OPINIONI

Per Toni

Toni aveva in animo di fare una ricerca sul riso. Credo fosse l’ennesimo dei suoi stratagemmi per insegnarci che, anche nella notte più buia, anche nella navigazione più perigliosa, non ci è permesso, non dobbiamo, arrestare il nostro cammino. Ridere e lottare, un po’ come cantare e volare.

«Il canto degli uccelli – scrive Giacomo Leopardi, nel suo Elogio  –  è come un riso (…) onde si potrebbe dire ch’essi partecipano del privilegio che ha l’uomo di ridere, il quale non hanno gli altri animali (…). Ma di queste cose tratterò in una storia del riso che ho in animo di fare»

Interessava a Leopardi questa «cosa mirabile» per cui «la più travagliata e misera delle creature» è la sola capace di ridere.

Anche Toni aveva in animo di fare una ricerca sul riso. Credo fosse l’ennesimo dei suoi stratagemmi per insegnarci che, anche nella notte più buia, anche nella navigazione più perigliosa, non ci è permesso, non dobbiamo, arrestare il nostro cammino. Ridere e lottare, un po’ come cantare e volare.

E d’altra parte sono certo che Toni, stasera, ci guarderebbe ridendo, un po’ sfottente, e ci chiederebbe: e adesso cosa fate? Su cosa lavorate? Come vi organizzate?

Poi si assicurerebbe che ci sia del bianco in fresco, per la serata.

Ci sarà tempo per rendere al lavoro di Toni tutto il valore che merita, e certamente faremo molte cose insieme, tanto sul piano politico quanto sul piano scientifico o accademico. Tuttavia qui stasera vorrei rendergli un debito personale, che non ho onorato.

Durante l’ultimo grande ciclo di lotte in Francia, quello sulle pensioni, avevamo scritto un articolo per Euronomade. Toni voleva che ne scrivessimo un secondo. Non lo abbiamo fatto a causa della mia pigrizia. Comunque avevamo cominciato a lavorarci. A Toni premeva un’urgenza. Si doveva porre il tema di come interrompere il precipitare della crisi neoliberale nella spirale autoritarismo-fascismo.

Mi aveva proposto di iniziare da una citazione di Elias Canetti: si dà potere laddove si teme la metamorfosi. «Dobbiamo insistere su questo Dove si teme». Diceva. Il fascismo è timore del sovrano. Arriva quando il potere capisce che c’è qualcosa di importante in ballo e muta se stesso in modo autoritario. Allora fa saltare la mediazione istituzionale e ripiega sull’uso brutale della forza. «Significa – diceva – che lo scontro è al massimo. La metamorfosi è in atto».

Quale metamorfosi? Metamorfosi di classe : una forza lavoro precaria, priva di vincoli contrattuali forti (“giacobina”, diceva Toni), sta ormai incontrando un ceto medio impoverito (“girondino”) e pone il tema dello spossessamento e di forme di sfruttamento che si dispiegano capillarmente sulla società.

Dovevamo, così, parlare della Francia. Ma il tema, capite bene, non è solo francese: riconquistare una nuova figura di classe, moltitudinaria, capace di determinare elementi nuovi di rappresentanza, inventare un dispositivo istituzionale che incarni un programma futuro. Questo premeva a Toni.

Da qui la necessità di rilanciare la nostra ricerca, di ricominciare a fare inchiesta sulla composizione tecnica della moltitudine, sulla tensione soggettiva del nuovo proletariato, sulle capacità di riappropriazione delle forme tecnologiche e degli algoritmi dello sviluppo, per inseguire poi i momenti di maturazione politica dei movimenti, per costruire contropotere.

A questo punto, di solito, si dice: ecco lo spinozista! L’idealizzazione delle capacità cooperative umane. L’ontologia come garanzia della tendenza interna verso la libertà e la democrazia. Ecco l’ottimismo di Toni.

Penso non sia corretto questo punto di vista. Toni era, invece, piuttosto severo, quel pomeriggio. «Capisci Marco: manca il futuro qui!  Manca l’iniziativa capace di unire diversi strati di classe e produrre l’“apparition”, come Michelet chiamava la rivoluzione…»

Credo che questo sia uno dei punti su cui dovremmo riaprire la discussione. Futuro ci vuole. Ma in questo non c’è nessuna garanzia, nessun piano prestabilito. Toni ci ha insegnato a pensare l’ontologia come presenza, fatticità, contingenza che non si dispiega secondo alcun destino.

Non c’è nessuna tendenza interna (alcuna garanzia metafisica) della moltitudine a farsi classe, della classe a farsi contropotere, del contropotere a farsi democrazia. Ci sono tuttavia tendenze storiche che vanno seguite, studiate, accolte, praticate. Ci sono conflitti. Vittorie. Sconfitte.

C’è la repressione, certo. La guerra. I fascismi. Ma qui dentro si lotta. Il quadro non è fermo. L’ottimismo non c’entra. C’entra il ridere invece, anche nella più miserabile delle condizioni. Questo, sì, Toni ce lo ha insegnato.

Come in quella pagina con la quale, commentando il Marx di Derrida, ha scritto:

«Nei Souvenirs di Alexis de Tocqueville si narra di una giornata del giugno 1848. Siamo all’ora della cena, in un bell’appartamento della Rive Gauche, VII arrondissement. La famiglia Tocqueville è riunita. Nella dolce serata, tuttavia, improvvise risuonano le cannonate che la borghesia tira contro la canaglia operaia insorta – rumori lontani, dalla Rive Droite. Ma a una giovane cameriera, che serve in tavola e che arriva dal Faubourg Saint Antoine, sfugge un sorriso. Viene immediatamente licenziata. Non v’era forse, in quel sorriso, il vero spettro del comunismo? Quello che atterriva gli zar e il Sieur de Tocqueville? Non v’era là una scintilla della gioia che costituisce lo spettro della liberazione?»

Grazie Toni.

Intervento letto a Esc, 27 gennaio 2024.