EUROPA

L’omicidio di due membri di Alba Dorata e la discussione pubblica

Dalla Grecia tre osservazioni.

Senza che ci sia la voglia da parte di nessuno di speculare sulla ricostruzione dell’omicidio dei membri di Alba Dorata, che tra l’altro non è un lavoro giornalistico, si possono però osservare i principali parametri […] con cui il governo sta affrontando il caso e la sua copertura da parte dei media. Tre osservazioni, quindi, che valgono indipendentemente da chi sia stato l’autore del gesto, e che tra l’altro non riguardano tanto l’omicidio quanto la discussione pubblica…

1. Democrazia, “stabilità” e “destabilizzazione”.

L’omicidio dei due membri di Alba Dorata a Neo Iraklio è una ferita alla democrazia, che mira a creare una situazione di instabilità, dicono dai ieri i Media. Non so da dove traggano questa conclusione. Ai mainstream media piace giocare al ruolo del detective. Ho sentito parlare di “attacchi professionali”, di “organizzazione perfetta”, di sette, e anche un po’ della paura riscaldata del bravo padre di famiglia, Nikos Maziòtis. Non so da dove tirino fuori tutto questo. Non sono un poliziotto.

Quel che so è che tutto quello che riguarda la “destabilizzazione” non è come sembra. Lascio da parte le coincidenze – anche se fanno bene a sottolinearle in molti – come il fatto che incidenti di estrema violenza sembrano coincidere con orribile precisione con i periodi in cui vengono provate le politiche del governo, per dire questo: la “destabilizzazione” conviene al governo. La “stabilità” conviene all’opposizione parlamentare.

Mi spiego: Syriza ha ogni motivo in questo momento per volere l’applicazione delle politiche del governo, in particolar modo di quella finanziaria. Ha un vantaggio. Sa che questa politica porta alla miseria. La sua applicazione, tanto più senza ostacoli – con “stabilità”- porta inevitabilmente ad elezioni e alla vittoria di Syriza, a un cambio di governo relativamente tranquillo, come quello sul quale l’opposizione parlamentare ha basato la sua strategia (e per la quale viene criticata in continuazione dalla sinistra più radicale, dentro o fuori dal partito).

Il governo, d’altra parte, ha fallito nel convincere della validità della sua politica, che la maggior parte dei cittadini considera ingiusta e barbara. E’ riuscito però a presentare se stesso proprio come il garante della “stabilità”. Ma un “garante della stabilità” gioisce nel disordine, non c’è bisogno di lui quando tutto è stabile. Quando le cose sono stabili – parliamo di tasse sugli immobili, di aste per la prima abitazione, di privatizzazioni, di intercettazioni da parte dei servizi segreti, di Eldorado Gold e di tanto altro – ad Antonis Samaràs e compagnia non va molto bene. Il governo può quindi affrettarsi a presentarsi di nuovo come “protettore della stabilità”, a rivendicare di nuovo la dinamica che lo contraddistingue quando agisce in modo poliziesco, al contrario di quanto accade quando agisce sulla finanza e viene diffamato anche dai deputati del proprio partito.

Se l’omicidio è il frutto del lavoro di un professionista, una provocazione del parastato o la vendetta di criminali idioti, è da questo punto di vista secondario. La “destabilizzazione” però conviene al governo. Ed è per questo che ne sta parlando da ieri ogni media del regime.

2. “Il sostegno della democrazia è la stabilità”

Così vogliono i venditori di finta moderazione, così sentiamo dire ai commentatori dei telegiornali, così scrivono i giornali di oggi e altri media, così si esprime il ministro Dendias. Una variazione sul tema è la frase del primo ministro, “il fondamento della democrazia è la sicurezza del cittadino”, su cui abbiamo scritto l’editoriale di UNFOLLOW 23.

La democrazia, dunque, si fonda sulla legalità. Cose senza senso. Tutte le forme di governo si fondano sulla legalità. Ancora meglio, tutti i regimi si fondano sulla legalità. Non esiste una formazione politica organizzata senza una concezione di legalità. Per l’esattezza, quanto più centrale diventa l’idea della legalità nella formazione politica, tanto più dispotico sarà il regime. Non c’è mai stata una legalità più forte di quella dello stato nazista. Sulla legalità erano fondati i regimi di Franco, di Pinochet, di Suharto, di Reza Pahlavi, di Mobutu, di Saddam. Sulla legalità erano fondati i regimi di Stalin e Mao. Sulla legalità era fondato l’apartheid. Sulla legalità si fondano le teocrazie islamiche.

Ma, dirà qualcuno, questa non è vera legalità. Sono dittature, sono regimi criminali, hanno perso la loro legittimità per i loro crimini. E diremmo noi a chi ci ponesse una tale questione: dal momento che dici questa cosa, non credi che esiste un punto fuori dalla “legittimità” dei regimi da cui puoi giudicare questa legittimità e scoprire che è fasulla? Da questo punto da cui giudichi, che non è condizionato da una legalità fasulla, non parli, quando dici che questi regimi non sono legittimi?

Il riconoscimento di questo punto è il fondamento della democrazia, non la legalità. E questo perché in democrazia la “neutralità” dello stato – un significato che provoca, in un modo o nell’altro, grandi discussioni – è continuamente sotto controllo, è richiesta ma non scontata. La democrazia non si distingue dalla legalità. Si distingue per la capacità di giudicare la legittimità, anche quando non c’è un modo “legale” per farlo, anche quando la legalità – come ogni legalità – mette fuori legge il suo dubitare di essa.

E l’oscuramento di questo fatto, a cui si danno tutti quanti parlano continuamente di “legalità”, è un pericolo più grande per la democrazia di qualsiasi “ciclo di violenza” invocato dal governo e dai media mainstream. Non dobbiamo mai smettere di evidenziarlo.

3. “La violenza è la stessa da qualsiasi parte provenga”

E questo lo sentiamo in continuazione da ieri: un omicidio è uguale a un altro, il sangue è sempre rosso, non ha colore politico ecc. E’ interessante la trasformazione del dogma “condanno la violenza sempre e comunque” in “condanno gli omicidi sempre e comunque”. Questa condanna gratuita, apolitica, ovvia, quasi senza senso (ma chi, a parte gli assassini, applaude gli omicidi?) ha una funzione cerimoniale: ripetendola, entriamo nella fantastica società della “sicurezza”.

Ma la “condanna della violenza sempre e comunque”, l’ovvietà della cosa, questa ovvietà che sfrutta i riflessi dei pacifisti, nasconde un’interferenza ideologica: la politica non ha importanza, il contesto non ha importanza, le circostanze non hanno importanza, da dove vengano i fatti non ha importanza, il passato non ha importanza, ha importanza solo il presente dell’omicidio, senza altre caratteristiche, il presente della violenza, che è solo e sempre un mezzo senza scopo, il perpetuo presente della violenza, a cui si può rispondere solo con la legalità. Questa condanna, “la violenza è uguale”, così ovvia, è uno strumento – sia che ne siano coscienti quanti lo utilizzano sia no.

Mi affligge vedere che la società in cui vivo sia stata guidata dai suoi governi verso una situazione così oscura, in cui vengono uccise persone per la strada. Mi dispiace che due giovani non avranno l’opportunità di vivere, per fare delle loro vite qualcosa di diverso, per aprirle a cose importanti e creative, per imparare a non essere fascisti. Mi dispiace per le loro famiglie, perché amavano i loro cari, ma anche perché non avranno l’opportunità di vederli diventare qualcos’altro.

Ma se la domanda è se sono “ugualmente” addolorato la risposta è no. Non sono ugualmente addolorato per l’omicidio di un fascista e per quello di un antifascista. Queste sono le mie idee politiche e non le cambio. Neanche dopo un omicidio.

Tratto daUnfollow, tradotto da AteneCalling.org