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Mustafa Koçak: ancora un prigioniero politico morto per sciopero della fame in Turchia

La repressione di Erdogan provoca un’altra vittima: nel primo giorno di Ramadam si è spento in carcere il militante vicino a Grup Yorum, dopo 297 giorni di sciopero della fame.

Dopo 297 giorni di sciopero della fame Mustafa Koçak è morto nel carcere di Sakran. Era detenuto in seguito a una condanna all’ergastolo per il suo supposto coinvolgimento nel sequestro e nell’uccisione del giudice Mehmet Selim Kiraz (magistrato incaricato del fascicolo relativo all’uccisione da parte della polizia del giovane Berkin Elvan durante le rivolte di Gezi Park), da parte di Şafak Yayla e Bahtiyar Doğruyol, due esponenti del Dhkp-c (Devrimci Halk Kurtuluş Partisi-Cephesi, it. Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo). Sulla base delle dichiarazioni di un informatore della polizia Mustafa è stato accusato di far parte anch’egli del Dhkp-c, (organizzazione marxista-leninista considerata illegale in Turchia, Ue e Usa), ma soprattutto di essere stato colui che ha fornito le armi ai due militanti. Successivamente incarcerato, a seguito di un processo farsa, è stato condannato all’ergastolo senza l’accertamento di nessuna evidenza probatoria. Per tali motivi Mustafa aveva cominciato, 297 giorni fa, uno sciopero della fame con una richiesta apparentemente molto semplice: un giusto processo. In questo periodo i suoi avvocati, membri dell’ Halkın Hukuk Bürosu (traducibile in italiano come Studio legale del popolo), hanno messo in campo una campagna giudiziaria, mediatica e politica per riuscire a ottenere giustizia. Il mese scorso sono anche riusciti a presentare ricorso alla Corte Costituzionale turca per richiedere il rilascio di Mustafa a causa delle sue condizioni fisiche estremamente precarie e dnque incompatibili con il regime carcerario, grazie alla collaborazione della TIHV Türkiye İnsan Hakları Vakfı (it. Fondazione dei diritti umani della Turchia) che aveva documentato le torture subite da Mustafa presso l’ospedale penitenziario di Smirne, in cui era stato trasportato in maniera coatta per indurlo con la forza a terminare lo sciopero della fame. A quasi un mese di distanza, però, nessuna risposta è arrivata, dalla Corte Costituzionale dai vertici ministeriali, che pure erano stati interpellati a seguito di un incontro tenuto a fine marzo con esponenti delle associaizoni dei diritti umani che, nel riportare le richieste degli avvocati e dei detenuti politici in sciopero della fame, avevano richiesto anch’essi la sua liberazione.

In attesa di risposte Mustafa, a soli 28 anni, dopo 297 giorni di sciopero della fame che lo hanno portato a pesare appena 29 chili, si è spento tragicamente stanotte tra le mura della sua cella. Una morte che, come sottolineato dagli avvocati e da diverse forze politiche e associative, ha dei precisi responsabili che non sono intervenuti per evitarla, soprattutto se si pensa che appena qualche giorno fa il parlamento turco ha approvato una norma che consente il rilascio di circa 90000 detenuti, come risposta all’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus, nella quale però, volutamente non sono stati inclusi i detenuti per ragioni politiche, compresi avvocati e giornalisti. Appena venti giorni fa si era spenta, dopo un altrettanto lungo sciopero della fame, la cantante del Grup Yorum Helin Bölek e sono attualmente in sciopero della fame diversi prigionieri politici e di opinione, su tutti İbrahim Gökçek (bassista del Grup Yorum in sciopero della fame da ben 312 giorni) e gli avvocati Ebru Timtik e Aytaç Ünsal. Gli ultimi due fanno parte di un gruppo di 18 avvocati, appartenenti all’Halkın Hukuk Bürosu e al Çağdaş Hukukçular Derneği (Associazione degli avvocati progressisti), condannati circa un anno fa a pene per un totale di 159 anni di prigione per l’accusa di appartenenza al Dhkp-c, fornite dallo stesso informatore di polizia, Berk Ercan, teste chiave per il processo di Mustafa Koçak e di altre decine di persone. Circostanza inquietante che evidenzia lo stato di giustizia sommaria e di feroce repressione che, specialmente negli ultimi anni, sta caratterizzando il contesto turco, tra persecuzioni politiche, processi farsa, arresti e licenziamenti di massa per motivi di opinione in diversi settori dell’istruzione e dell’amministrazione pubblica.

La morte di Mustafa avviene tra l’altro il primo giorno del mese di Ramadan che quest’anno cade il 24 aprile, giornata da sempre particolare per la Turchia perchè è la data del ricordo del genocidio armeno mai riconosciuto dalla Repubblica turca. La straziante ultima telefonata tra i familiari e Mustafa, riportata da alcuni organi di informazione indipendenti e di sinistra, in cui con flebile voce confessava ai suoi cari di essere consapevole di avere poche ore di vita davanti, non riuscendo più a parlare per la mancanza di respiro e per i dolori lancinanti, diventa un atto di accusa indelebile nei confronti del governo.