Ok! Il Prof è giusto. Note amare sul “concorsone”

Il “concorsone” del ministro Profumo sembra un quiz televisivo dove i precari lottano tra loro.

Per coloro i quali non avessero patito abbastanza la selezione estiva per il tirocinio (TFA), il ministro tecnico Profumo ne ha riservata una ancora più grossa e nello stesso anno!

A distanza di 13 anni (!!) è tornato il concorso per la scuola, una possibilità diretta, cioè, di diventare “di ruolo”, di conquistare un posto a tempo indeterminato nell’oscurità dei tempi che corrono.

In questi 13 anni i candidati hanno assunto forme incredibili e fantasiose. Ma chiamiamoli “concorrenti” di un “quizzone” a premi e immergiamoci di più nell’atmosfera e nei numeri del “concorsone”: 321.210 candidati per 11.582 posti per diventare insegnanti di ruolo della scuola italiana. La gran parte (258.476) donne. I due terzi degli aspiranti “prof” che hanno fatto domanda non proviene dalle graduatorie ad esaurimento. Sono persone che attualmente fanno altri lavori o ne hanno appena perso uno o, più semplicemente, non hanno mai sfondato il muro del suono del mercato del lavoro. In molti casi poi non hanno mai insegnato. L’età media dei canditati è di 38, 4 anni, per questo forse tra le dichiarazioni più rilevanti il ministro Profumo sottolinea la sua convinzione di dare un contributo fondamentale per “svecchiare” la scuola!

I tagli e le riforme degli ultimi anni hanno messo in ginocchio il sistema scolastico, considerato d’eccellenza solo fino a secolo scorso e che ora nulla ha da invidiare a quello del gioco d’azzardo. Vero è che un rimescolamento di carte nel mondo della scuola e in particolare delle possibilità lavorative al suo interno fosse necessario, altrettanto vere, quanto inquietanti, alcune caratteristiche dello svolgimento di questo concorso: il sistemone dei requisiti d’ammissione, le prove preselettive, l’anarchia organizzativa spudorata, i ricorsi già fatti e vinti in corso d’opera, per dirne alcune.

La Commissione europea da Bruxelles, dopo la miriade di petizioni e ricorsi presentati dai docenti precari italiani, ha aperto in concomitanza del concorsone, una procedura d’ infrazione contro l’Italia sui numeri esorbitanti dei lavoratori nella scuola con contratto a tempo determinato. Secondo la stessa Ragioneria dello Stato sono oltre 130mila sul totale dei 260mila precari che lavorano per la pubblica amministrazione. Tra i 130 mila rientrano anche gli insegnanti con un solo giorno di supplenza, ma anche una folta schiera di docenti con numerose abilitazioni che vengono assunti a settembre e licenziati a giugno per molti anni.
Il concorso doveva assumere dunque la valenza di rivoluzione copernicana e, soprattutto, doveva essere un fiore all’occhiello del Governo Monti, per dimostrare che in Italia si possono fare le cose con trasparenza, serietà e velocità. Viene da aggiungere “solo e soltanto perché ce lo chiedeva l’Europa”.

La prima delle polemiche “in casa” è stata (ed è ancora) lunga e lacerante, ma soprattutto emblematica del disastro soggettivo cui siamo stati condannati e contro cui, da anni, gli studenti delle Università e delle scuole si battono: la polemica (aspra) tra precari (“storici”) e neolaureati.
I precari, che insegnano da anni in condizioni a volte inimmaginabili, hanno manifestato contro il blitz del concorsone con il sostegno del Pd, che allo stesso tempo sosteneva, come da copione, il ministro Profumo. I neolaureati, accusati di approfittare della possibilità di “trovare lavoro” appena dopo la Laurea senza patire i decenni di tirocini, master fasulli, stage non retribuiti, (cioè precariato).

Interessante in questo senso la semplice analisi di Christian Raimo: “siccome c’è troppa offerta e poca domanda di insegnanti nuovi – siccome diciamola meglio, non si vuole investire sulla formazione e la retribuzione degli insegnanti che già lavorano nella scuola (abilitati SSIS, abilitati dal concorso del 1999, supplenti precari di varia provenienza) – si è pensato di trasformare l’offerta in domanda, e recuperare parte di quei soldi attraverso un sistema di reclutamento e di formazione a pagamento (la tassa per i test di selezione per i TFA e i tirocini annuali), mentre l’economia in nero delle ripetizioni è l’unica che consente la sopravvivenza di milioni di precari o insegnanti mal pagati.”. Sempre Raimo definisce la metamorfosi in atto nel settore della scuola, al passo coi tempi, additandola come “bolla finanziaria dell’istruzione”.

Per ciò che mi riguarda, sono appena entrata in questo mondo dalla porta di servizio, che però è anche la più logora e forse l’unica da 13 anni, quella del calderone delle supplenze, ovvero il mio posto in graduatoria di circolo e di istituto di terza fascia è stato finalmente, dopo quattro anni di coma, risvegliato da una supplenza annuale e dunque ho partecipato a quest’esperienza sentendomene quasi parte integrante e facendomi coinvolgere visceralmente, dalla corsa contro il tempo dello studio e dalla ricerca sociologica sul campo in sede di prove.

Ciò che voglio restituire è però l’amarezza della guerra tra poveri, dell’apparente irrevocabile invisibilità della mia generazione nelle maglie dell’economia reale. L’impossibilità di rintracciare nei “concorrenti” un corpo sociale o sfumature di solidarietà, di proposta, di consapevolezza di potenza nel solo fatto di essere in molti. Consapevolezza della crisi, quella si, ma ad un livello in cui le conseguenze si sono già addentrate nel personale di ciascuno, nel bisogno (disperato), di ognuno, di sopravvivere a questo momento affilando gli artigli contro i suoi simili e cercando soluzioni di fortuna individuali o al massimo familiari, nel senso di familistiche. Non va, tra l’altro, taciuto nemmeno il malumore di quei docenti cui è stato affidato il compito di costituire la commissione dei test, né quello di “controllori”, è emerso infatti come siano sottopagati, circa due euro all’ ora, e di come la preoccupazione più comune per loro fosse quella di sottrarsi alla beffa.

Due le cose che più mi hanno colpito in questi mesi. Prima fra tutte, la rapidità del business dei corsi di preparazione (fasulli dal momento che le indicazioni del Ministero sullo svolgimento e sui contenuti delle prove sono state oscure e parziali). In una parola insufficienti per ideare qualsiasi corso specifico al di là del buon senso di prepararsi sui programmi didattici ministeriali in vigore attualmente. Ai corsi, on line e in presenza, si aggiungono gadget di ogni tipo, dispense cartacee, scaricabili su IPhone, manuali scritti, evidentemente, non da italiani madrelingua etc.

E poi ci sono i “forum” dei concorrenti”. C’è da dire che io non amo molto i forum, però se mi capita li leggo con quel piglio voyeuristico che ormai caratterizza un po’ tutto il popolo dei social network. I forum prima e quelli dopo. Uno specchio dei partecipanti indubbiamente, ma forse qualcosa in più e di più spaventoso anche in vista della scadenza elettorale.
Sarebbe troppo lungo raccontarli tutti, ma è utile e incredibile leggere la raffica di “denunce” tra colleghi concorrenti seguite alle prove scritte: “volevo segnalare che una ragazza incinta è andata al bagno prima del termine delle due ore. Capisco l’urgenza ma doveva essere esclusa dalla prova: le regole sono regole.”; “ho notato subito che un mio collega aveva camuffato il dizionario di italiano con l’atlante storico, mi è sembrato giusto segnalarlo immediatamente alla commissione che ne ha annullato la prova”; “sono indignata perché mi sono resa conto che alcuni hanno sfruttato la trasparenza del foglio appoggiato sul banco per carpire le domande e dunque avvantaggiarsi dei minuti iniziali, noncuranti del resto della classe”.

Concludo con una semplice considerazione o se volete un’incitazione prima di tutto a me stessa, una sorta di mantra del “DAI DAI DAI!” del maestro Ferretti di Boris applicata al nostro quotidiano: dobbiamo lottare per conquistare la dignità, l’uguaglianza, i diritti civili, che pretendono di insegnarci nelle scuole e nelle università ma di cui si è persa concretamente traccia, dobbiamo lottare per non essere cavie da laboratorio e pretendere garanzie e diritti anche laddove prevale la vulgata dell’ “ormai è tutto corrotto e logoro” e dobbiamo lottare per la nostra autonomia che ci vuole ancora protagonisti quotidiani di tentativi, magari fragili ma persistenti, di costruire nuove forme di vita mutualistiche e che guardano all’interesse comune.

O altrimenti votiamo tutti per il Partito della Lotteria, ma senza rimpianti, sarebbe davvero l’unico “voto utile”!