EUROPA

Referendum, non guerra

Il referendum in Catalogna si deve tenere. L’appello di intellettuali e accademici da tutto il mondo a sostegno del diritto a decidere.
La Barcellona pre-referendum: tra repressione, conflitti istituzionali e risposte di piazza

La rappresentazione dominante internazionale del conflitto catalano è stata, fino a pochi giorni fa, quella di un conflitto nazionalista legato al passato più disastroso della storia dell’Europa del XX secolo. I fantasmi del passato ci hanno impedito di vedere ciò che stava veramente succedendo. Gli eventi di questi ultimi giorni hanno cominciato a smantellare questa visione e ci chiedono di mettere in questione la superficiale interpretazione dominante che potrebbe aver causato la preoccupante reticenza di gran parte del pubblico internazionale a considerare questo caso nient’altro che un una questione territoriale e locale.

Quello che è diventato chiaro negli ultimi giorni, al di là delle posizioni pro o contro l’indipendenza della Catologna, è la tensione tra l’inerzia autoritaria di una certa comprensione del potere statale da un lato e, dall’altro, l’esistenza di tentativi precari ma determinati di costruire strategie politiche orientate verso l’orizzonte normativo delle nostre democrazie.

Negli ultimi anni, la maggior parte della società catalana (il 60% secondo le ultime elezioni del 2015, circa l’80% secondo i sondaggi ufficiali) ha ripetutamente espresso la volontà di decidere democraticamente sul proprio status politico. Di fronte a questa richiesta, lo Stato spagnolo, che in nessun caso possiamo considerare come rappresentate delle diverse sensibilità e aspirazioni politiche dell’intera società spagnola, ha sistematicamente ignorato i suoi obblighi politici.

In primo luogo, lo Stato spagnolo non ha accettato alcuna trattativa per l’organizzazione di un referendum legale e reciprocamente concordato sull’autodeterminazione, negando così l’esistenza del conflitto in Catalogna. In secondo luogo, nonostante l’impossibilità per il Parlamento spagnolo di dichiarare lo stato di emergenza ai sensi della Costituzione spagnola del 1978, il governo centrale ha sovvertito lo stato di diritto applicando misure coerenti con uno stato di eccezione de facto, per evitare il referendum del 1º ottobre, che il Parlamento catalano aveva convocato. Ciò ha effettivamente trasformato lo Stato spagnolo in quello che alcuni pensatori contemporanei definiscono “uno Stato canaglia o autoritario”:

– Il diritto di assemblea e di manifestazione è stato limitato sia in Catologna che in tutta la Spagna, mentre alcune organizzazioni politiche sono accusate di sedizione;

– funzionari pubblici e rappresentanti eletti sono stati arrestati per aver coordinato la logistica del referendum;

– più di 700 sindaci su un totale di 948 sono stati convocati di fronte al giudice, pena la sospensione dai pubblici uffici e sanzioni;

– i mezzi di informazione pubblica sono stati ispezionati dalla polizia, mentre giornalisti e intellettuali sono minacciati dallo stato spagnolo per aver informato sul referendum;

– partiti politici come la CUP (Candidatura di Unità Popolare) sono sotto il controllo della polizia;

– il materiale per il voto (le schede elettorali, i volantini informativi, etc.) è stato confiscato e sedi di imprese private sono state perquisite senza mandato;

– siti web correlati al referendum sono stati censurati.

– le libertà di espressione, di opinione e di informazione sono state violate sistematicamente e gravemente.

Questa sopraffazione dello stato di diritto da parte del potere statale contraddice i principi fondamentali delle democrazie europee e dello stato di diritto, che sono il risultato di due processi: in primo luogo, il soddisfacimento delle aspirazioni democratiche delle moderne società europee e, in secondo luogo, un limite costituzionale al potere arbitrario dello Stato.

Per tutte queste ragioni consideriamo il referendum un mezzo concreto per superare la logica autoritaria che ha così spesso distrutto la vita delle società politiche moderne e per avanzare verso una cultura politica post-nazionale europea in cui questi conflitti possano essere decisi mediante procedure non violente.

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