ITALIA

Il quarto sciopero globale per il clima sta arrivando

Il 29 novembre in tutto il mondo si scenderà in piazza nel Global Strike for Climate. A Roma l’appuntamento è in piazza della Repubblica alle 9.30. Lo stato dell’arte e le nuove sfide della mobilitazione

Venerdì prossimo i giovanissimi studenti dei Fridays For Future torneranno a riempire le strade delle principali città del mondo per la quarta volta in pochi mesi, dopo le proteste del 15 marzo, 24 maggio e 27 settembre. Solo in quest’ultima occasione un milione di persone manifestarono in 190 città italiane.

Le ragioni di questa nuova ondata ecologista sono tante e sempre più evidenti alla maggioranza della popolazione. A ogni nuovo fenomeno climatico estremo la consapevolezza dell’emergenza in cui ci troviamo si diffonde di più. Venezia è l’esempio italiano più evidente, ma le aree colpite nelle ultime settimane sono molte di più: dalla città di Matera alle coste ioniche del Salento fino al litorale a nord di Roma. Ottobre 2019 è stato il secondo più caldo nella storia del pianeta, dopo quello del 2015.

Il movimento dei Fridays for Future, in Italia e a livello globale, ha fatto crescere attenzione e preoccupazione per la questione ambientale. Adesso ha bisogno di fare uno scatto in avanti e dotarsi della capacità di incidere sulle politiche che stanno portando il pianeta al collasso. L’assemblea nazionale dei Fridays italiani, che si è svolta a Napoli il 5 e 6 ottobre, ha discusso proprio questi temi in vista del 29 novembre. Non è un caso che uno degli slogan della giornata sia “Block the planet”.

L’ultimo venerdì di novembre è anche il Black Friday, un appuntamento tradizionale nei paesi anglosassoni e ormai importato anche in Europa, fatto di sconti incredibili per favorire lo shopping pre-natalizio. Fridays For Future ha sottolineato più volte che proprio quel consumismo sfrenato è uno dei fattori che alimentano il cambiamento climatico. Il modello consumista divora risorse, distrugge l’ambiente, inquina, alimenta un ciclo produttivo continuo incompatibile con la transizione da un’economia estrattiva a un’economia rigenerativa, che per tanti è l’unica possibilità di evitare il collasso ambientale. Più volte in questi mesi il movimento italiano ha organizzato presidi e flash mob dentro le cattedrali del consumo senza limiti, come H&M e Zara. Per una di queste proteste, a Padova, due attivisti ambientali sono stati denunciati.

Al centro dello sciopero del 29 novembre, sul versante italiano, c’è anche il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), scritto dal precedente governo e neppure emendato dal Conte bis. Il piano deve essere presentato all’Ue entro il 31 dicembre e a oggi è completamente inadeguato ad affrontare la crisi climatica in corso. Il Pniec si basa sull’investimento fossile, in particolar modo nel gas, descritto come volano della sostenibilità, mentre sempre più studi ne sottolineano la nocività al pari di altri fossili. Dentro questo quadro si collocano investimenti devastanti come il Tap e la conversione a gassificatori delle centrali a carbone in dismissione entro il 2025. Il Pniec non è un piano di decarbonizzazione ed è completamente fuori fuoco rispetto agli obiettivi minimi di riduzione delle emissioni dei gas climalteranti che secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc) bisogna raggiungere entro il 2030 per fermare il surriscaldamento globale. Il nuovo governo non ha mai messo in discussione il Pniec. La sua struttura ricalca in pieno quella della Strategia energetica nazionale scritta da Calenda (al MiSE ai tempi del governo Gentiloni). Un segnale evidente che questi documenti non sono scritti dai politici né dai governi, ma dalla lobby dell’industria e dell’energia del capitalismo nostrano (Eni, Enel, Snam in primis). L’esecutivo controfirma soltanto quanto viene deciso in altre stanze.

Nel movimento intanto si lavora per la convergenza con altri percorsi politici. In primis con i comitati ambientali e contro le grandi opere, con i quali un primo incontro c’è stato nel corteo nazionale che è sfilato a Roma il 23 novembre 2018. I comitati della campagna Per il Clima, fuori dal Fossile si sono incontrati a Pescara due weekend fa per delineare le strategie di lotta contro il gas nelle diverse regioni italiane. Anche dentro il movimento Non Una di Meno si stanno aprendo degli spazi di intreccio tra questione ecologica e femminista.

Sul fronte sindacale si registra l’adesione allo sciopero dei confederali, anche se non è chiaro quali categorie lavorative trasformeranno questa adesione in una partecipazione reale. In ogni caso, le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori scontano un pesante ritardo sulla questione climatica ed ecologica, che richiederebbe una profonda e radicale trasformazione di approccio. Rispetto all’economia fossile, per esempio, i sindacati non sono riusciti a immaginare alcuna prospettiva che ponesse la questione dei diritti dei lavoratori a partire dalla crisi climatica in corso, per elaborare alternative alla sterile contrapposizione tra ambiente e posti di lavoro.

Infine, il quarto sciopero globale per il clima avviene a pochi giorni dall’inizio a Madrid della Cop25, la Conferenza delle nazioni unite che da 25 anni discute annualmente le potenziali misure per affrontare a livello mondiale i cambiamenti climatici. La Cop si sarebbe dovuta svolgere in Cile (e la presidenza infatti rimane cilena), ma è stata spostata nella capitale spagnola per la straordinaria situazione di rivolta in corso nel paese sudamericano. Le prospettive di questa Cop sono tutt’altro che rosee, con il peso della definitiva uscita degli Stati Uniti di Trump dagli Accordi di Parigi del 2015. Allo stesso tempo, però, sarà la prima Cop a incontrarsi mentre nelle strade di tutto il mondo c’è un movimento per il clima dispiegato. Vedremo se questo avrà qualche effetto oppure no.