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Patagonia, polizia argentina spara: giovane mapuche ucciso, due gravi

Rafael Nahuel, mapuche di 22 anni della comunità Lafken Winkul Mapu, è stato ucciso sabato pomeriggio dalla polizia con tre colpi di arma da fuoco, colpito alle spalle. La gendarmeria ha lanciato una caccia all’uomo razzista e coloniale nei territori contesi di Villa Mascardi, un parco nazionale a pochi chilometri da Bariloche, nota località turistica della Patagonia argentina

Nel pomeriggio di sabato 25 novembre, in Patagonia, diversi corpi della polizia e della gendarmeria nazionale hanno dato vita a una caccia all’uomo, uccidendo a colpi di arma da fuoco Rafael Nahuel e ferendo altri due mapuche, un uomo e una donna, che si trovano in gravi condizioni all’ospedale Ramon Carrillo. I fatti si sono svolti nelle stesse ore in cui si stava tenendo in provincia di Buenos Aires il funerale di Santiago Maldonado, desaparecido durante una rappresaglia della Gendarmeria nella comunità mapuche Pu Lof Cushamen il 1 agosto scorso e ritrovato senza vita in circostanze poco chiare 78 giorni dopo.  Il ragazzo è stato seppellito dopo un lungo mese di attesa dei risultati dell’autopsia (che ne ha stabilito le cause della morte ma non le modalità della desapariciòn). Nel primo come nel secondo episodio, tutte le responsabilità sono dello Stato e del governo, denuncia Correpi, l’organizzazione contro la repressione statale e la violenza istituzionale.

Rafael Nahuel, assassinato dalla polizia

Ricostruiamo i fatti: lo scorso giovedì, mentre in Senato si votava la proroga di altri quattro anni della legge 26/160 che sospende gli sgomberi  delle comunità indigene, riconoscendo il diritto al territorio ancestrale in attesa che l’Istituto Nazionale delle questioni indigene concluda il rilevamento delle terre spettanti alle diverse comunità, il giudice Villanueva ordina lo sgombero della comunità Lafken Winkul Mapu che aveva recuperato il 14 settembre scorso le sue terre all’interno del parco turistico nazionale di Villa Mascardi. Lo scontro è attorno ai prossimi megaimpianti turistici che le multinazionali e le imprese argentine vogliono costruire nei territori indigeni e vede opposte due logiche inconciliabili: quella capitalista dello sfruttamento del territorio dei parchi nazionali da parte dei privati; quella dei  mapuche che rivendicano il recupero delle terre ancestrali per vivere costruendo una diversa relazione con la natura e il territorio. Un conflitto che non riguarda solo questa comunità, ma intere aree dell’immensa Patagonia e non solo, perché lo scontro attorno all’appropriazione del territorio vede migliaia di comunità indigene in tutto il continente difendersi dall’estrattivismo (miniere, centri turistici, coltivazione estensiva, etc) e rappresenta oggi un ambito decisivo dei conflitti sociali in America Latina.

Lo stesso giovedì, come afferma l’antropologa Diana Lenton, era previsto un tavolo di negoziazione per risolvere il conflitto. «A tradimento e boicottando qualunque possibilità di dialogo, un enorme dispiegamento di forze dell’ordine ha fatto irruzione nella comunità all’alba, sparando con armi da fuoco e arrestando donne e bambini, detenuti in condizioni illegali per diverse ore» continua l’antropologa argentina.  Secondo le testimonianza dei mapuche, una dozzina di uomini della comunità sono fuggiti sui monti a causa della caccia all’uomo violenta della polizia federale, della Gendarmeria e delle forze della Prefettura navale, impiegate congiuntamente con elicotteri e forze speciali. Ieri pomeriggio, tre di loro stavano tornando per ricongiungersi con le loro famiglie e sono stati attaccati con armi da fuoco dalla polizia. Così è stato assassinato Rafael, un giovane dei quartieri poveri di Bariloche (che si era recato a visitare i parenti nella comunità in lotta), saldatore, falegname e lavoratore precario, un “pibe de barrio”, come lo ricordano gli amici dopo la notizia della sua morte.  L’avvocata della comunità mapuche, Natalia Aranya, ha rilasciato dure dichiarazioni al quotidiano Pagina 12, parlando di una caccia all’uomo razzista e sottolineando le responsabilità del governo nell’operazione che ha coinvolto i gruppi speciali della Prefettura. Dopo la notizia della morte, si sono svolte mobilitazioni sia davanti all’ospedale che alla sede degli uffici dei Parchi Nazionali, proprietari delle terre contese dalla comunità mapuche. Qui si sono registrate tensioni tra polizia e manifestanti, con le forze dell’ordine che hanno bloccato le vie di accesso principali e i collegamenti, compresa la Ruta 40, tra le città di El Bolsòn e Bariloche. Intanto, a quasi ventiquattr’ore dai fatti, il governo non ha commentato in alcun modo l’omicidio, mentre alcuni giornali mainstream affermano, senza addurre prove, che sia stato una scontro a fuoco tra mapuche e polizia. La stessa narrativa utilizzata durante la dittatura, denunciano le organizzazioni dei diritti umani: una caccia all’uomo dopo una repressione violenta contro famiglie che dormivano nelle loro case diventa per i media uno scontro “armato” tra mapuche e polizia.

Immagine dell’operazione repressiva contro i mapuche in Patagonia

La Marcha de Mujeres Originarias, organizzazione di donne indigene, ha lanciato un appello invitando tutti a denunciare le menzogne e a diffondere la verità dei fatti: «non permetteremo alle menzogne di affermarsi, noi non siamo in guerra con lo Stato, ma è lo Stato argentino che sta applicando misure genocide contro le comunità indigene, questo dovrebbero dire i giornali». Chiediamo sostegno e supporto, vogliamo giustizia, affermano le donne indigene , esigiamo che «cessi immediatamente la violenza assassina contro i nostri fratelli e le nostre sorelle».

Per oggi pomeriggio, intanto, è stata convocata dall’ “Incontro Memoria, Verità e Giustizia” una manifestazione a Buenos Aires, mentre altre mobilitazioni si svolgeranno in diverse città della Patagonia per denunciare le responsabilità del governo Macri e del ministro Bullrich. Il sindacato dei lavoratori pubblici ATE ha riferito del fermo del responsabile provinciale e della moglie, liberati poche ore dopo, mentre Sonia Ivanoff, avvocata specialista in diritto indigeno, ha reso pubblici altri preoccupanti arresti: si tratta dei due testimoni dell’omicidio del giovane Rafael Nahuel. «Vogliamo la liberazione e la garanzia di protezione per questi due testimoni chiave, Fausto Horacio Jones Huala e Lautaro Alejando Gozalez» ha dichiarato l’avvocata all’agenzia di comunicazione indipendente Anred.

Intanto, continua la militarizzazione dell’area dopo la rappresaglia: da settimane le organizzazioni dei diritti umani e le comunità mapuche denunciano come  dopo «la desapariciòn e la morte di Santiago Maldonado la persecuzione contro i mapuche sia aumentata di intensità così come la violenza delle forze di polizia».

L’intensificazione del conflitto è legata all’aumento della violenza repressiva che negli ultimi due anni, con il governo Macri, è stata diretta in gran parte contro i mapuche identificati come “nemico interno”, in linea con le dichiarazioni del Comando Sud delle forze militari degli Stati Uniti che hanno definito il popolo mapuche una “minaccia terroristica”. Un conflitto che vede da una parte uomini, donne e bambini in lotta per la difesa del territorio e della vita, e dall’altra una nuova ed intensa offensiva politica, economica e militare del capitalismo estrattivo, razzista, patriarcale e coloniale.