ITALIA

No agli F-35: perché l’Italia smetta di acquistare armi

La campagna per fermare l’acquisizione degli F-35 non si ferma. Una mobilitazione lunga dieci anni nata dalla collaborazione di diverse organizzazioni della società civile italiana contro la guerra e per il disarmo

«Rilanciamo questa campagna contro l’acquisto dei cacciabombardieri F-35 per chiedere al Governo di agire nella più completa trasparenza e per fermare il contratto di acquisizione del lotto conclusivo» spiega Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo.

Si è tenuta ieri, presso la Sala Stampa della Camera, la conferenza stampa per rilanciare la “Campagna di mobilitazione contro gli F-35”, che da dieci anni ormai la Rete Italiana per il Disarmo, la Rete della Pace e la Campagna Sbilanciamoci! portano avanti in collaborazione con altre organizzazioni pacifiste italiane. «È un successo per la società civile italiana – sostiene Vignarca – che la questione degli F-35 sia ancora così dibattuta. Dobbiamo continuare a parlarne, affinché il Governo e il Parlamento, prima o poi, prendano provvedimenti a riguardo».
 

 

Cos’è un F-35

«Quello degli F-35 è un tema delicato, a cui bisogna fare attenzione – afferma Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo – Finanziando il progetto americano, l’Italia si schiera inevitabilmente, mandando un messaggio a livello internazionale. È come trovarsi in una seconda Guerra Fredda».

L’F-35 è un sistema d’arma di attacco. Nello specifico, è un cacciabombardiere di quinta generazione, multiruolo e monoposto, dotato di tecnologia Stealth, ossia a bassissima visibilità da parte dei sistemi radar. Vola molto vicino al suolo ed è in grado di trasportare ordigni nucleari. Il suo sviluppo viene avviato nel 1993, con il programma “JSF” (Joint Strike Fighter) dell’azienda Lockheed Martin: gli Stati Uniti vogliono costruire un velivolo da combattimento di nuova generazione che, realizzato in più versioni, sostituisca un’ampia gamma di velivoli della flotta militare statunitense. La realizzazione del programma JSF richiede degli investimenti elevati e per questo vengono coinvolti altri paesi, che si dichiarano disposti a promuoverlo: Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca aderiscono al progetto americano, con modalità diverse in base alla partecipazione finanziaria e alla capacità di acquisto dei velivoli.

 

Il coinvolgimento italiano nel programma JSF

La partecipazione italiana al JSF avviene fin dall’inizio: l’Italia è partner di secondo livello, si impegna finanziariamente per circa il 4% degli investimenti, ma ottiene una possibilità di influenza sui requisiti del velivolo comunque molto limitata. In base ai dati del Memorandum of Understanding, sottoscritto nel 2007 e votato dalle Commissioni di Camera e Senato nel 2009, decide per un’acquisizione di 131 velivoli in totale.

Nel corso degli anni, benché si avvicendino governi di diverse parti, nessuno mette in discussione il coinvolgimento italiano in questo programma. Tutti invece ne confermano la partecipazione e quindi l’Italia continua a finanziarlo. Solo nel 2012, durante il Governo Monti, qualcosa cambia. L’Ammiraglio De Paola, allora Ministro della Difesa, riduce il quantitativo dei velivoli da acquisire, portandoli da un numero di 131 a 90, «una riduzione significativa – dice l’Ammiraglio – coerente con l’esigenza di un’oculata revisione della spesa». Non tocca però in maniera chiara e definita il budget complessivo che rimane impiegato nel progetto, che intanto ha già impegnato l’Italia per centinaia di milioni di euro.

Negli anni a seguire, però, lo sviluppo degli F-35 si rivela più impegnativo del previsto. Realizzato secondo il meccanismo della concurrency, per il quale si acquistano velivoli pre-serie prima che siano stati conclusi test e collaudi, richiede tempi di realizzazione più dilatati e investimenti sempre più consistenti. Ulteriori oneri per l’Italia.
 


 
Così, nella XVII Legislatura, iniziata nel 2013, il dibattito sugli F-35 si fa per forza di cose rilevante e raggiunge l’aula parlamentare nel 2014, attraverso una mozione firmata da Gian Piero Scanu. È in questa occasione che si opta per un dimezzamento del budget destinato al progetto rispetto alle stime iniziali. Ma i Governi successivi, pur ribadendo nelle proprie dichiarazioni il loro allineamento a tale decisione parlamentare, non agiscono mai in tal senso facendo qualcosa di concreto. Solo parole: l’impegno finanziario italiano non si dimezza e viene soltanto rimandato nel tempo, con un risparmio immediato e utile alle parti politiche, che però non corrisponde affatto a un risparmio complessivo effettivo per il Paese.

Per questo nel 2017, dopo qualche anno di sostanziale sospensione delle discussioni, il programma di finanziamento e sviluppo degli F-35 riprende a pieno ritmo. E non solo: nel giugno 2017 la Difesa Italiana firma anche un accordo con gli Stati Uniti per formalizzare la procedura di un acquisto in blocco di 17 aerei in tre anni.

L’avvento del Governo Conte nel 2018 mette in discussione questa programmazione. Il Movimento 5 Stelle, che negli anni aveva mantenuto una posizione di netta contrarietà alla partecipazione italiana al programma JSF, prima si batte contro l’acquisto di ulteriori velivoli, poi cambia idea, ritenendoli ad un certo punto “irrinunciabili”. Nulla di fatto quindi avviene. Secondo il quotidiano La Stampa, la Ministra della Difesa Elisabetta Trenta firmerà a breve un provvedimento che autorizza il pagamento di fatture per un ammontare pari a 389 milioni nell’ambito del programma F-35, ma dopo il pagamento, ci si fermerà per attuare una politica di “ridefinizione” del programma.

 

La Campagna di mobilitazione

«È importante fermare il Governo – sostiene Vignarca – prima che dia l’ok definitivo al contratto di acquisizione di questi F-35 in blocco». Se il contratto non venisse firmato infatti, molti soldi potrebbero essere risparmiati. «Almeno 10 miliardi di euro – afferma Giulio Marcon, sostenitore della Campagna Sbilanciamoci! – con cui si potrebbero fare tante altre cose, alternative e più utili». Per esempio, acquistare 100 elicotteri per l’elisoccorso, da dare in dotazione ai principali ospedali; o 30 canadair, per spegnere gli incendi estivi; o ancora mettere in sicurezza 5.000 scuole o costruire 1.000 asili nido, a favore di 30.000 bambini.

È per questo occorre parlarne ancora e mobilitare l’opinione pubblica, sostenere associazioni, comitati, organizzazioni non governative e reti che, come la Rete Italiana per il Disarmo, la Rete della Pace e la Campagna Sbilanciamoci! tentano di spingere il Paese verso una nuova etica economica e verso una nuova forma di organizzazione politica, basate sul valore della solidarietà e raggiungibili attraverso pratiche di impegno civile e nonviolento. «Investire negli F-35 – dichiara Sergio Bassoli, Coordinatore della Rete della Pace – vuol dire alimentare una logica di deterrenza militare, in cui le armi rappresentano l’unico strumento per ottenere la pace». Ma non è così: la pace si può ottenere con altri mezzi e queste associazioni tentano proprio di dimostrarlo.

«La premessa di ogni difesa – scriveva Lidia Menapace in un saggio sull’obiezione di coscienza – è di far parte di un popolo che abbia sentimento di sé e ami il proprio paese in modo aperto e non prepotente; che dunque il paese si faccia amare, sia democratico, non troppo ingiusto, non troppo inquinato». Esattamente il contrario di quello che viviamo oggi in un paese che si fa amare sempre di meno. Ribaltare il discorso, questo sì che “rafforzerebbe” l’Italia.