OPINIONI

La zingarata

Con le dimissioni, il segretario del Partito Democratico dà un calcio ai sauditi. La spaccatura è ora inevitabile, ma non apre però particolari spazi a sinistra

Poco si sa del contesto in cui sono maturate le dimissioni di Zingaretti dalla segreteria del Pd. Erano giorni che cresceva il pressing di Base riformista per arrivare a un congresso anticipato, sotto l’infuriare della pandemia. Due o tre cose si possono però azzardare, ignorando ogni retroscena e fondandoci solo su evidenze e ragionevoli sospetti.

 

Zingaretti è complessivamente un incapace, non è riuscito a dirigere quando aveva il consenso della base e una maggioranza infida ma reale dentro il Partito e in Parlamento.

 

Ha giocato tutto, fuori tempo, su Conte e si è lasciato sgominare dall’offensiva resistibile di Renzi. Con il governo Draghi il Pd ha perso il suo ruolo di asse centrale del governo e ha dovuto incassare un colpo dopo l’altro senza aprire bocca. Zingaretti, sostenitore poco convinto della precedente formula e fautore dell’alleanza con il M5S è stato travolto dall’unità nazionale e dallo sfascio dei pentastellati.

I nemici di Zingaretti sono i renziani fuoriusciti con Italia Viva e quelli rimasti dentro i gruppi parlamentari, tutti gli eletti con cui il bullo di Rignano, in una famosa nottata, aveva imbottito le liste, perdendo voti ma guadagnando fedelissimi. Una banda di cialtroni, che si sono finanziati disinvoltamente prima con gli affari locali poi con i contributi sauditi.

Non abbiamo niente a che vedere con il fratello di Montalbano, ma che salgano al potere gli amici di bin Salman e il Pd si spacchi, lasciando campo libero nel governo all’ala destra neoliberale e sovranista è un pericolo non per la “sinistra” (di cui non ce ne può fregare di meno) ma per la tenuta dell’Italia e del suo piano vaccinale, quindi per ognuno di noi.

 

Con Bonaccini e la sua riapertura serale dei ristoranti non vince una destra riformista, ma il virus.

 

La mossa delle dimissioni (e l’implicito ricatto di mettere così in crisi il governo, come, unico, ha capito Salvini) può servire a compattare il Pd e a bloccare Bonaccini – tanto è evidente che la doppia crisi Pd e M5S rimette in discussione la soluzione “unitaria” di Draghi. Una classica e forse oggi opportuna e necessaria operazione-tampone, che non impedirà nel medio periodo l’implosione del Pd.

Non si apre nessuno spazio a sinistra ma adesso – per un paio di mesi – serve a evitare la catastrofe sul piano della vita normale, diciamolo della “nuda vita”. La scena politica comunque si è messa in moto ed è sempre meglio così che incassare il “ritorno dello Stato” in stivali e mostrine che tanto entusiasma la stampa asservita e i professori di scienze politiche.

 

 

Foto da Flickr