editoriale

Il regime della bianchezza

Per sparare da un’automobile in corsa a dei bersagli umani ci vuole una grande abilità. Il braccio si flette e la mano preme il grilletto, ma è l’occhio che prende la mira, che coordina l’azione di tutto il corpo per far partire il colpo. L’azione terroristica e fascista di Macerata ci spinge a concentrarci su quello sguardo omicida, sul regime di visibilità che inquadra alcuni corpi come soggetti da uccidere, corpi di migranti, corpi neri.

Se la Lega di Salvini ha armato la mano di Luca Traini, è un complesso sistema di linguaggi complici ad avergli permesso di “prendere la mira”.

 

Chiamiamo “regime della bianchezza” la compresenza di due fenomeni paralleli: da una parte la completa visibilità data ai corpi neri privati del diritto di parola, dall’altra l’invisibilizzazione della bianchezza dei corpi che incarnano la legge e la legittimità politica. Questo regime del colore è fondamentale per comprendere non solo l’attuale avanzata delle destre xenofobe, ma anche la riproduzione dello sfruttamento capitalista e della povertà: le modalità con cui oggi si estrae valore dalla società, i sistemi normativi che permettono lo sfruttamento, si appoggiano in maniera sostanziale sull’esistenza di pezzi di società la cui condizione di debolezza è naturalizzata.

 

Quello a cui abbiamo assistito a Macerata non è un episodio di una presunta “guerra tra poveri”, ma piuttosto un evento dentro la guerra che il regime della bianchezza ha scatenato contro i corpi neri, la cui posta in gioco è la moltiplicazione della paura e quindi il silenziamento ulteriore di chi sta dalla parte sbagliata della linea del colore.

 

Non c’è razzismo senza razza

La categoria di razza struttura e compone l’intreccio di tutte le varie forme di razzismo. Allo stesso tempo la norma e la legge vengono sottratte allo sguardo, la loro bianchezza diviene trasparente e si maschera da universalismo, a volte autoritario a volte caritatevole.

 

È fondata sulla razza ogni retorica che accusa i migranti di rubare il lavoro. È fondata sulla razza la presunta incompatibilità culturale così come lo sono le campagne islamofobe. È fondata sulla razza e sulla sua intersezione col genere la difesa delle “nostre donne” che gli uomini mettono in atto solo quando uno stupratore non è bianco.

 

È razzista l’integrazione, sono razzisti i centri d’accoglienza, sono razziste le politiche di protezione, anche quelle che non lo sembrano. È razzista ogni politica che che riduce i migranti a “vittime” passive incapaci di articolare una propria voce. È razzista, molto razzista, Minniti e la sua legge. È razzista il mercato del lavoro che sfrutta i migranti come manodopera a basso costo.

 

I corpi neri sono razzializzati ai confini, nei centri d’accoglienza, nei magazzini di Amazon.

I corpi bianchi, sono corpi il cui colore viene svuotato di significato.

 

 

 

Si chiama colonialismo
La subordinazione secondo la razza nel sistema capitalista si chiama colonialismo.

 

L’Occidente rigurgita nuovi fascismi, dall’Europa agli Stati Uniti, implode tra i suoi confini e frontiere, tra politiche di criminalizzazione e sfruttamento. Ma nessuno scontro di civiltà è in atto, non si tratta della reazione al terrorismo dell’ISIS, non si tratta nemmeno della crisi economica. Certo, si tratta dell’ennesima forma di ristrutturazione del neoliberalismo, ma in questo senso, ed è importante riconoscerlo, si tratta semplicemente della storia mai finita del colonialismo.

 

I fatti di Macerata ci ricordano, con tutta la violenza del caso, che il suprematismo bianco esiste anche in Italia, e che spara, semina terrore, uccide.

 

 

Dove sono le rivolte?

Le rivolte ci sono anche se non le vedi.

 

Ieri notte una manifestazione spontanea a Macerata ha immediatamente risposto a quanto accaduto, occupando lo spazio pubblico della città, come sempre i corpi vulnerabili fanno per mostrare la forza che viene dalle loro alleanze. A Macerata come in tutta Europa, all’invisibilizzazione e al silenziamento delle voci, donne e uomini migranti rispondono irrompendo sulla scena, conquistando il centro. L’imprevisto proprio nel cuore delle nostre città neoliberali. Succede in Europa, succede negli Stati Uniti dove Black Lives Matter ha saputo riportare nel cuore del dibattito la questione della razza, dei corpi neri le cui vite “contano”, e rispondono alla violenza che subiscono.

 

Cosa fare, quindi? Siamo bianchi e quindi parte del problema? Forse sì. Certo, riconoscere i propri privilegi è un primo passo. A chi parla di guerra tra poveri dovremmo imparare a rispondere che non siamo tutti poveri allo stesso modo, e che difficilmente, da bianchi, sentiremo il peso della nostra pelle mentre camminiamo per strada, difficilmente questo ci renderà più vulnerabili, ci esporrà a un maggiore rischio. Ma nemmeno questo basta. Denunciare, nominare, e combattere quello che chiamiamo il regime della bianchezza, metterlo sotto i riflettori, questo è un altro passo fondamentale. Riconoscere, inoltre, che le rivolte sono già sempre in corso, anche quando il nostro occhio occidentale non le vede.

Con questi strumenti a portata di mano, risulterà piuttosto chiaro che se una guerra in atto esiste, è quella che dobbiamo decidere finalmente di combattere contro il razzismo che intossica l’aria e le strade delle nostre città, certe volte anche delle nostre case, e contro il fascismo suprematista che odia, spara e uccide. Solidarietà significa lottare insieme.

 

Lottare con Jennifer, Mahamadou, Wilson, Festus, Gideon, Omar e tutt* coloro che potrebbero finire nel mirino di un Luca Traini.

 

È troppo tardi per stare calmi.

 

L’immagine è stata tratta dalla pagina Facebook di Prenzy