POTERI

Primo round

L’unico, the greatest, era lui, Ali. Il nostro Renzi per ora si limita a incassare…

…E l’esuberanza delle dichiarazioni prima del match si rivela ben triste quando la classe non corrisponde e i pugni piovono a scroscio.

Roma fa testo innanzi tutto, per l’incolmabile divario fra Giachetti e Virginia Raggi e l’affannosa contesa del primo con la fascio-leghista Meloni per entrare in ballottaggio (una scena che non ci diverte affatto). Aggiungiamo il risultato inverosimile di una lista comunale Pd appena sopra il 15%, con la comica dei vice-segretari che ne attribuiscono la colpa… a Marino. Solo in 2-3 municipi di rito veltroniano su 15 il Pd è ancora in gara. La location del disastro all’ex-Dogana la dice poi lunga a chi conosce il ruolo cittadino di questa macchina gentificatrice. Il M5s ha avuto gioco facile captando la protesta senza fare scelte precise e probabilmente con scarse capacità di amministrarla, ma fin quando avrà per controparte Orfini e i suoi onesti quanto politicamente irrilevanti uomini-immagine le cose non cambieranno. Il voto a Fassina è una rispettabile alternativa all’astensione, però restiamo sul registro di #mainagioia. Esiste un movimento civico di resistenza alla corruzione e alle privatizzazioni, esiste la rete per il diritto alla città, ma ancora al di sotto della soglia di percepibilità mediatico-elettorale e con un’incidenza solo difensiva (e non è poco) delle lotte. Sulla strada di Napoli, ma ancora lontani. Napoli, appunto. Napoli en Comú. Qui movimenti e una dose “buona” di populismo incardinato al vertice dell’istituzione locale stanno funzionando. Qui si profila non soltanto uno scacco di Renzi, ma un inizio di risposta

positiva che maggiormente assomiglia alle esperienze di costruzione dal basso e di municipalismo di tipo spagnolo. Fra l’altro, dove si realizza quella congiunzione eterogenea ma propositiva, il M5s ha poco spazio e non sequestra in un magma vischioso e legalitario le resistenze al neo-liberalismo autoritario.

A Milano, nello scontro fra due manager liberisti che ha allontanato buona parte dell’elettorato dell’epoca Pisapia, il Pd ha ottenuto risultati molto minori del previsto: l’alternativa è la destra più classica e anche qui, per motivi opposti a Napoli, il populismo M5s è fuori gioco. Ben presente invece in altre situazioni come Bologna (altro insuccesso di una “ditta” Pd renzizzata a forza) e soprattutto a Torino, dove la candidatura di Chiara Appendino ha ben altro spessore di quella romana di Virginia Raggi. Sempre a Bologna Federico Martelloni, espressione di un esperimento di “coalizione civica”, ha ottenuto il miglior risultato (7%) fra i candidati a sinistra del Pd. Istruttivi sono inoltre i risultati del Pd in comuni minori, sia dove perde (Cosenza, a causa della scellerata alleanza con Verdini), sia dove vince al primo turno (Zedda a Cagliari, un non-renziano sostenuto dal resto della sinistra) o stravince (Salerno, 72%!) su base deluchiano-cosentiniana, ben guardandosi dal mettere il simbolo Pd fra le liste civiche sostenitrici.

Conseguenze a breve? Naturalmente bisogna aspettare i risultati dei ballottaggi, in particolare di Torino e Milano, e vedere dove si posizioneranno i voti della destra. Sembra ovvio che scelgano la candidata 5s a Torino (mentre è meno ovvio che i pentastellati appoggino i candidati della destra a Milano e Bologna, certamente non a Napoli), altrettanto che Berlusconi-Marchini volino a (inutile) sostegno di Giachetti a Roma, ammesso che riescano a controllare il loro elettorato. Il problema di Berlusconi sta nel fatto che ha contenuto a fatica l’ascesa di Salvini come concorrente personale alla leadership, ma rischia di perdere una bella quota dei suoi eletti nazionali e locali a favore di Verdini, ormai il principale puntello parlamentare di Renzi.

In complesso, ragionando a mente fredda e reprimendo qualche legittima emozione, non c‘è troppo da esultare (eccetto che per Napoli) per un risultato che demolisce i partiti superstiti del ventennio berlusconiano, ma a prevalente vantaggio del populismo lepenista e dell’ambiguità M5s – non diciamo più “grillina”, perché ora cammina su gambe proprie. Questo secondo blocco è un bacino di interlocuzione e contraddizione, non un alleato acquisito dei movimenti, piuttosto il sintomo più clamoroso di un cambiamento di fase in cui i movimenti (come a Napoli) devono giocarsi una partita inedita e rischiosa.

Renzi ha perso il primo round e probabilmente perderà anche il secondo, i ballottaggi. Il round dei referendum è più incerto e non si chiudere con un KO, perché nessuno crede che una vittoria del NO lo indurrebbe ad abbandonare il potere. Mica crederete alle ciance boschiane, al ricatto degli sfracelli. Tutto dipenderà dalla crescita di una vera opposizione, che ora potrebbe avere tempi più rapidi e percorsi meno lineari di quanto stancamente ipotizzato. Vanno in questo senso – altro motivo non di esultanza ma di fredda constatazione – gli insuccessi dei progetti “cosmopolitici” e di operazioni anche meno schiette “sulla sinistra” del Pd. Al cui interno i residui oppositori di Renzi aspettano che passi il cadavere del nemico gridando fieramente mai con Verdini e separazione fra segretario e premier. Ciaone…