No alla chiusura dell’ospedale Borda

Scontri, spari e feriti a Buenos Aires.

Tra fine aprile e i primi di maggio, poche settimane dopo gli scontri e la resistenza della Sala Alberdi (qui il racconto dei fatti su Dinamopress), la capitale argentina è stata ancora una volta teatro di una grande mobilitazione in difesa degli spazi e dei servizi pubblici. Una giornata di lotta con 23 blocchi stradali in contemporanea in diversi punti della città contro le privatizzazioni e le speculazioni edilizie del governo macrista: dopo la pesante repressione al Parque Centenario, i movimenti, a cui va tutta la nostra solidarietà e complicità, hanno dovuto affrontare un vero e proprio assalto poliziesco all’ospedale neuropsichiatrico Borda, con cariche indiscriminate, gas lacrimogeni e 30 feriti da pallottole di gomma dentro le corsie dell’ospedale a causa dell’incursione della Polizia Metropolitana di Macri.

Riportiamo due articoli tratti da lavaca.org e marcha.org.ar per raccontare i fatti così come narrati dai media indipendenti di movimento argentini. Traduzione a cura di Dinamopress.

Per comprendere la “battaglia del Borda”

da lavaca.org

Lo scorso 25 aprile il governo della città di Buenos Aires ha inviato 300 poliziotti con i blindati per portare avanti con forza il suo progetto, ovvero quello di liquidare l’Ospedale Neuropsichiatrico Borda (e altri nell’area sud della città). Ci sono stati 9 arresti, tra loro due responsabili del reparto ospedaliero, liberati nel pomeriggio del 26 aprile, un pomeriggio ben poco segnato da una condizione di “salute mentale”. Sono state infatti aggredite dalla polizia anche diverse infermiere, vari pazienti e giornalisti, si contano infatti oltre 30 feriti, colpiti a distanza ravvicinata da proiettili di gomma e da spray e lacrimogeni urticanti. Mentre senza aver ricevuto alcun ordine giudiziario la Polizia Metropolitana affrontava con entusiasmo un gruppo di infermieri, medici e pazienti, è stata demolita la sala in cui si trovava il “Taller Protegido 19”. Il governo aveva fatto chiudere questo reparto, ma un ordine giudiziario ne aveva stabilito la riapertura, a gennaio, rispondendo (e dunque legittimando) ad un reclamo portato avanti da diverse organizzazioni in difesa della sanità pubblica contro il progetto di smantellamento legato alle speculazioni edilizie, progetto che oltretutto colpisce i settori più vulnerabili della società.

“Viva Macri, viva la muerte”

A fronteggiare la polizia armata si sono messi in prima fila pazienti e medici del Borda. Tra questi Hugo Lopez, che conduce anche il programma radiofonico sulla salute mentale “El hombre de la vaca”, che disse alzando le braccia “Viva Macri (sindaco di Buenos Aires, ndr) viva la morte” riferendosi al vecchio slogan dei fascisti spagnoli. I poliziotti non hanno esitato a colpire quando Hugo ha urlato “Macri presidente! Per eliminare la povertà eliminate i poveri. Fate una camera a gas e uccideteci tutti! Macri presidente!”. Hugo a lavaca.org ha raccontato: “Mi guardavano e ridevano”.

Ovviamente c’erano anche militanti di esperienze come il Fronte degli Artisti per il Borda, Cooperanza y Colifata. Nell’agosto 2012 Hugo e altri suoi compagni si erano messi davanti ai bulldozer per impedire la demolizione della sala ospedaliera.

Poco dopo mezzogiorno lavaca ha individuato in quel luogo, come durante ogni intervento della polizia metropolitana, la presenza di provocatori sconosciuti dai protagonisti del conflitto, funzionali a giustificare la repressioni di cui mai queste persone sono vittime. Alcuni dei “colifatos” (la fonte più attendibile in questo caso) raccontano di aver visto ultrà della squadra di calcio di Chacarita preparare e lanciare sassi, spesso usati da funzionari e politici per esternalizzare i conflitti e provocare disordini. Uno dei delegati della ATE, Adrian Soranelli, ha raccontato che la sala del Taller Protegido è stata devastata durante gli scontri. Tra gli arrestati c’era l’infermiera Cristina Diaz Alem, picchiata e malmenata nel Quarto Commissariato fino al momento della sua liberazione. Vi sono stati almeno cinque ricoverati per le violenze, tra cui l’infermiera del Borda Susana Bejarano. Tra i feriti da pallottole di gomma e quelli picchiati c’erano anche il cameraman di C5N Mario Otero e il fotografo del Clarìn José “Pepe” Mateos, uno di quelli cha ha immortalato con le sue foto nel giugno del 2002 il momento esatto in cui la polizia bonarense assassinò i due giovanissimi piqueteros Darío Santillán y Maximiliano Kostecki.

Sicurezza e giustizia.

La polizia metropolitana non ha voluto spiegare chi avesse ordinato l’intervento, anche se alcuni parlamentari della città di Buenos Aires hanno reso pubbliche le responsabilità del ministro dello sviluppo urbano Daniel Chain, responsabile dell’assenza di intervento pubblico sulle infrastrutture che hanno facilitato le gravissime inondazioni che hanno colpito la città nelle scorse settimane. In quel momento si trovava in Europa e le stesse autorità cittadine non lo hanno potuto incontrare. Nel caso del Borda invece è stato più efficiente. Guillermo Montenegro, responsabile del ministero “Sicurezza e giustizia” (mescolanza di due termini che possono spesso essere antagonisti tra loro) ha convalidato la tesi sostenuta in radio ovvero che la demolizione del Borda fa parte di un piano che prevede la costruzione di un contestato Centro Civico che dovrebbe migliorare le condizioni della zona sud della città. Abbiamo, come redazione di lavaca.org, più volte denunciato la genesi violenta dell’azione del corpo di polizia metropolitana dalla sua nascita ad oggi e denunciato il progetto di speculazione edilizia e di “malattia mentale e sociale” che vi sta dietro a cui si sono opposti medici, infermieri, pazienti e lavoratori in difesa della sanità pubblica.

Vai al testo originale sul sito di Lavaca.

Dopo gli spari, rimbomba la protesta

Intervista a Marcelo Frondizi, delegato sindacale della ATE dei reparti riabilitativi neuropsichiatrici, a cura di marcha.org.ar

Dopo la feroce repressione di venerdì scorso all’interno dell’ospedale Borda, il 30 aprile si svolgerà una giornata di protesta con la sciopero degli statali e una mobilitazione sotto la sede del governo provinciale di Baires. La voce di Marcelo “Nono” Frondizi, delegato della ATE dei reparti riabilitativi neuropsichiatrici.

A quattro giorni dall’inedita repressione nell’ospedale Borda realizzata dalla Polizia Metropolitana creata dal governo di Mauricio Macri nella Città di Buenos Aires, si moltiplicano le voci di rifiuto e di indignazione mentre cominciano a materializzarsi le misure di forza promesse da sindacati e organizzazioni sociali.

Oggi, martedì, ci sarà uno sciopero di 24 ore dei lavoratori della Asociación de Trabajadores del Estado (ATE), e una cessazione di attività degli insegnanti statali per partecipare alla mobilitazione delle 11 sotto la sede del governo provinciale come protesta per i fatti accaduti. Inoltre, si dichiarano solidali i lavoratori della metropolitana della AGTSyP, che sbloccheranno i tornelli in questo orario per facilitare l’arrivo dei manifestanti al centro, e saranno della partita anche i due CTA e decine di organizzazioni sociali, culturali e politiche. In questo quadro e in dialogo con il programma radio Fm La Tribu Llevalo puesto, Marcelo “Nono” Frondizi, delegato ATE aderente alla CTA diretta da Hugo Yasky, ha segnalato che, in primo luogo, con la sua violenta intrusione nel neuropsichiatrico il governo macrista ha violato la legge, «poiché c’era una misura cautelare che vietava di procedere con lo sviluppo dei lavori nel centro civico». Frondizi ha ricordato che esiste un procedimento giudiziario che blocca l’avanzamento dei lavori e pertanto proibisce la demolizione dei reparti e ha osservato che, quando si votò nel Consiglio provinciale, d’intesa fra il blocco PRO e quello kirchnerista, la Legge 221 che autorizzava la vendita dei terreni del mercato del Plata, Cristian Ritondo, presidente del blocco macrista e del Consiglio, aveva dichiarato tassativamente che era chiaro che non si sarebbe costruito il Centro Civico sui terreni del Borda.

D’altra parte, «questo luogo è dichiarato patrimonio storico, ci sono resti antropologici, non è stata fatta la valutazione di impatto ambientale e inoltre non si è tornati a deliberare in Consiglio, perché quando un’area urbana cambia destinazione si deve tornare a votare in Consiglio». Ha infine concluso che «hanno agito illegalmente, hanno represso, hanno distrutto un reparto protetto», ragion per cui « chiediamo le dimissioni del ministro Montenegro, e un giudizio politico per Macri, Chaín e tutti i responsabili di questo autentico atto criminale», parole d’ordine che sono parte della giornata di protesta di oggi.

Per Frondizi, nel suo intervento al Consiglio posteriore ai fatti, il ministro Montenegro non riuscì a spiegare perché «tirò fuori 300 poliziotti armi e bagagli della caserma di Huracán alle cinque e mezzo di mattina per reprimere, blindati e squadroni», se dovevano soltanto «andare a iniziare un’opera», come pretendeva di far credere ai bonarensi. Al contrario delle flebili spiegazioni ufficiali, al Borda «entrarono 40 operai, due rappresentanti dell’impresa e 300 agenti».

Interrogato rispetto al fatto che il voto kirchnerista a favore della legge 221 non aprisse le porte al macrismo con la realizzazione di questo genere di pratiche, tenendo conto degli interessi di tale forza politica per i terreni del Borda e nel Moyano in vista di una speculazione immobiliare, Frondizi affermò che egli non avrebbe dato il suo voto a questo progetto: «non siamo d’accordo con la vendita del capitale sociale dei cittadini e cittadine della Città di Buenos Aires come anche nel caso del mercato del Plata. Noi siamo d’accordo con Germán Abdala, che sosteneva che con le privatizzazioni si vende il capitale sociale degli argentini. Purtroppo non lo abbiamo potuto impedire».

D’altra parte, ha dichiarato che il governo provinciale mente quando sostiene che il reparto non funzionava, mentre invece «il reparto funzionava, non era vuoto. E’ stato il governo della Città a sospendere l’ammissione dei pazienti ai reparti protetti. Noi siano rimasti lì dentro per 180 giorni garantendo che il reparto continuasse a funzionare, garantendo i compiti di mantenimento e perfino completando alcune delle cose che si fanno in questo reparto, cioè letti, sedie, tavoli, armadi, che in seguito vengono portati agli ospedali della città che lo richiedono».

Da ultimo, ha sottolineato che »nessun cittadino, quale che sia la sua ideologia, può accettare che in un ospedale neuropsichiatrico, dove ci sono esseri umani che hanno problemi mentali, entrino 300 poliziotti reprimendo lavoratori, pazienti, consiglieri e giornalisti».

Per tutto ciò, il suo sindacato ha indetto uno sciopero e la protesta di oggi, promettendo che queste “non saranno le ultime giornate di lotta per la difesa dell’ospedale Borda e per la punizione dei responsabili della repressione”.

Vai al testo originale sul sito di Marcha.