editoriale

I ribelli del Mediterraneo

Continua la «scalcagnata» operazione Mediterranea, che va a «pescare tre merluzzetti», secondo le parole di Salvini. Ci sembra invece una scelta di civiltà e una sfida adeguata alle logiche mortuarie del nostro governo e dell’Europa. Alla faccia di #porti chiusi#cuori aperti.

No, non è Antigone. Non è soltanto la nobile protesta di una figura ctonia che sfida la legge di Creonte seppellendo nella terra il fratello ucciso e nella stessa terra viene sepolta, di chi in nome di un principio più antico rigetta un decreto ingiusto. Un gesto altamente simbolico di disobbedienza civile individuale che può essere “superato” dalla logica dello Stato come in Hegel o mantenuto come rivolta contro la tirannia nella versione che Hölderlin e Brecht diedero del testo sofocleo.

No, Mare Jonio non è soltanto Antigone, ma un’Antigone collettiva, che lascia la terra e prende il mare per far valere la legge solidale del mare contro le misure inique e illegali di questi Creonte da operetta: Toninelli, il guardiano dei porti e dei ponti, e Salvini, il ministro della paura.

Non è più solo civile disobbedienza, ma lo scontro fra due ordini consolidati in una lunga e complessa storia: la legge del mare e dell’ospitalità, oggi garantita anche internazionalmente, e la legge terragna dei confini, delle identità sovrane, del sangue e del suolo, di cui il DL Sicurezza e immigrazione è l’ultima e più gretta ricaduta – oltre tutto in palese violazione delle garanzie sancite dalla nostra Costituzione per gli stranieri.

Il nomos del mare contro il nomos della terra spostò ambiguamente i termini della sovranità senza sopprimerla ma svuotandone radicalmente le forme più arcaiche e aprendo al futuro. Dalla crisi del potere imperiale, che con il neoliberalismo aveva raggiunto il livello estremo, qualcuno vorrebbe uscire riterritorializzandolo, cioè conciliando globalizzazione e sciovinismo, logistica spinta e servitù della gleba. Noi non vogliamo discutere se sia meglio la peste o il colera, ma puntare a espandere la resistenza allo sfruttamento locale e mondiale.

In questo caso specifico ci opponiamo a ogni forma di criminalizzazione dell’intervento umanitario e vogliamo strappare alla morte chi esercita il diritto di fuga e prende sul serio la dimensione mondiale assunta dalla vita. Il minimo è che i corpi possano spostarsi quanto i capitali, mentre oggi solo i primi vengono taglieggiati a casa loro, durante il trasferimento e nei luoghi di arrivo. I capitali non annegano, i migranti sì. La lotta comune contro lo sfruttamento degli operai locali e dei migranti presuppone la libertà di migrazione, di attraversamento e di insediamento, la parità dei diritti, la fine del concetto stesso letale di “clandestinità” che oggi in Italia ammorba l’opinione pubblica ed è perfino ratificato da leggi infami statuite da governi di diverso orientamento.

Se i ribelli dell’Atlantico produssero sviluppo e libertà nel cuore di un nascente impero schiavistico e coloniale, i ribelli del Mediterraneo – dalle primavere arabe alle ondate migratorie e ai gesti solidali – marcano la crisi della globalizzazione capitalistica e il rifiuto di un suo ripiegamento suprematista.

Come ha scritto Sandro Mezzadra, l’operazione Mediterranea segna «l’affermazione pratica del diritto di un insieme di soggetti non statali a intervenire politicamente in un’area in cui le “autorità competenti” violano in modo plateale l’obbligo di tutelare la vita delle genti in transito». Fa intravedere la forza istituzionale che, fuori dei meccanismi perversi dello Stato nazionale etnicizzato e di un’Europa attenta solo alla libertà della finanza e dei commerci, può prendere un’iniziativa dal basso che apra ai fuggiaschi e ai naufraghi i porti – e non il cuore di papà Salvini, di cui non ce ne può fregare di meno.

Che lo spirito dei pirati, degli esploratori e dei pescatori, accompagni l’impresa del Mare Ionio, che contribuisce a fare del Mediterraneo una risorsa vitale e non un luogo di morte fra due sponde di incarceramento e sfruttamento.