questi mercanti di armi. Ci riferiamo principalmente a Leonardo (vera e propria azienda bellica di Stato, ex Finmeccanica, proprietaria di AgustaWestland e Alenia Aermacchi che forniscono direttamente armi alla Turchia) e a Beretta. Svolgendo attività di ricerca per queste aziende e fornendo loro manodopera gratuita mediante gli stage, le Università si rendono direttamente complici del massacro compiuto dall’esercito di Erdogan. Mantenere tali rapporti indica una chiara e diretta co-responsabilità nella guerra in corso alla popolazione del Rojava.

In queste ore drammatiche per il popolo Curdo e per la rivoluzione femminista e ecologista del Rojava, ottenere la cancellazione di ogni rapporto con l’industria bellica che foraggia Erdogan è quanto mai urgente.

Ognuno/a deve fare la propria parte. A noi il compito, per dirlo con le parole delle nostre sorelle e dei nostri fratelli curde/i, di far sì che «si possa ancora dire che la scienza, la conoscenza e la cultura sono le basi della dignità umana».