ROMA

Panel #1, I movimenti sociali di fronte al ciclo reazionario globale

Venerdì 17 maggio, ore 17-19, Esc Atelier

Intervengono:

Marco Bascetta (giornalista il manifesto/Euronomade)

Ida Dominijanni (giornalista Internazionale)

Salvatore Cannavò (vicedirettore Il Fatto Quotidiano)

Coordina:

Alberto De Nicola (dinamopress)

 

“Sovranismo”, “populismo”, “neo” o “post-fascismo” sono nozioni che negli ultimi anni si sono imposte con forza nella discussione politica e mediatica. Tuttavia, benché queste siano indubbiamente legate ai nomi, tra gli altri, di Trump, Salvini, Orban o Bolsonaro, le forme di governo che queste figure sembrano aver inaugurato, appaiono essere piuttosto la spia di un mutamento istituzionale più ampio e complesso, non esclusivamente riconducibile alla crescente importanza politico-elettorale delle formazioni partitiche e dei movimenti dell’estrema destra. Abbiamo utilizzato sul sito Dinamopress l’espressione “ciclo reazionario” proprio per indicare il presentarsi di una nuova congiuntura globale caratterizzata da un generale ri-orientamento autoritario dei sistemi politici. L’apertura di questa nuova fase, benché si inscriva in quella “crisi di egemonia” che ha investito le élite neoliberali dopo il crack finanziario del 2008, ne costituisce al tempo stesso uno sviluppo e un’evoluzione non lineare: a far da sfondo, l’impossibilità di trovare una qualche forma di stabilizzazione politica alla crisi economico-istituzionale, così come la reazione ai movimenti di massa che avevano contestato le politiche di austerità nei primi anni della crisi e ai movimenti migratori che avevano messo in tensione il sistema dei confini in Europa e non solo.

A partire da questo quadro, che vede nel crescente razzismo, conservatorismo e autoritarismo elementi di una tendenza più complessiva, il panel si concentrerà su tre questioni principali.

La prima, riguarda la posizione del cosiddetto neo-sovranismo rispetto all’attuale congiuntura. Il dibattito mediatico e politico si è soprattutto concentrato sull’esistenza di un conflitto tra paradigmi di governo ed opzioni politiche in competizione tra loro: da un lato, vi sarebbe quello neo-sovranista e reazionario, dall’altro, un polo conservatore e moderato, di matrice più tradizionalmente neoliberale. Nonostante siano innegabili le differenze che distinguono queste due polarità, il loro rapporto è invece assai più ambivalente. Non solo perché molte delle politiche che stanno caratterizzando la svolta neo-sovranista sono state preparate, quando non anticipate, da governi di “centro”, quanto perché una certa torsione autoritaria sembra investire, benché con gradazioni e intensità differenti, anche paesi dove governano differenti schieramenti politici. Si pone dunque il problema di comprendere se tra le opzioni neo-sovraniste e quelle più classicamente neoliberali vi sia un rapporto di alternativa e di conflitto aperto oppure se esse siano l’indicatore di una modificazione interna alla stessa “ragione neoliberale”.

La seconda questione riguarda invece il problema della violenza. In alcuni interventi recenti lo storico Enzo Traverso, nel confrontare le esperienze del fascismo del primo novecento con l’affermazione delle nuove destre radicali, ha segnalato come per queste ultime «la violenza non sia più il tratto dominante». Pur fuori da qualsiasi paragone storico, è tuttavia innegabile che la fase attuale sia sempre più segnata da una rinnovata “brutalizzazione” delle relazioni sociali e da una loro crescente legittimazione nel discorso politico e nelle prassi istituzionali. Il movimento femminista di Non Una Di Meno e quello statunitense di Black Lives Matter hanno dimostrato come la nuova moltiplicazione e radicalizzazione della violenza contro le donne e i neri presenti caratteri sistemici. Al tempo stesso, la sempre maggiore e diffusa disponibilità ad accettare la morte in mare dei migranti nel mediterraneo e il tentativo istituzionalmente perseguito di annullare le forme dell’empatia e della solidarietà, sembrano dimostrare che il nuovo ciclo reazionario sia preparato da quella che l’antropologa Rita Segato ha chiamato una “pedagogia della crudeltà”. Come si ridefinisce l’”uso della violenza” nella congiuntura attuale? Quanto questa, praticata o virtuale che sia, è un retaggio del passato o l’espressione di un nuovo tipo di relazione sociale e di una nuova forma del comando?

L’ultima questione riguarda la natura e il ruolo dei movimenti sociali nell’attuale congiuntura politica. Contrariamente a chi la descrive come segnata da un potere senza limiti e da una sostanziale passività sociale, la fase presente sta invece mettendo in luce una ripresa dell’iniziativa dal basso: dai movimenti dei migranti e delle donne al movimento francese dei gilets jaunes, dalla difesa delle pratiche di solidarietà sotto attacco alle nuove mobilitazioni ecologiste, la torsione autoritaria sembra alimentare nuove forme di politicizzazione della società. Nonostante le loro pur rilevanti differenze, in che modo questa nuova ondata si pone come continuazione – o segna invece una discontinuità – con il precedente ciclo di mobilitazioni che ha caratterizzato i primi anni della crisi economica? Quanto, di fronte alle pulsioni razziste e sessiste e alla radicalizzazione del comando capitalistico, l’attivazione di queste soggettività e l’intersezione delle loro lotte configura l’emergere di un fronte di tipo anti-autoritario o il profilarsi di un rinnovato orizzonte di classe?