ROMA

No Border Fest 2019: tra governo giallo-verde e decreti “sicurezza”

Il 21 e 22 giugno alla Città dell’Utopia, casale occupato in zona San Paolo a Roma, l’undicesima edizione del festival contro le frontiere. Cultura, dibattiti e musica per la libertà di movimento

Giugno 2018 distava solo tre mesi dalla tornata elettorale che aveva sancito la nascita del governo a guida Lega-5 Stelle, un moloch reazionario di cui intuivamo parvenza e movenze ma la cui essenza era ancora da scoprire. A un anno di distanza, quell’essenza si è concretizzata con ben due decreti sicurezza fortemente voluti dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini, il primo dei quali già convertito in legge e il secondo approvato il giorno 11 giugno dal Consiglio dei Ministri. Due decreti legge che, dal punto di vista della criminalizzazione della solidarietà e della libertà di movimento, si pongono in continuità con quello “Minniti-Orlando” del 2017, andando poi oltre sotto il profilo penale e in materia di “pubblica sicurezza”.

Decreti legge che, oltre alle naturali ricadute giuridiche, sembrano aver assunto anche altre funzioni. Innanzitutto, grazie al dibattito di cui sono stati investiti possono essere considerati stati tra i principali strumenti narrativi per il rafforzamento di un tessuto sociale ormai apertamente discriminatorio, ghettizzante e orientato alla razzializzazione della diversità, qualsiasi essa sia a seconda dell’agenda politica del momento. Secondariamente, possono essere considerati come cortina di fumo per nascondere processi ben più complessi e lontani dai nostri occhi, che in anni passati – ad esempio durante l’ultimo governo Berlusconi – erano molto più oggetto di attenzione: ci riferiamo al business correlato all’esternalizzazione delle frontiere e al controllo delle persone migranti, tra cui il dirottamento dei fondi europei per la cooperazione internazionale verso obiettivi securitari e liberticidi in aree geografiche terze rispetto all’Europa.

Il primo decreto sicurezza, già convertito in legge, ha facilitato la ripresa del business correlato all’esternalizzazione delle frontiere e al controllo delle persone migranti, come ben evidenziato dal dossier pubblicato da Valori.it. Dal dossier emerge in maniera nitida come alcune multinazionali, tra le quali la ORS, HERO e Homecare, siano state favorite dal decreto nel loro insediamento sul territorio italiano per la gestione futura di mega-centri per il contenimento delle persone migranti, un modello ricalcato sulle carceri private statunitensi e basato sulla massimizzazione dei profitti, perseguita attraverso il taglio dei costi di gestione e il sovraffollamento. Tutto questo grazie al progressivo smantellamento del sistema SPRAR a gestione comunale, che aveva costi nettamente inferiori.

Contemporaneamente continuano le grandi manovre economiche per lucrare sulla pelle di chi viaggia tra Sahel e Libia, non solo nella costruzione delle carceri per persone migranti ma anche nella formazione di forze speciali in Nigeri, Mali e Burkina Faso che possano contrastare i “flussi migratori” in prossimità dell’origine: processi consentiti sempre grazie agli accordi tra governi europei, tra cui quello italiano, e multinazionali della sicurezza in odore di mercenariato grazie al dirottamento di parte dei fondi europei per la cooperazione allo sviluppo economico.

L’undicesima edizione del No Border Fest (21-22 giugno, La Città dell’Utopia) si inserisce in un questo quadro sociale e politico. A tali derive autoritarie, il No Border Fest vuole rispondere con suggestioni basate sulla libertà di movimento e sulla cittadinanza universale. Lo farà attraverso una narrazione e pratiche alternative, orientate a decostruire la logica ipocrita di chi afferma «non sono razzista, ma…», «aiutiamoli a casa loro», analizzando il carattere strutturale del razzializzazione delle persone – in cui il razzismo serve gli interessi economici e non solo – e cosa avviene «a casa loro», rifiutando infine qualsiasi dicotomia «noi vs loro».