ROMA

«Queste famiglie non se ne devono andare». Presidio di solidarietà in via Latino Silvio

Attivisti dei Movimenti dell’abitare, insieme a solidali e rappresentanti delle occupazioni abitative romane, si sono incontrati questa mattina nel quartiere Prenestino, dove cinque famiglie vivono sotto la costante minaccia di essere sgomberate dalle case in cui vivono da oltre vent’anni e che hanno contribuito a recuperare dallo stato di abbandono in cui versavano

Sin dalle prime luci dell’alba, attivist* dei Movimenti per il diritto all’abitare, rappresentanti dei sindacati di base e membri di altre occupazioni cittadine (da Villa RiFiorita a Metropoliz) sono confluiti in numero sempre maggiore al numero 37 di via Latino Silvio dove, in alcuni, bassi stabili di proprietà di Ferrovie dello Stato (Ffss), abitano le cinque famiglie che ormai da mesi, da febbraio 2021, vivono con la costante minaccia di sgombero. Infatti, anche questa mattina era prevista una visita dell’ufficiale giudiziario incaricato della pratica: la seconda in neanche quaranta giorni e, per questo, si temeva anche un possibile intervento della Forza Pubblica.

Mentre le donne di casa offrono caffè, succhi di frutta, acqua e dolcetti per la colazione, Munir Drifi spiega di essere entrato in una delle casette poste a fianco della ferrovia ventisette anni fa. «Siamo entrati io e mio cognato nel 1994. All’epoca lavoravo in pasticceria, mi alzavo la mattina alle due per andare a lavorare».

Negli anni successivi lo ha raggiunto la moglie e sono nati i loro due figli, che oggi hanno venticinque e ventidue anni. «La prima volta la polizia è venuta intorno alle sette di mattina, nel 1996: ha preso solo mio cognato. Ho ancora il verbale che gli avevano fatto». All’inizio con il gruppo Ffss non ci sono attriti. Racconta addirittura Munir Drifi che, dopo una prima visita, «ci hanno chiesto di dare un’occhiata qua intorno, perché c’erano dei furti, ci hanno chiesto di chiamare la polizia in caso, insomma di monitorare un po’». Non solo, ricorda il sessantenne tunisino, che nel frattempo ha preso la cittadinanza italiana: «Ci hanno anche detto di stare tranquilli perché la casa non interessava loro. Allora abbiamo finito di sistemare lo stabile. Prima non si poteva guardare, adesso è una signora casa per noi».

Munir Drifti mostra la busta paga

I guai sono arrivati soltanto negli anni successivi. Mentre il comune riconosce la residenza agli e alle occupanti e consente l’allaccio alle utenze, Ferrovie dello Stato decide di tornare in possesso degli edifici. Si va dunque in tribunale per la prima volta e il giudice stabilisce che le famiglie possono restare. «Il giudice ha detto che potevamo restare finché non la ferrovia non avesse trovato per noi un’altra sistemazione, ma la ferrovia non ha fatto nulla, è sempre andata contro di noi». In seguito, le vicende giudiziarie di Munir Drifi e degli altri residenti in al 37 di via Latino Silvio hanno subito un radicale capovolgimento e agli inizi del 2021 è infine scattata l’ufficialità dello sgombero.

«Quando mio figlio mi ha detto che dovevamo andarcene, mi è quasi venuto un colpo. Tutta la gente che sta qua, ci sono anche dei bambini, dove può andarsene? Nessuno dovrebbe essere costretto a vivere per strada, soprattutto adesso», prosegue Drifi. Infatti, per i cinque nuclei familiari, ventitré persone totali con sette minori, né Municipio V né Comune sono ancora riusciti a trovare una soluzione.

«Queste famiglie non se ne possono e non se ne devono andare senza una soluzione permanente e degna che in questo momento non sta ancora emergendo», afferma infatti Margherita Grazioli dei Movimenti per il diritto all’abitare, presente al presidio di solidarietà. «Queste persone hanno trovato una casa in mancanza della possibilità di accedere ad altre soluzioni abitative e di permettersi una casa a prezzo di mercato: da molti anni vivono in questo stabile, che era stato completamente abbandonato al disuso dalle Ferrovie dello Stato. Andrebbe anche riconosciuto che sono state proprio queste famiglie ad aver riqualificato lo stabile, togliendolo al degrado e rendendolo un posto abitabile».

Lo scorso mese, il signor Drifi e altr* rappresentanti delle cinque famiglie, provenienti da varie nazioni del Nord Africa, si sono recati in municipio con documenti, redditi, la cassa integrazione e le richieste di casa popolare. Da allora, soltanto silenzio è arrivato dalle istituzioni.

«Il Municipio, come in tutte queste situazioni, è stato sollecitato al fine di venire a conoscere queste famiglie, per capire realmente cosa sta succedendo e frapporsi per evitare pressioni», spiega ancora Grazioli: «Purtroppo sappiamo tutti quale sia la pressione che la proprietà privata largamente intesa esercita in questa città. In questi mesi ci siamo confrontati con gli sfratti di chi viveva in affitto in nero, dove comunque il padrone di casa ha sempre ragione. Per noi però la rendita non può essere un diritto superiore a quello dell’abitare e pertanto rimaniamo al fianco di queste famiglie».

Alla fine, l’ufficiale giudiziario è arrivato, da solo, quando il sole era già alto. Ha rinviato lo sgombero al 16 settembre, paventando nuovamente l’uso della Forza Pubblica. «Come abbiamo detto a Caravaggio e come ribadiremo anche giovedì nel corso dell’assemblea a Torrevecchia», conclude allora Grazioli: «Senza soluzioni non si esce: non si può pensare di procedere né pensando di buttare in strada le famiglie né sempre con rimedi tampone. Vanno prodotte soluzioni strutturali».

Tutte le foto di Nicolò Arpinati