ROMA

Per sfratti e sgomberi non si è trovato l’antidoto

Mentre l’emergenza sanitaria sembra calare, quella sociale sta per esplodere. Gli sfratti e gli sgomberi che erano sospesi tornano a minacciare chi dopo aver perso il lavoro rischia di perdere anche la casa. I Movimenti per il diritto all’abitare incontrano il Prefetto e convocano un’assemblea cittadina per il 4 giugno a via del Caravaggio

Ancora una volta i Movimenti per il diritto all’abitare sono sotto la Prefettura di Roma. L’11 maggio a via di Torrevecchia, nell’ex clinica privata Valle Fiorita occupata dal 2011, c’è stato un intervento con otto blindati, decine di agenti hanno assediato l’immobile per “fare un censimento” di chi abita nella struttura. I Movimenti hanno giudicato l’intervento troppo spettacolare e fuori luogo rispetto a quanto si era concordato in un incontro avvenuto poche settimane prima, quando il Prefetto Piantedosi aveva affermato che «l’uso della forza pubblica è una sconfitta», facendo riferimento a come affrontare l’emergenza abitativa e la ricerca di soluzioni per i diversi stabili occupati in città.

La situazione romana continua a essere drammatica e destinata ad aggravarsi con il Decreto Sostegni che stabilisce la fine del blocco degli sfratti emessi prima della pandemia fissata al 30 giugno. Per quelli emessi da febbraio a settembre 2020 il blocco finirà a settembre 2021, mentre resisteranno fino a dicembre quelli successivi.

Il problema della casa rischia di diventare esplosivo e per questo i Movimenti chiedono che tutte le istituzioni mettano in atto tutti gli strumenti per trovare soluzioni condivise per chi è minacciato da sfratti e sgomberi, in modo che nessuno resti in strada.

«Noi riteniamo di aver messo in campo tutti i passaggi necessari per favorire un processo di ripartenza per politiche abitative pubbliche che tengano conto della situazione attuale in città, a partire dal governo fino agli enti locali. Tutte le istituzioni – scrivono nella lettera aperta indirizzata al Prefetto – sono infatti corresponsabile di una cattiva gestione del patrimonio e dello spazio pubblico, orientati a favorire gli interessi della rendita e la scellerata bulimia di cemento utile solo a chi costruisce e molto poco a chi ha bisogno di una casa e attende anni in una graduatoria affollatissima. Per giunta, la sparizione dell’edilizia residenziale pubblica dall’orizzonte delle infrastrutture ha lasciato milioni di persone e nuclei familiari in balia del mercato che fa il bello e il cattivo tempo imponendo canoni d’affitto esosi e incontrollati, costringendoli a sobbarcarsi mutui e affitti insostenibili, nonostante i lavori precari e l’assenza di welfare adeguato».

E continuano: «Questa situazione non si cambia con ordinanze di natura repressiva e negando l’esistenza di chi non ha un titolo da esibire anche cancellandone la residenza. Ora è necessario che tutti gli attori in campo facciano la loro parte, senza che vi sia sempre sguainata la spada di Damocle delle operazioni forzose, dagli sgomberi delle occupazioni abitative agli sfratti con uso della forza pubblica».

C’è poi la delicata situazione dell’occupazione di via del Caravaggio, dove vivono 380 persone e per loro la soluzione sembra ancora lontana, nonostante sia in atto da tempo un tavolo di trattativa con Comune e Regione. Mentre è in corso l’assemblea in piazza arriva la notizia che per l’occupazione di Caravaggio il tempo è scaduto e la Prefettura fra 15 giorni ordinerà lo sgombero. La piazza ribadisce a gran voce che senza soluzioni alternative gli abitanti non lasceranno lo stabile e convocano un’assemblea cittadina per il 4 giugno. Sono la Regione e il Comune a dover offrire alternative ed è con questo scopo che è stato previsto un incontro degli occupanti con tutte le istituzioni coinvolte.
L’emergenza sanitaria sembra rallentare, mentre accelera quella sociale.

Il problema della mancanza di case è strutturale e si è aggravato in questi mesi di pandemia, ma non sembra essere una priorità per chi quel disagio non lo vive. Lo dimostrano le risorse previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza che vengono destinate esclusivamente all’housing sociale, edilizia privata sociale. Nessuna risorsa è destinata a incrementare l’edilizia pubblica, per la quale in Italia sono state presentate 650mila domande e altre ne verranno. Eppure l’housing sociale, nato da un’idea della Fondazione Cariplo vent’anni fa, come strumento per rispondere alla crisi del ceto medio impoverito, che è troppo benestante per le case popolari ma non abbastanza per il mercato immobiliare privato delle città, ha dimostrato di non rappresentare una soluzione.

Intanto migliaia di persone vivono la minaccia di uno sfratto e ogni mattina si organizzano picchetti per impedire che qualcuno rimasto senza lavoro si ritrovi anche senza casa.

È avvenuto anche ieri a Tor Pignattara, dove una donna con due figli non potendo più pagare l’affitto al nero che aveva versato per anni si è trovata davanti all’ufficiale giudiziario con il provvedimento di sgombero. La presenza del picchetto ha impedito lo sgombero, ma solo fino al 30 giugno. Una delle tante persone per le quali la casa non è considerata un diritto per avere una vita degna.

Tutte le foto dall’archivio DINAMOpress