ROMA

No Porto, la Fiumicino che lotta contro i giganti delle crociere

Più di 70 persone ferme in presidio di fronte al municipio del comune alla foce del Tevere. Vogliono far sentire chiara la loro voce contro la cessione dell’area del faro alla compagnia norvegese-americana Royal Caribbean

Quella della città di Fiumicino è una storia che non ti aspetti. Un po’ perché fino al 1992 non era una città, ma un quartiere di Roma, uno di quelli grandissimi, e si è trasformata velocemente in un comune autonomo di larga estensione, che conta 76000 abitanti su più di 200 chilometri quadri. Un po’ perché a Fiumicino, che ha sempre vissuto di pesca, dal’61 c’è l’aeroporto Leonardo da Vinci, attorno a cui gira gran parte dell’economia della città. È un territorio di trasformazioni (non sempre indolori) e continua a cambiare anche adesso. Lo fa per esempio con la messa in asta giudiziaria della concessione demaniale per la zona del vecchio faro, a partire da 15.8 milioni, un’offerta per cui ha mostrato interesse già da tempo Royal Caribbean Cruises, che aveva precedentemente investito 800.000 per sanare la stessa concessione.

«Non è la prima volta che si cerca di svendere l’area del faro», raccontano i militanti del collettivo NO PORTO, che lo sanno bene, perché dal 2013 si battono per riqualificare e mantenere viva la zona. «Già nel 2010, con il progetto del porto della Concordia, la concessione era stata affidata al gruppo Acqua Marcia di Caltagirone, poi si è bloccato tutto a causa di una serie di illeciti sui conti, e la darsena è rimasta completamente abbandonata per anni. Si tratta una svalutazione perfettamente nota all’amministrazione, che ora vuole cedere nuovamente la zona, e per un decimo del valore iniziale!».

 

Quando furono fatte le prime valutazioni, la concessione aveva un valore pari a 120 milioni di di euro, ma gli illeciti e l’abbandono da parte delle istituzioni ne hanno fatto scendere il valore fino al prezzo attuale.

 

«Per il comune ora è una patata bollente, qualcosa di cui liberarsi guadagnando velocemente il poco che può dare in queste condizioni». È un meccanismo visto e rivisto innumerevoli volte: un’area viene lasciata al degrado per un lungo lasso di tempo e questo legittima il suo rilancio con una grande opera. «È un sistema che va scardinato», dicono le ragazze e i ragazzi di NO PORTO. «C’è una strada diversa, che passa per l’agire in prima persona come cittadinanza per recuperare l’area».

 

Immagine di Federico Francesconi

 

Sono preoccupati soprattutto per l’impatto ambientale: «Un porto come questo prevede dragaggi di più di un chilometro, che dovranno ripetersi con cadenza quantomeno biennale, senza contare il pericolo d’inquinamento portato dal particolato molto sottile dello scarico delle navi». Anche la capitaneria di porto ha sollevato qualche dubbio sul rischio di inficiare la navigabilità dell’area, interferendo con le attuali rotte delle navi da pesca. Nel 2019 lo stesso ministero dei Beni Culturali aveva dato un parere negativo sulla realizzazione del progetto, sia perché a livello paesaggistico creerebbe una barriera tra la cittadinanza e il porto, sia per il valore storico e culturale della zona.

 

Il faro infatti è spesso considerato il cuore della Fiumicino storica e assieme al tratto di spiaggia occupato dai “bilancioni” (delle palafitte da pesca in legno), ha spesso fatto da sfondo a diverse produzioni televisive e cinematografiche (tra le più recenti Rocco Schiavone, Suburra, e I Predatori di Pietro Castellitto).

 

Dall’abbandono di Acqua Marcia dieci anni fa, ad occuparsi dei Bilancioni e della spiaggia e a combattere il suo degrado, sono stati soltanto i cittadini di fiumicino e i militanti, come quelli del collettivo NO PORTO, che si sono riappropriati di un’area in stato di abbandono e ne hanno rivendicato l’utilità sociale e il valore ambientale, utilizzandone gli spazi per iniziative di aggregazione e riflessione politica, aprendola a tutta la cittadinanza.

Adesso tutto questo rischia di essere strappato a chi l’ha costruito con l’impegno e la costante presenza sul territorio, in nome del profitto. I cittadini di Fiumicino, con il coordinamento I Tavoli del Porto, hanno più volte sollevato le loro preoccupazioni, ma l’amministrazione non è stata capace di rispondere. Oggi l’assessore all’ambiente Cini (PD) ha accettato di confrontarsi con i manifestanti, ma pur riconoscendo l’importanza storico-culturale della zona, ha sostenuto l’impossibilità dell’amministrazione di intervenire i quello che è sostanzialmente un processo legale.

 

Immagine di Federico Francesconi

 

 

Il comune non ha in questo momento alcun progetto volto a rivendicare l’area e secondo Cini potrà (e dovrà) farlo, solo nel caso in cui in sede d’asta non si presentasse alcun compratore.

 

Lo spettro del porto perciò incombe e al suo fianco emerge anche la proposta di un’altra grande opera: un porto turistico al confine con focene. Un terzo polo che andrebbe a fare di Fiumicino un piccolo triangolo dei servizi, chiuso tra due porti e un aeroporto. «Qualcuno ci ha detto che il porto significherebbe lavoro per tutti, ma è un’illusione», dicono le ragazze i ragazzi di NO PORTO. «Si tratta dello stesso lavoro di Taranto, dello stesso progresso della Val di Susa, quello che si porta via un pezzo di storia, di ambiente e di Territorio. Ed è un prezzo che la cittadinanza non dovrebbe mai essere costretta a pagare».

 

Immagine di copertina di Federico Francesconi